Numeri e storie dei migranti ospitati al Cas di Monza – .

Numeri e storie dei migranti ospitati al Cas di Monza – .
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Una quarantina di uomini, provenienti da diversi Paesi, per lo più dal Maghreb e dall’Africa, oltre che dal Bangladesh e dal Pakistan, hanno lavorato nei giardini di via Calatafimi e vie limitrofe a Monza sabato 20 aprile 2024 durante le pulizie di primavera. Così la città si è accorta che nel controverso centro di accoglienza di Triante c’erano e ci sono già una sessantina di ospiti (qui il racconto).

I migranti puliscono i giardini

Tanta voglia di fare e di restituire alla città che li ha accolti: vanghe e rastrelli in mano, cuffie per ascoltare un po’ di musica, così i ragazzi si sono messi a disposizione. Già dalla mattina presto di sabato una trentina erano scesi in campo per unirsi ai volontari di Monza. «Oggi molti di noi stanno facendo il corso per diventare muratori, io per esempio sono in Italia da due anni e non ho trovato lavoro, è bello poter fare qualcosa oggi», ha confidato un ragazzo tunisino, mentre un altro non ha Non ho smesso da quando ho ripulito i giardini dalla terra e dai tronchi nemmeno di posare per la foto di gruppo.

“Oggi non c’è lavoro per voi”, hanno poi detto scherzosamente in un italiano un po’ stentato ma chiaro agli operai della Sangalli, arrivati ​​solo per portare via i sacchi di rifiuti raccolti con le loro forti braccia. Invece, erano lì per supervisionare Vittoria Mamerti dell’Ufficio Partecipazione del Comune, i consiglieri comunali Ilaria Guffanti e Sergio Visconti e il coordinatore della Consulta San Carlo Rinaldo Mandelli. «Ognuno ha una storia a sé – racconta un operatore che segue gli ormai 60 ospiti di via Monte Oliveto a Monza – Quasi tutti provengono da altri Cas della Brianza e sono già in Italia da tempo, alcuni poi trovano lavoro e così mette da parte i soldi per affittare una casa insieme ad altri connazionali e alla fine un po’ di turnover c’è sempre”.

Età e storie di migranti

Tutti gli uomini, quelli accolti al CAS di via Monte Oliveto, hanno in media tra i 18 e i 40 anni, ma c’è quello che tutti chiamano il vecchio Sage, barba bianca, 55 anni, una vita lasciata in Bangladesh per ricominciare in Italia , chi è più vecchio. Di lui non si sa molto, parla poco, ma lascia andare le sue mani come gli altri, a pulire dai mozziconi di sigaretta e dalla terra i giardini dove giocano i bambini.

La maggior parte di quelli accolti oggi svolgono tirocini formativi nel settore edile, assecondando un po’ le proprie competenze e passioni, ma c’è anche chi sogna di diventare autisti. «Accade che vediamo arrivare alcuni ospiti con cicatrici sul volto che raccontano storie di maltrattamenti, ma non sempre ne vogliono parlare. Alcuni hanno lasciato il loro Paese perché rimasti senza famiglia. Ognuno ha una storia diversa. Oggi sono qui per imparare l’italiano e sistemarmi”, spiega un operatore, poco prima del sindaco Paolo Pilotto si viene a trovarli, consegnando un attestato di partecipazione e una merenda. Poche parole, un paio di battute. Anche il sindaco vuole sapere da loro se fanno stage, se c’è qualcuno che insegna loro l’italiano. C’è un tunisino che parla bene e risponde per tutti, insieme agli operatori del centro. Qualcuno scherza con il “boss” come hanno soprannominato il sindaco: «A Cas si mangia bene, soprattutto quando c’è il riso», rivela un ragazzo pakistano, prima di iniziare a pulire un pezzetto della città che lo ha accolto.

 
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