Terrore e destabilizzazione in Emilia ai tempi di Uno Bianca – .

103 atti criminali, 24 morti, 102 feriti graviil tutto in un periodo relativamente breve, che va dal 19 giugno 1987 al 21 novembre 1994. Questo il curriculum poco invidiabile di Gruppo Uno Bianca, l’organizzazione criminale che seminava il terrore tra Emilia Romagna e Marche fino all’arresto dei suoi membri – i fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi, Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli. A rendere ancora più clamorosa tutta la vicenda fu il fatto che tutti, ad eccezione di Fabio Savi, appartenevano alla polizia.

La denuncia e le nuove indagini

La storia si è conclusa con l’arresto? Assolutamente no. Con gli anni è cresciuto il sospetto che ci fosse qualcosa di non detto a fare da sfondo all’intera vicenda, un retroscena indicibile; il seme del dubbio che i componenti della cosca avessero agito con un secondo fine diverso da quello delle rapine si era consolidato al punto che circa un anno fa, il 24 maggio 2023, alcuni familiari delle vittime, assistiti dall’avvocato Alessandro Gamberini e dal collega Luca Moser, hanno consegnato alla Procura di Bologna e alla Procura nazionale antiterrorismo un esposto di 250 pagine chiedendo la riapertura delle indagini. Una richiesta accolta a inizio gennaio 2024 dal procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato.

Secondo quanto riportato nella denuncia, la Uno Bianca non era solo una banda di rapinatori, ma di terroristi, “il cui obiettivo – si legge – era principalmente diffondere il panico tra la popolazione“. Una cosca che, secondo un’interpretazione condivisibile degli avvocati e dei parenti che appoggiarono l’iniziativa legale, ereditò la “missione di proseguire la strategia della tensione”, ma questa volta non con finalità golpistiche, come accadde tra la fine degli anni Sessanta ( Strage di Piazza Fontana, 12 dicembre 1969) e la prima metà degli anni Settanta. Quella dei fratelli Savi e dei loro complici è stata definita dall’onorevole Libero Gualtieri, che nella X legislatura era a capo della commissione parlamentare d’inchiesta sui delitti della Uno Bianca, come una “massacro diffuso“, concentrati principalmente in una regione chiave nello scenario della destabilizzazione. Basti pensare a strage alla stazione di Bologna del 1980 e quella del Rapido 904 del 1984.

La galleria degli orrori

In quella che ancora oggi è considerata la regione “rossa” d’Italia, i Savi e gli altri componenti della cosca agirono indisturbati per sette anni, godendo – come sostenuto e attentamente precisato nella denuncia – di una copertura attuata con depistaggi clamorosi che non è stato indagato in passato e su cui dovrebbero concentrarsi le nuove indagini.

In questo contesto di sangue e terrore, c’è una sezione della denuncia particolarmente inquietante in cui vengono elencati alcuni eventi, non tutti legati alle azioni del gruppo criminale. 6 episodi tra il 1987 e il 1988 che videro – loro malgrado – protagonisti i Carabinieri, con morti in circostanze misteriose e arresti. Come accennato si tratta di eventi non sempre collegabili all’attività della cosca Uno Bianca, ma che hanno contribuito in modo significativo ad alimentare il clima di diffusa tensione in Emilia Romagna. Vediamoli:

Uno strano rapimento

21 aprile 1987. Un giovane carabiniere di leva, Pierpaolo Minguzzi, in servizio presso una caserma di Bosco Mesola, nel ferrarese, scompare nel nulla la sera di Pasqua dopo aver accompagnato a casa la fidanzata. La sua auto è stata ritrovata nei pressi della piazza principale di Alfonsine, in provincia di Ravenna, dove il giovane viveva e dove aveva ereditato dal padre un’azienda ortofrutticola. Solo più tardi scopriremo che è stato rapito e strangolato quella sera stessa all’interno di una stalla abbandonata tra Comacchio e Lagosanto. Il suo corpo venne ripescato il primo maggio dal Po di Volano, dopo essere riemerso nonostante fosse legato ad una grata di ferro. I rapitori avevano contattato la famiglia. Un uomo dal forte accento siciliano aveva chiesto la somma di 300 milioni. Dopo il ritrovamento del cadavere, nonostante la notizia fosse stata mantenuta riservata nella speranza di incastrare i rapitori, i contatti si erano interrotti. Gli investigatori hanno ipotizzato che i sequestratori abbiano avuto modo di seguire molto da vicino le indagini. Il sospetto crebbe ulteriormente tre mesi dopo, il 13 luglio.

Sparatoria tra colleghi

Nella notte del 13 luglio, al termine di intense indagini volte a sventare un tentativo di estorsione nei confronti di un altro imprenditore ortofrutticolo, al quale erano stati chiesti, per il riscatto di Minguzzi, 300 milioni di lire, i Carabinieri del Reparto Operativo di Ravenna sono impegnati in una sparatoria con tre malviventi. . Nell’azione ha perso la vita Sebastiano Vetrano, 23 anni, originario di Falciano, vicino a Casera. Gli autori dell’estorsione vengono arrestati. Uno di loro è un idraulico. Gli altri due, Orazio Tasca e Angelo Del Dotto, erano carabinieri della stazione di Alfonsine. Tasca era originario di Gela ed era sospettato di essere l’operatore telefonico del sequestro Minguzzi. Le indagini, però, non sono riuscite a dimostrarlo.

Esecuzione sommaria

Il 20 aprile 1988 giunsero a Castel Maggiore, alle porte di Bologna barbaramente ucciso Cataldo Stasi e Umberto Erriu, carabinieri. Colti di sorpresa durante un controllo di routine, i due non hanno fatto nemmeno in tempo a estrarre le pistole d’ordinanza per difendersi e sono caduti crivellati di proiettili. Nel corso degli accertamenti non sono mai stati rinvenuti i fogli di servizio volti a verificare quali controlli avesse effettuato la pattuglia nei giorni precedenti. Poche settimane dopo gli omicidi, arrivò Arrestato per depistaggio il brigadiere dei carabinieri Domenico Macauda, in servizio presso il nucleo operativo dei Carabinieri di Bologna. Solo nel 1994 il fatto venne attribuito alla cosca Uno Bianca. La denuncia chiede di tornare a indagare sul ruolo di Macauda.

“Siamo colleghi”

Quando gli uomini della Squadra Mobile di Bologna, il 15 giugno 1988, fermarono i due ragazzi che avevano appena rapinato la reception di un albergo, probabilmente rimasero stupiti quando entrambi tirarono fuori il distintivo e si qualificarono come carabinieri: “siamo colleghi ” disse uno dei due. Fernando Missere aveva lasciato il servizio un mese prima dopo essersi imbattuto in un’indagine su assegni di dubbia provenienza; Gaetano Tuminelli lavorava ancora nel reparto traduzioni. Cinque giorni prima di questa rapina erano stati notati subito dopo un’aggressione al casello autostradale di Modena.

L’inferno in caserma

L’evento senza dubbio più misterioso e inquietante di questa serie avvenne il 16 novembre 1988. Intorno alle ore 12, il comandante della stazione dei Carabinieri di Bagnara di Romagna, Luigi Chianese, convocò i suoi commilitoni per un incontro di cui non si seppe mai il motivo. A lui si sono uniti in sala Daniele Fabbri, Paolo Camesasca, Antonio Mantella e Angelo Quaglia. Subito dopo si scatenò l’inferno. Sono esplosi più di cento proiettili. Nessun sopravvissuto per raccontare cosa è successo. Secondo la versione ufficiale si trattò di un omicidio-suicidio: Mantella avrebbe scaricato sui suoi colleghi tre caricatori di tre diverse mitragliatrici M12, colpendoli all’addome e quasi tagliandoli a metà. Subito dopo avrebbe piantato due proiettili in testa ad un Camesasca già morto e avrebbe riservato per sé il terzo. Una versione certamente singolare, se dobbiamo immaginare un solo uomo che maneggia quattro armi diverse senza che nessuno degli altri presenti tenti la minima reazione. Pochi minuti dopo la strage, sul posto sono arrivate diverse pattuglie di carabinieri, ma anche alti funzionari dell’ Terremoti, i servizi segreti militari, tra cui Marco Mancini. Il caso venne chiuso nel 1991, attribuendo la paternità della strage a un impeto di Mantella.

Una rapina finita nel sangue

Salvatore Vinci, carabiniere 37enne del reparto operativo di Vercelli, è morto durante un servizio antirapina sul luogo dell’aggressione ad un furgone portavalori. L’assassino, Maurizio Incaudo, 26 anni, era un carabiniere in servizio alla stazione di Varallo Sesia, così come il suo complice, il carabiniere Alessandro Chieppa.

Insomma, una galleria degli orrori che si inserisce perfettamente un contesto storico complicato, se pensiamo alle delicate indagini condotte in quegli anni dai magistrati Carlo Mastelloni e Felice Casson, in relazione all’organizzazione Gladio e ad un’altra strage in cui persero la vita tre carabinieri, quella di Peteano, avvenuta nel 1972 in Friuli. Un contesto ricco di implicazioni ancora oggi in gran parte da scoprire e che, forse, non troverà mai una spiegazione univoca. Indubbiamente le nuove indagini disposte dalla Procura di Bologna potrebbero contribuire a far luce su molti angoli oscuri. E aspetteremo con fiducia.

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