Francesco a Venezia, la Giudecca e l’arte che rende liberi – .

Francesco a Venezia, la Giudecca e l’arte che rende liberi – .
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La prima tappa della visita del Papa il 28 aprile sarà il carcere femminile che ospita 80 donne con condanne definitive. Non solo luogo di riabilitazione ma anche sede del Padiglione della Santa Sede intitolato “Con i miei occhi”. Grande emozione tra i detenuti per l’arrivo del Pontefice

Benedetta Capelli – Venezia

Domenica prossima, 28 aprile, sarà il giorno della prima volta. La prima volta di Papa Francesco a Venezia, di un Pontefice che visita la Biennale d’arte, di detenuti che lo vedranno per la prima volta nella loro vita. Donne condannate in via definitiva che alla Giudecca hanno trovato il modo di rimettere insieme i pezzi della propria vita: alcune hanno iniziato a cucire, a lavorare in lavanderia, a specializzarsi in cosmetici. Alcuni di loro hanno creato un rapporto di fiducia con gli artisti che animano il padiglione della Santa Sede intitolato “Con i miei occhi”. Sono stati ascoltati, valorizzati nei loro pensieri, hanno affidato le loro foto più care alle mani di chi le ha trasformate in dipinti.

Bregoli, direttore della Giudecca: “Il Papa non dimentica nessuno”

C’è eccitazione tra i ricoverati per l’arrivo di Francesco e anche “una grande emozione – dice il medico Mariagrazia Bregoli, direttrice del carcere femminile della Giudecca – perché il messaggio che il Papa vuole portarci è un messaggio universale, di amore, di accoglienza, di assenza di giudizio e di rispetto per chi osserva senza giudicare”. “Nella vita – aggiunge – si commettono errori ma si può rimediare e il Santo Padre non dimentica nessuno e forse è bene che la società non dimentichi chi ha sbagliato”. Il direttore Bregoli sottolinea quanto sia importante considerare il carcere come parte della società, spesso la gente non vuole né conoscerlo né vederlo ma c’è ed è un dato di fatto. Un luogo che guarda all’esterno e che è fortemente impegnato nel lavoro di reinserimento delle persone detenute. Anche la partecipazione al Padiglione della Santa Sede si aggiunge a questa tendenza di apertura, in un innegabile dialogo tra interno ed esterno.

La direttrice del carcere della Giudecca, Mariagrazia Bregoli

Russo, responsabile del DAP: “Il Papa ha dettato il titolo di questa mostra”

“È stata una scelta importante, quasi una provocazione all’amministrazione della giustizia, in particolare all’amministrazione penitenziaria che si occupa di sofferenza, che si occupa di emarginazione”, dice il dottor Giovanni Russo, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), raccontando la genesi del progetto del padiglione della Santa Sede. «L’invito di Papa Francesco è quello di aprire almeno uno spiraglio alla speranza e noi non ci siamo tirati indietro». Il dottor Russo parla di “una proposta potente in cui la bellezza dell’arte, la bellezza della fede, della religione e la bellezza del recupero di un criminale, di qualcuno che ha sbagliato ed è stato condannato ma che merita un’ulteriore opportunità , riunirsi e lo Stato deve agire in questo senso”. La bellezza del progetto, aggiunge il responsabile del DAP, ha spinto il Papa a venire. “Lo ha incuriosito, ha quasi dettato il titolo: Con i miei occhi il che significa una profonda umanizzazione della vita di ognuno, ognuno di noi è un individuo a cui deve essere riconosciuto il diritto di esprimere un pensiero, di interpretare la realtà. Questo è il mandato costituzionale: i detenuti non perdono i loro diritti, i detenuti in carcere sono privati ​​della libertà ma i loro diritti devono essere riconosciuti e penso che questo incontri anche il pensiero e le parole di Papa Francesco”.

Il capo del DAP, Giovanni Russo

Manuela, la guida detenuta

Detenuti che divennero collaboratori degli artisti e detenuti che iniziarono a studiare per accompagnare i visitatori del Padiglione. Tra loro c’è Manuela che tra un anno lascerà la Giudecca. “Mi sento molto onorata di poter partecipare a questo lavoro che continuerà fino a novembre 2024”, afferma. “Molti di noi hanno ricoperto ruoli diversi, c’è chi ha scritto, chi ha fatto altri lavori, mi hanno chiesto se volevo fare da guida e siccome parlo sempre, con il supporto dei miei compagni – sono dieci noi – abbiamo accettato molto volentieri. Molto timoroso però ed anche molto titubante perché non è facile stare a contatto con persone nuove. È stato molto bello, molto costruttivo e continuerà ad esserlo”. Tra le sue opere in mostra c’è anche un suo dipinto, frutto di una reinterpretazione dell’artista Claire Tabouret, in cui Manuela da bambina muove i primi passi verso la madre, cosa che la commuove moltissimo. Nell’attesa della visita del Papa che emoziona tutti i detenuti, Manuela racconta che l’esperienza alla Giudecca le ha cambiato la vita e la sua prospettiva sulle cose. “Sto riscoprendo i lati positivi, molto belli, molto istruttivi, molto costruttivi e spero di riuscire a farli emergere per trasmetterli ai miei figli e nipoti”. Manuela guarda fortunatamente al domani, un domani che ha cominciato a costruire innanzitutto partendo da se stessa, sfruttando le opportunità concesse tra le altissime mura del carcere.

 
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