Lucca, spariti i soldi dopo la vendita delle case: condannato il Tirreno

LUCCA. La Corte di Cassazione conferma la condanna a 4 anni per un imprenditore pistoiese che aveva costruito un condominio a Lucca la cui vendita di appartamenti, con provento non dichiarato, sarebbe stata all’origine della condanna per fallimento.

Dopo la sentenza di primo grado e quella di appello, che avevano ridotto a quattro anni soltanto la durata delle sanzioni accessorie di fallimento, la Suprema Corte ha chiuso la questione respingendo il ricorso di Francesco Martino Signorello, 61 anni, origini siciliane e residente a Pistoia. L’ermellino ha ribadito la correttezza delle ragioni alla base della condanna dell’imprenditore edile per bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, evasione fraudolenta del pagamento delle imposte tramite false fatture.

«La responsabilità dell’imputato affonda le sue radici nel suo ruolo di amministratore della società Assocostruzioni Srl, dichiarata fallita dal Tribunale di Pistoia il 9 ottobre 2015 – si legge nella sentenza della Suprema Corte -. È stato condannato per diversione di beni della società fallita non risultanti dall’inventario, nonché per la somma di euro 615.713 relativa alla vendita degli immobili facenti parte del condominio Melograno di Lucca e quella pari ad oltre 275.000 euro corrispondente a le voci attive indicate nell’ultimo bilancio depositato, relativo all’anno 2006″.

Signorello è stato ritenuto responsabile anche di distruzione e furto di scritture contabili, “la condotta è stata accertata come bancarotta fraudolenta documentale nonché di furto di documentazione contabile al fine di evitare il pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto”.

Causa del fallimento è stata ritenuta dai giudici dei tre gradi di giudizio l’operazione su Lucca dell’imprenditore. «La sentenza impugnata ha chiarito che è stata ottenuta la prova delle vendite degli appartamenti, i cui proventi sono stati confermati dallo stesso imputato in dibattimento senza però che questi abbia potuto spiegare la destinazione di tali proventi – sottolinea la Suprema Corte – né rinvenuti nelle casse sociali o comunque investiti nell’attività aziendale”.

Riguardo al mancato reperimento dei documenti contabili da parte della Guardia di finanza, la sentenza respinge l’ipotesi di furto sostenuta da Signorello. Leggiamo sul punto: «La stringente sequenza temporale tra ricezione e scomparsa, nonché il fatto che il ricorrente abbia tentato di imputare l’assenza di documentazione ad un furto subito, e mai neppure denunciato, hanno indotto la Corte d’Appello a considerare la indizi configurati del dolo specifico di aver distrutto o sottratto le scritture contabili al fine di “impedire l’individuazione della condotta distrattiva”; il che equivale a ritenere che la condotta sia stata improntata allo scopo di impedire la ricostituzione del patrimonio sociale e di arrecare pregiudizio ai creditori”. l

Pietro Barghigiani

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