Quando Ignazio Silone osò sfidare Stalin – .

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Il 1° maggio 1900 nasce a Pescina Ignazio Silone, cantore della vita disperata dei contadini di Fontamara e di un cristianesimo pauperistico L’avventura di un povero cristiano. La città di Pescina celebra il 1 maggio il 124° anniversario della sua nascita con la lettura di brani delle sue opere da parte di studenti provenienti da tutto l’Abruzzo. Da giovane comunista, nel 1927 a Mosca, Silone osò sfidare da solo Stalin sulla condanna di Trotsky

Mosca, maggio 1927. Un giovane Ignazio Silone entra in una stanzetta, in compagnia di Palmiro Togliatti, in un’affollata riunione del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista presieduta da Stalin. Ordine del giorno: la liquidazione di Trotsky e Zinoviev. Entrano tardi, naturalmente: Togliatti veniva da Parigi e Silone dall’Italia; si erano conosciuti a Berlino e da lì avevano proseguito insieme per Mosca. Fu un incontro piuttosto privato, ma Togliatti aveva insistito perché in quel delicato momento fosse presente Silone, capo della struttura clandestina del partito comunista. Erano passati solo dieci anni da quando il diciassettenne marsicano, allora Secondino Tranquilli, era già segretario regionale della Lega dei contadini, in Pescidove è nato. Organizzò incontri con i lavoratori poveri della zona e, per incoraggiarli a prendere coscienza sociale, leggeva e commentava con loro racconti di Tolstoj, in una stanza dove era appeso un Cristo Redentore vestito di rosso e la scritta “Beati quelli che hanno sete di giustizia”. Cafoni, la letteratura, Cristo: c’era già tutto Silone. Questo bambino prodigio Già abruzzese cercava di capire se un’opera letteraria potesse aiutare i derubati, come diceva lui, derubati di tutto, della parola, della dignità, della vita a scrollarsi di dosso lo stato pietoso in cui erano costretti a vivere. Dopo aver lasciato la scuola, nel 1921 partecipò alla fondazione del Partito Comunista e tra il 1921 e il 1927, come membro della direzione del partito, svolse diverse missioni in Russia e in altri paesi europei, compresa la prigionia in Spagna e Francia.

Dunque, Mosca 1927. Ernst Thälmann, segretario generale del Partito comunista tedesco, presiedeva la riunione e in quel momento stava leggendo una risoluzione sulle misure da adottare contro Trotsky, che aveva scritto un documento in cui criticava aspramente il Partito comunista russo. Thälmann ha chiesto se tutti fossero d’accordo; si è alzato il finlandese Kuusinen dicendo che la condanna dovrebbe essere ancora più esplicita. Nessuno osava più parlare. Solo Silone, dopo aver consultato Togliatti, ha preso la parola un po’ timidamente e, scusandosi per il ritardo, si è rammaricato di non aver potuto vedere il documento di condanna. “A dire il vero non l’abbiamo visto nemmeno noi”, ha risposto candidamente Thälmann. La risposta stupì Silone, che riformulò l’obiezione: “Può darsi che il documento di Trotsky sia da condannare, ma non posso condannarlo prima di averlo visto”. “Nemmeno noi”, ribatté Thälmann in tedesco, “nemmeno la maggior parte dei delegati l’ha letto. Tranne i russi.” Ora il tedesco veniva tradotto in russo per Stalin e in francese per gli italiani. L’incredulo Silone pensò di trovarsi di fronte ad un errore di traduzione e chiese nuovamente l’intervento del traduttore. A questo punto Stalin decise di intervenire. Fino a quel momento era rimasto in piedi nell’angolo della stanza ed era l’unico che era rimasto calmo. “L’Ufficio Politico del Partito Comunista”, disse imperturbabile Stalin, “ha ritenuto inappropriato tradurre e diffondere il testo di Trotsky agli altri delegati a causa di alcune allusioni alla politica dell’Unione Sovietica”. Il testo in questione sarebbe stato poi pubblicato dallo stesso Trotskij, conosciuto con il titolo di I problemi della rivoluzione cinese. Silone non fu soddisfatto della risposta data dallo stesso Stalin. “Non contesto il diritto dell’Ufficio Politico di mantenere riservati alcuni documenti”, ha insistito, “ma non capisco come si possa chiedere che siano condannati”. A quel punto è esplosa l’indignazione contro i due italiani, visto che Togliatti sembrava sostenerlo. Kuusinen, rosso in viso, considerava inconcepibile – disse con un’espressione di disgusto e di scherno – la presenza nel partito di due piccolo borghesi. Nel tumulto generale, solo Stalin continuò a mantenere la calma: “Se anche un solo delegato è contrario alla risoluzione, questa non potrà essere presentata”, disse con fermezza. “Forse i nostri compagni italiani non sono ben consapevoli della situazione politica internazionale. Propongo di sospendere la seduta fino a domani e chiederò a uno dei presenti di spiegare come stanno le cose”. L’ingrato compito fu affidato a Kolarov, che sarebbe poi diventato Primo Ministro della Bulgaria. “Miei cari italiani, lo so che l’Italia è il classico paese delle accademie, ma qui non siamo all’università”, si rivolse loro quella sera Kolarov con discrezione, ma con franchezza, davanti a una tazza di tè. “Anche se Trotsky stesso mi portasse il testo, non lo leggerei. Non è una questione di documenti, ma siamo nel mezzo di una lotta di potere tra due fazioni del Direttorio. Qualunque cosa provenga dalla minoranza, io sto con la maggioranza. Non mi interessano i documenti. Sono stato chiaro?”. “Sì”, rispose Silone. “E ti ho convinto?”. “No”, è stata la risposta del giovane abruzzese, che ha aggiunto: “Dovrei spiegarvi perché sono contro il fascismo”. Togliatti, in modo più moderato, condivideva la posizione del compagno italiano. Kolarov accompagnò i due alla porta: “Siete troppo giovani per capire come funziona la politica”.

Il giorno dopo la piccola stanza si riempì di nuovo. Un’atmosfera di nervosismo percorreva la gente. “Se anche un solo delegato”, ha ricordato Stalin, “è contrario alla risoluzione, questa non passerà. Allora i nostri compagni italiani sono favorevoli?”. Anche questa volta è intervenuto Silone: ​​«Prima di prendere in considerazione la delibera, dobbiamo esaminare il documento in questione». D’accordo anche il francese Treint e lo svizzero Humbert-Droz. “La proposta è ritirata”, rispose seccamente Stalin. La piccola stanza fu gettata nel caos. Thälmann inveì contro l’atteggiamento scandaloso di Togliatti e Silone e disse che, se l’Italia era così legata al fascismo, la responsabilità era anche dei comunisti piccolo-borghesi italiani e che il Partito Comunista Italiano doveva essere messo al vaglio. Cosa che poi accadde. Silone ne uscì molto scoraggiato. “Tutti quelli che sono in prigione, che sono già morti, hanno sacrificato la loro vita per questo? La vita che stiamo vivendo – viviamo come esuli e quasi come vagabondi – per cosa la facciamo?”. Poco prima della partenza, un operaio italiano è venuto a trovare Silone, lamentandosi delle dure condizioni di lavoro a cui erano sottoposti i lavoratori in Russia. Peggio che nei paesi capitalisti! Quei tanto decantati diritti della classe operaia erano parole vuote. Pochi giorni dopo, a Berlino, dove Silone attendeva i suoi documenti falsi, apprese dai giornali la notizia della condanna di Trotsky da parte del Comintern. «Non può essere vero», protestò Silone. Si rivolse poi a Thälmann: in caso di emergenza il Presidium del Comintern poteva adottare qualsiasi risoluzione. “Questo è ciò che significa la disciplina comunista”. Inquietante. Poco dopo Togliatti fece marcia indietro: ragioni storiche imponevano di accettare la linea russa, anche se non era la soluzione più soddisfacente. Dopotutto, cosa avrebbero potuto fare per cambiare le cose? Niente. Silone, però, lasciò il partito nel 1930 e riprese la sua strada, soffrendo. “Vengo da un paese dove l’abito da lutto si indossa più a lungo che altrove”.

Silone conosceva personalmente Trotzky dai tempi del Partito Comunista Italiano. Appena uscito il suo capolavoro Fontamara, il romanzo prese subito piede negli ambienti letterari. Trotzky, già in esilio, fu tra i primi a leggere l’opera e ne rimase profondamente colpito. Così scriveva l’esule russo il 17 luglio 1933 al trentatreenne Silone: ​​“In Fontamara la passione raggiunge livelli tali da renderla un’autentica opera d’arte. Il libro merita di essere distribuito in milioni di copie”. La profezia si è avverata, perché Fontamara, tradotto in ventisette lingue, ha venduto oltre un milione e mezzo di copie. Silone non accettò mai l’invito di Trotskij a un incontro, anche se il pescarese era stato praticamente l’unico a difenderlo a Mosca nel 1927; giudicava il suo dogmatismo ideologico un ostacolo decisivo a un possibile accordo politico. Il leader russo in esilio esercitò per un certo periodo una notevole influenza sulla vita politica e culturale dell’Occidente, suscitando interesse e vivaci dibattiti tra gli intellettuali. Stalin non poteva restare a lungo. Dopo vari spostamenti, Trotskij trovò rifugio in Messico, dove venne ucciso nell’agosto del 1940. «Ciò che mi colpì nei comunisti russi, anche in personalità davvero eccezionali come Lenin e Trotskij», scriveva Silone nel 1949 in Il Dio che ha fallito, “era l’assoluta incapacità di discutere onestamente opinioni contrarie alle proprie. Il dissenziente, per il semplice fatto che ha osato contraddire, è stato senza dubbio un opportunista, se non addirittura un traditore e un venduto. Un avversario autentico sembrava inconcepibile ai comunisti russi”.

Il travagliato cammino che Ignazio Silone ha intrapreso lungo tre quarti del difficile secolo appena trascorso si conclude il 22 agosto 1978 a Ginevra, in Svizzera. Una crisi cerebrale lo aveva colpito quattro giorni prima, mentre scriveva Severina, l’ultimo romanzo incompiuto. Le sue ceneri furono portate, come da lui espressamente voluto, a Pescina per due giorni. La via principale del paese è dedicata a Quinto Popedio Silone, uno dei capi dei ribelli italiani al tempo della Guerra Sociale contro Roma. Silone aveva scelto questo nome di battaglia, cristianizzandolo con l’aggiunta di Ignazio. Il cimitero si riempì presto di corone: venivano ad onorarlo da tutto l’Abruzzo e da Roma. In prima fila la corona di Sandro Pertini, compianto Presidente della Repubblica, che definì Silone “un uomo dal cuore puro, un intellettuale onesto. C’è una frase di Silone che ho sentito di recente: Le grida della folla non possono mettere a tacere la voce della coscienza. Ecco, tutto Silone è nella frase”.

Ciao Silone. La tua coscienza di eterno ragazzo abruzzese ti aveva abituato a dire pane al pane, vino per vino, sale per sale, cioè la verità. La scrittura è diventata per te un’esigenza imperativa per testimoniare il tuo amore per la libertà, la tua passione civile, per affermare il senso e i limiti di una rottura dolorosa ma definitiva. E forse di una lealtà più sincera alla tua lotta per la verità.


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