Cisco, dai Modena City Ramblers alla nostalgia dell’Irlanda, «trent’anni di impegno, e la gente ci segue sempre» – Cultura e Spettacolo

Cisco, dai Modena City Ramblers alla nostalgia dell’Irlanda, «trent’anni di impegno, e la gente ci segue sempre» – Cultura e Spettacolo
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TRENTO. Sono passati trent’anni da quando una giovane band emiliana lanciava il secondo album “Riportando tutto a casa”. Erano i Ramblers della città di Modena divennero poi un gruppo imprescindibile per il militante italiano. Voce di quel gruppo Stefano “Cisco” Bellotti che oggi – sabato 27 – sarà in Piazza della Mostra, alle 20, nell’ambito del Trento Film Festival (in caso di maltempo la manifestazione si terrà all’Auditorium) prima insieme al giornalista e conduttore radiofonico Giovanni Vignola e poi protagonista di un concerto dal vivo insieme, come ci racconta in questa intervista, ad altri quattro ex componenti del Modena.

Stefano “Cisco” Bellotti: da dove nasce l’infatuazione di un ragazzo emiliano per la terra d’Irlanda?

“Le radici sono negli anni Ottanta e soprattutto nella musica. Due gruppi fondamentali per me: in parte gli U2 che erano il gruppo pop per eccellenza ed erano irlandesi purosangue ma soprattutto i Pogues, questo gruppo scalcagnato che mi ha fatto innamorare della musica folk popolare suonata in chiave molto rock- stile punk ma soprattutto mi ha fatto conoscere la cultura irlandese, quella dei pub più rumorosi ma anche quella più intellettuale. Raccontavano storie della loro tradizione, poesie di Yates, cantavano di scrittori irlandesi che allora mi erano sconosciuti e che ho imparato a conoscere attraverso loro e attraverso la scoperta di tutta la cultura irlandese”.

Ma questa passione per l’Irlanda è ancora così viva?

“Questo amore in parte mi commuove ancora in quello che scrivo e in quello che faccio anche se si è un po’ indebolito perché l’Irlanda si è completamente trasformata in una serie infinita di multinazionali, un paradiso fiscale, ora è un paese ricco mentre quando’ sapevo era un paese agricolo di allevatori, contadini e una capitale dove si lavavano i cavalli per strada e c’erano i carretti per rifornire di birra i pub. L’ho vissuto così, poi magari un ragazzo che va in Irlanda oggi prova le stesse sensazioni che provavo io più di trent’anni fa, non lo escludo. Per me, che l’ho visto nel 1990, è ancora un Paese bellissimo, magico e interessante ma completamente diverso”.

Trent’anni fa usciva “Riportando tutto a casa”, l’album più irlandese dei suoi Modena City Ramblers: qual è il tuo ricordo più bello di quel momento?

“Ce ne sono tanti e tutti belli. Ricordi di ragazzi che avevano tantissime idee su cui costruire la propria vita al di là delle canzoni e dei dischi. Basavamo la nostra vita, la nostra quotidianità sulle nostre idee e sui nostri valori e volevamo mettere quei valori in quel disco che divenne una sorta di manifesto musicale e culturale di quell’Italia, di quegli anni. Se oggi mi ritrovo trent’anni dopo a festeggiare quell’album con tanta gente che viene a cantare, ascoltare e ballare le canzoni, vuol dire che quei valori, quelle idee arrivavano a quelle persone che in quegli anni le ascoltavano e che ancora oggi li gode e li apprezza ancora trent’anni dopo. Questa cosa è clamorosa: abbiamo fatto un tour praticamente tutto esaurito in tutta Italia festeggiando i trent’anni di questo cd”.

Un album che sarà al centro del concerto di sabato sera a Trento: che live sarà?

«La formazione è composta da cinque ex Modena City Ramblers, quindi siamo una colonia di ex che lavoravano all’epoca agli album “Riportando tutto a casa” e “Grande famiglia” quindi il concerto è composto principalmente da brani di quei due album. Nella scaletta ci sarà spazio anche per due o tre miei brani ma ho volutamente lasciato da parte la mia carriera da solista per questo tour perché volevo dare rilevanza e peso a quei due album che ho realizzato insieme alle persone che sono con me palcoscenico e anche loro meritano di essere citati e riconosciuti come padri di quelle opere. Sto parlando di Luciano Gaetani. Marco Michelini, Roberto Zeno e “Kaba” Cavazzuti”.

Le canzoni di quei due album sono ancora attuali?

“Sì, purtroppo sì. E lo sottolineo purtroppo perché significa che il Paese non è cambiato molto. Invece di migliorare forse è peggiorata e questo è grave. Insomma, canzoni scritte per un’Italia che pensavamo non dovesse più esistere hanno invece un’attualità disarmante”.

Sia nella tua carriera da solista che con Modena, hai sempre fatto della musica uno strumento di impegno sociale.

“Sì, credo che l’arte in generale debba essere e non dico di parte ma di denuncia sociale, civile e culturale. L’arte dovrebbe smuovere le coscienze e invece adesso credo che la musica abbia preso una strada diversa. In molti casi sembra essere solo musica di sottofondo per i giovani, per aiutarli a distrarsi dagli impegni che hanno e non farli pensare troppo. Per molti è meglio avere giovani generazioni un po’ dormienti, un po’ adattate alla situazione che trovano piuttosto che ribelli, con idee proprie che potrebbero in qualche modo mettere in crisi lo status quo delle cose”.

 
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