Trieste, Teatro Verdi – La Cenerentola – Collegato all’Opera – .

Un dolce, non lo so Quello capace di sedurre con la sua semplicità: si potrebbe così riassumere, parafrasando il magnifico libretto di Jacopo Ferretti, la bella edizione di Cenerentola Di Gioachino Rossini che il Teatro Verdi si propone come terzultimo titolo di una stagione che ci sembra aver mantenuto fino ad oggi costantemente alto il livello qualitativo delle sue produzioni.

La scenografia è quella della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova, con scene e costumi tratti da Nicoletta Ceccolini con il contributo video di Giuseppe Ragazziniispirato alla messa in scena di quello grande Emanuele Luzzati, che riporta la storia di Angiolina e delle due sorellastre malvagie alla sua dimensione fiabesca. In un mondo storico in cui le produzioni teatrali si basano sempre più frequentemente su nuove drammatizzazioni e attualizzazioni, ovvero su una forte struttura esplicativa dei significati sottesi agli eventi narrati, è quasi sorprendente scoprire come un classico, ormai, della tradizione teatrale può essere seducente, appunto, e altrettanto inquietante nel suo semplice adesione al testo. Ottimo lavoro dei due registi Paolo Gavazzeni E Piero Maranghi è quindi doppiamente degno di aver saputo sia rileggere l’idea di Luzzati, sia assecondare i ritmi folli e l’incantevole lirismo della partitura rossiniana: se Luzzati sosteneva la necessità di fare teatro insieme al regista e agli interpreti di scegliere quale messaggio dare al pubblico e di adattare a quello la realizzazione delle scene e dei costumi, qui Gavezzeni e Maranghi hanno dovuto necessariamente lavorare in senso opposto, muovendosi entro i due limiti che per l’ambiente genovese disegnatore e illustratore costituiscono i due elementi essenziali del teatro: gioco e magia. Cosa potrebbe adattarsi a questa filosofia meglio del comico Rossini, che fa del gioco del teatro nel teatro il suo fondamento, andando alle origini stesse del genere? La vicenda si svolge in un’ambientazione in cui la natura è l’elemento dominante e limita tutto il contenuto metateatrale di fondo, di cui è pieno il libretto, alle due quinte che incorniciano il boccascena, con la rappresentazione stilizzata dei palchi da cui guardano, ridotte al ruolo delle maschere, i profili tipici del celebre scenografo: ciò che accade sulla “scena costruita” è qualcosa che possiamo definire compiutamente solo ricorrendo a un termine latino, ludus cioè gioco, inganno, rappresentazione, gioia, spettacolo. Tutti gli interpreti contribuiscono a far funzionare questa delicata macchina, assecondando non solo i due registi, ma la filosofia del “facciamo teatro insieme” di cui sopra.

Uno dei punti forti di questo Cenerentola si tratta infatti senza dubbio dell’omogeneità della compagnia canora che contava anche due figure di spicco come Carlo Lepore e Giorgio Caoduro: tutti si rivelarono attori eccellenti e misurati.
Carlo Lepore è un ottimo Don Magnifico, che incarna la grande tradizione del basso buffo e grazie alla sua eccellente pronuncia, alla chiarezza del canto veloce con trattino, alla raffinatezza del fraseggio capace di coniugare le esigenze espressive del canto con il significato della parola , è l’erede del grande Enzo Dara: disegna un Don Magnifico di grande simpatia, vivace, mai volgare o scontato, con comicità elegante. Personaggi che ritroviamo in Dandini di Giorgio Caoduroche incanta con i suoi virtuosismi che ricordano la gloriosa stagione dell’ Rinascimento rossinianodi Ramey e Raimondi, e per la gamma pressoché infinita di sfumature che riesce a donare alle frasi musicali, sfruttando tutte le potenzialità di uno strumento che unisce il colore bruno, quasi basso, all’estensione del registro baritonale: è un Dandini sottile e sornione sia nel canto che nei gesti e nelle espressioni facciali, nel gesto della mano e nell’andatura, perfettamente complementare a Don Ramiro in Dave Monaco. Timbro limpido e voce sottile ma duttile, più nella vena di Luigi Alva che in quella di Blake, Monaco disegna un principe amoroso, a suo agio nelle sezioni più liriche della partitura, ma capace di risolvere anche le parti più virtuosistiche e di offre una convincente esecuzione dell’aria “Sì, trovarla io giuro” con acuti sicuri e ben sostenuti, rivelandosi un cantante musicalmente e tecnicamente preparato al suo debutto triestino. A completare il lato maschile del cast Matteo d’Apolito nella parte del saggio Alidoro, maestro di Ramiro che lo spinge a cercare il bene nella sua futura sposa. Bassista dal timbro piuttosto chiaro, si esprime al meglio nel canto grego dove riesce a infondere la giusta nobiltà alle frasi del filosofo, mentre i suoi passaggi più virtuosistici, pur risolti senza evidenti problemi tecnici, risultano a tratti forse poco scorrevoli e brillanti .
Nella parte di Angelina, Laura Verrecchiariconferma la bella impressione fatta qualche mese fa nei panni di Giovanna Seymour Anna Bolena. Voce di estensione e volume importanti, dotata di un bel timbro da mezzosopranile, che in alcuni momenti risulta un po’ aspro (tratto che però mi è sembrato più controllato rispetto alla prova precedente), e dal colore vellutato che ben si adatta alle pagine più liriche come la splendida canzone di Cenerentola “C’era una volta un re”, Verrecchia possiede una tecnica sicura che le permette di affrontare senza problemi la canzone d’agilità e di risolvere con sicurezza e composta spavalderia le famose rondò finale “Nonpiù mesta”, ottenendo un personale successo di pubblico. Infine, i test sono stati eccellenti Carlotta Vichi come Tisbe e Federica Sardella in quelli di Clorinda, due sorelle petulanti, viziate sì, di “estrazione più vile” come vorrebbe presentare Don Magnifico, Angelina invece, ma nobile completamento di un cast che funziona egregiamente.

Merito anche della direzione e del coordinamento Enrico Calassoche, alla guida di un’Orchestra del Teatro Verdi che, nel corso dell’attuale stagione, sta dando il meglio di sé, riesce a controllare e domare il mille trappole ideato da Rossini nella composizione dei concertati e dei brani d’insieme. La separazione dei tempi appare sempre appropriata, attenta alle esigenze – e qui non sono poche – dei cantanti (e degli attori), nella costante ricerca di sonorità capaci di coniugare la leggerezza dei ritmi rossiniani con il pesarese più meditativo infonde nella partitura, nel ritratto degli aspetti più nascosti del carattere di Cenerentola o della saggezza di Alidoro, così da restituire davvero all’ascoltatore la seduzione di quel “dolce non so cosa” che incanta Ramiro di Cenerentola e, ancora oggi, il pubblico. Infine, l’indispensabile contributo del Coro del Teatro Verdi, diretto da Paolo Longoche si esibisce, secondo partitura, solo con le sue sezioni maschili. Trieste-Teatro-Verdi-%E2%80%93-La-Cenere60cdf44df8.jpg

Teatro Verdi – Stagione 2023/24
CENERENTOLA
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Jacopo Ferretti
Musica di Gioachino Rossini

Angelina Laura Verrecchia
Don Ramiro Dave Monaco
Don Magnifico Carlo Lepore
Dandini Giorgio Caoduro
Ali d’oro Matteo D’Apolito
Tisbe Carlotta Vichi
Clorinda Federica Sardella

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione
Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttore Enrico Calesso
Direttore del coro Paolo Longo
Direzione Paolo Gavazzeni E Piero Maranghi
Costumi tratti da Nicoletta Ceccolini
Contributi video a cura di Giuseppe Ragazzini
Scene e costumi ispirati alla messa in scena di Emanuele Luzzati

Installazione a cura della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova
Trieste, 26 aprile 2024

Foto: Fabio Parenzan

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