«L’unica speranza per i giovani» – .

CATANZARO «Questa parte della Calabria è letteralmente affascinante, con coste rocciose e frastagliate che si interrompono per lasciare spazio ad insenature dove la sabbia bianca ricorda paesaggi esotici. Il nome Costa degli Dei non è casuale, per il forte legame con l’antica Grecia e le sue colonie presenti in questa zona. Da nord c’è Pizzo, Vibo Marina, Briatico, Marina di Zambrone, Parghelia, Tropea, Capo Vaticano – uno dei promontori più affascinanti del mondo – Joppolo, Nicotera Marina: località turistiche famose e frequentate, grazie al mare color smeraldo. Insomma, un incanto. Ma…”. COME Marisa Manzini, attuale sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, descrive la costa tirrenica vibonese in una lunga intervista pubblicata su Panorama. Un teatrino costiero con il Comune di Tropea di ultimo scioglimento per infiltrazioni mafiose. Un territorio particolarmente noto a Manzini che per anni come assistente della Circoscrizione di Catanzaro si occupò del Clan Mancuso di Limbadi e la ‘Ndrangheta in questa zona della Calabria. «Mi sono accorto che – dice di quell’esperienza il gip – il territorio molto affascinante, ricco di moderne strutture alberghiere e di villaggi turistici dallo stile esotico, si scontrava letteralmente con la vera urbanizzazione locale che, invece, offriva il volto di una Calabria povera e maltrattata. . Un esempio su tutti? Quella lunga serie di edifici sparsi a ridosso della costa, verso l’altopiano del Poro (la parte montuosa della provincia di Vibo, ndr) spesso lasciati al grezzo, con le facciate in mattoni. Un pugno nell’occhio, se paragonato al paesaggio rigoglioso e alla ricchezza turistica.”
E sui motivi una presenza così asfissiante dei clan nel vibonese, Manzini dice: «In parte perché la Calabria è certamente una terra “storicamente” marginale. Nonostante il passato nobiliare della Magna Grecia, venne a mancare la lunga fase di autonomia comunale, circostanza che negò o ritardò la conclusione stessa della fase feudale. Nel corso dei secoli se n’è andato sminuendo, nella società calabrese, il concetto di senso dello Stato, cioè il riconoscimento dal basso – da parte del popolo – che lo Stato è un’entità presente con le sue strutture, le sue leggi, le sue terminazioni periferiche. A ciò si aggiunge l’impoverimento del territorio da sempre culla di una società di parentela in cui emergono soprattutto i legami familiari, di sangue, di possesso e di fedeltà”.
Ricostruire la sua attività di magistrato nel vibonese, poi Manzini spiega la presenza del clan Mancuso nella zona: «Questo clan ha approfittato dell’eccessiva fragilità della struttura economica e della frammentazione delle attività economiche, riuscendo a conquistare, praticamente in una condizione di crescente monopolio, i settori più disparati dell’economia: dal turismo, alla pesca, dall’agricoltura al settore terziario. Poi il predominio delle singole imprese ha reso le aziende stesse molto più vulnerabili al ricatto e ai comportamenti intimidatori”.
Eppure il La Costa degli Dei rimane una delle più ricche in termini di offerta turistica. Senza però avere ricadute positive sul territorio. «Perché – spiega Manzini – chi frequenta grandi complessi alberghieri e villaggi scintillanti (e la Costa degli Dei ne è ricoperta…) vive in definitiva esclusivamente nel mondo ristretto della località in cui è ospitato». Secondo il magistrato la ‘ndrangheta avrebbe tratto benefici dal settore turistico non solo nel vibonese. «La Calabria è una terra che ha le sue storiche vocazioni economiche nel turismo, appunto, e nelle imprese primarie e se queste (agricoltura, pesca, servizi di ristorazione, industrie di trasformazione, molte delle quali a conduzione familiare) non hanno i soldi per continuare nella loro attività , è inevitabile l’intervento delle cosche, pronte a restituire il denaro illecito…”.
E sugli esiti della Commissione per l’Accesso a cui ha portato allo scioglimento del Comune di Tropea, Manzini «emerge uno spaccato che definire drammatico è riduttivo». L’intervista si conclude con un messaggio di speranza. «Parlare di ‘Ndrangheta nelle scuole – spiega Manzini a Panorama – occuparsi – con i giovani – delle conseguenze devastanti che le mafie hanno prodotto nella società e nella vita politica, dei falsi miti che essa porta con sé, rappresenta l’unica possibilità di formare nuove classi dirigenti più consapevoli e pronte a combattere la ‘Ndrangheta. Significa avviare un cambiamento nella cultura di un popolo che deve combattere e rifiutare l’etichetta di mafia”. ([email protected])

 
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