«Firenze riparte dalle periferie» – .

«Firenze riparte dalle periferie» – .
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Il nuovo arcivescovo di Firenze è un prete fiorentino. Papa Francesco ha nominato successore del cardinale Giuseppe Betori don Gherardo Gambelli, il prete delle periferie: dall’Africa al carcere. Nato a Viareggio, compirà 55 anni il prossimo 23 giugno, è parroco della Madonna della Tosse, cappellano del penitenziario di Sollicciano e vicedirettore spirituale del Seminario dal 2023 quando è tornato nel capoluogo toscano dopo undici anni trascorsi in Il Ciad come missionario. L’annuncio è stato dato ieri a mezzogiorno nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, contemporaneamente alla Sala Stampa vaticana. Ad incorniciare la comunicazione, nel transetto nord, la tribuna della Santa Croce dove è custodita la reliquia del sacro legno e dove è collocato il polittico di Santa Reparata dipinto da Giotto. In prima fila anche il cardinale Ernest Simoni, in ritirata dall’Albania lungo l’Arno. «La scelta del Papa – spiega Betori nel suo saluto – è caduta su un sacerdote che noi conosciamo bene e che conosce bene la nostra diocesi, di cui diventerà padre come figlio il giorno della sua ordinazione episcopale». Data di ordinazione e inizio del ministero già fissata: 24 giugno, solennità di San Giovanni Battista, patrono della città di Firenze. Betori, che ha compiuto 77 anni lo scorso febbraio, lascia per raggiunti limiti di età ma resta amministratore apostolico fino all’ingresso del nuovo arcivescovo. Il cardinale di origini umbre guida la Chiesa fiorentina da quindici anni, da quando nel 2008 arrivò in Toscana dopo essere stato segretario generale della Cei. Resterà a vivere a Firenze, dice nel suo intervento. E saluterà la diocesi il 16 giugno. Nella comunicazione della nomina, il nunzio apostolico in Italia, cardinale Emil Paul Tscherrig, ha espresso la sua “gratitudine per quanto ha realizzato in questi anni a Firenze, per il costante impegno e la dedizione profusi ad immagine di Cristo, Buon Pastore, con particolare attenzione alle persone più fragili e bisognose”. (DD)

“Bisogna ripartire dalle periferie”. E don Gherardo Gambelli li ha vissuti in prima persona: in Africa, come missionario per undici anni; dietro le sbarre del carcere dove è stato e continua ad essere guida spirituale tra “coloro che hanno commesso degli errori ma devono avere possibilità di riscatto”, ci tiene a farlo sapere. Un sacerdote di frontiera e sulle frontiere del mondo e dell’umano. Un sacerdote dal volto umile e dal sorriso gentile che Papa Francesco ha scelto come nuovo arcivescovo di Firenze. Un parroco fiorentino per la Chiesa fiorentina, come non accadeva dai tempi dell’episcopato di Silvano Piovanelli, il cardinale che aveva guidato l’arcidiocesi del capoluogo toscano dal 1983 al 2001. Lo stesso pastore che ordinò sacerdote Gambelli nel 1996. Era 27 anni. Oggi ha 54 anni. E ne compirà 55 il 23 giugno, il giorno prima della sua ordinazione episcopale e dell’inizio del suo ministero, fissato per la solennità di san Giovanni Battista, patrono della città di Firenze. «Mi sento di dire che la nomina di un sacerdote fiorentino è un segno di stima e di fiducia da parte di Papa Francesco nei confronti della nostra diocesi. Una comunità ecclesiale che conosco e dove spero di condividere la ricchezza dell’esperienza missionaria”, dice il neo arcivescovo ad Avvenire. Con un orizzonte che già indica e che sembra essere il perno della sua agenda futura: «Bisogna rispondere a ciò che il Papa ci chiede: la conversione missionaria della Chiesa. È necessaria quindi una spinta all’emarginazione che ci aiuti a riscoprire la bellezza del Vangelo”.

E in una delle periferie dell’arcidiocesi di Firenze Gambelli ha sviluppato la sua vocazione al sacerdozio: Castelfiorentino. In una famiglia dove il servizio ai più deboli segna la quotidianità. Con suo padre (anzi suo “papà”) che è stato anche presidente nazionale della Confederazione Italiana Misericordia. La vicinanza come chiave di lettura di una vocazione nata dall’impegno nell’Azione Cattolica e poi dalla vita sacerdotale di don Gambelli che lo ha portato ad essere vicario parrocchiale e poi parroco. Fino al 2011 quando chiese al cardinale Giuseppe Betori, suo arcivescovo, di essere inviato come “fidei donum” in Ciad. Prima nell’arcidiocesi della capitale, N’Djamena, dove è parroco, docente nel seminario nazionale, cappellano delle carceri; poi a Mongo dove nel 2018 è stato eretto il vicariato apostolico da parte della Santa Sede e dove don Gherardo è chiamato ad accompagnare la nuova Chiesa locale che lo vedrà anche come vicario delegato. Un anno fa è tornato a Firenze dove è parroco della Madonna della Tosse, cappellano del carcere di Sollicciano e vicedirettore spirituale del Seminario. Perché, come sottolinea Betori nel suo saluto, “la radice più profonda della sua figura sacerdotale sta nella Parola di Dio ascoltata e studiata con amore”. È un sacerdote missionario, ma anche un esperto di Sacra Scrittura, ha studiato a Gerusalemme fino al dottorato in teologia biblica.

Cosa ti porti via dai tuoi anni in Africa?
Le giovani Chiese ci insegnano la capacità di vivere la fedeltà al Vangelo anche con numeri limitati. Penso, ad esempio, a quello dei sacerdoti che anche noi qui sperimentiamo in prima persona. Occorre un coinvolgimento sempre più diffuso dei laici che devono avere ruoli di responsabilità. L’esperienza in Ciad mi dice che le comunità sono capaci di affrontare le sfide che si presentano. Si tratta, infatti, di ritornare alla Chiesa delle origini: quella fatta di piccole realtà attente al contesto e che lavoravano “gomito a gomito”.

La Chiesa nel Sud del mondo cresce. Quello in Europa nei guai…
Diamo un’occhiata alla Francia. Nella notte di Pasqua furono battezzati dodicimila adulti. È un dato che può sorprendere ma mostra anche come la pastorale debba essere reimpostata. Possiamo attrarre le donne e gli uomini del nostro tempo se sappiamo annunciare il Vangelo con coraggio e con le opere piuttosto che con i discorsi.

Firenze, laboratorio di pace anche sulle orme di Giorgio La Pira.
Di fronte alla minaccia dell’espansione delle guerre, ci sentiamo più che mai chiamati a lavorare con tenacia per la pace che si costruisce artigianalmente, prestando attenzione ai gesti quotidiani di perdono e di riconciliazione. La Pira ne è stato un esempio. Anche perché era un uomo di preghiera, che metteva al centro la Parola di Dio. Ricordiamo il suo riferimento alla profezia di Isaia, all’urgenza di trasformare le spade in aratri e le lance in falci. Proprio l’ascolto della Parola ci esorta a non rassegnarci di fronte alla violenza e alle ingiustizie.

Nel messaggio alla diocesi ha ricordato l’impegno per il dialogo ecumenico e interreligioso.
Le fedi non sono mai strumenti di antagonismo o di conflitto: sono al servizio del bene e dell’umanità. Da parte mia ci sarà sempre la voglia di camminare insieme. E la preghiera ci unisce, a cominciare da quella per la pace.

Firenze è anche un crocevia dell’incontro tra la Chiesa e il mondo politico?
C’è una tradizione che vorrei continuare per costruire una società più giusta e solidale, rispettando la dignità di ogni persona, soprattutto quella più povera ed esclusa. Si tratta di una collaborazione che deve esprimersi nella preoccupazione per quei luoghi liminali che non vanno dimenticati.

Compresa la prigione.
La Scrittura afferma: “Ricordate i prigionieri, come se foste loro compagni di prigionia”. Come vescovo intendo essere vicino ai bisogni dei nostri fratelli e sorelle detenuti, così come a quelli di tanti rifiutati dalla nostra società. Considero la pastorale carceraria una delle priorità. Se da un lato i detenuti sono chiamati a scontare la pena, dall’altro la società è tenuta a garantire loro percorsi di rieducazione. A tutti deve essere garantita la possibilità di una nuova vita.

Come ha accolto la decisione del Papa?
Con uno “tsunami” di sentimenti, emozioni, pensieri. La Provvidenza ha voluto che l’annuncio cadesse nella settimana precedente la Domenica del Buon Pastore. È Lui il modello della scelta evangelizzatrice che ci spinge ad andare verso le periferie geografiche ed esistenziali nel nostro impegno missionario.

 
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