Si apre con un convegno di Bonora – . la mostra “Portici, portali, porte” nelle cisterne di Santa Maria di Castello.

Il 10 maggio alle ore 17 a S. Maria di Castello, Ferdinando Bonora inaugurerà la mostra fotografica “Portici, portali, porteni” con un convegno sul tema, iniziativa nata dalla collaborazione tra l’associazione culturale Santa Maria di Castello e Assest , l’associazione Centro Storico Est, con il patrocinio del Comune di Genova e nell’ambito degli eventi “Torre Embriaci e dintorni” che ne accompagneranno l’apertura

Le fotografie in mostra (di Renzo Castello, Roberto Chierici, Filippo Maiani e Domenico Ricci) ripercorrono l’evoluzione architettonica (fino agli inizi del XVII secolo) dei portali che, a partire dalla seconda metà del XV secolo con la chiusura dei portici, furono costruiti in pietra nera o in marmo per ingentilire i palazzi patrizi: il percorso espositivo mette in luce non solo la bellezza di questi manufatti, ma anche il loro attuale riutilizzo e il degrado a cui molti sono abbandonati.

Questa mostra vuole essere anche un’occasione di conoscenza e consapevolezza per contribuire al recupero e alla tutela di un patrimonio culturale diffuso in tutta la città antica, di cui costituisce uno degli elementi caratterizzanti di altissima qualità.

La mostra è allestita nella cisterna di S. Maria di Castello e sarà aperta fino al 19 maggio dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18. L’ingresso è gratuito.

DAI PORTICI AI PORTALI
Genova, città portuale, basò la sua economia prevalentemente sul commercio fino alla metà del XV secolo
e sulla produzione di beni.
I depositi e i magazzini ospitavano ogni tipo di merce e gli edifici, situati lungo strade trafficate
intorno alle piazze dei consorzi si aprivano, a livello della strada, ampi portici dove si ricevevano e si ricevevano gli ospiti
clienti e si svolgevano le trattative, gli scambi ed i rituali della famiglia proprietaria.
A partire dalla seconda metà del XV secolo seguì la progressiva perdita delle colonie orientali
alla conquista turca di Costantinopoli (1453) e ai nuovi rapporti instaurati con la Spagna e le Fiandre,
si verificarono cambiamenti radicali nel tessuto economico, sociale e culturale della città che ne modificò la fisionomia
viso.
Gli edifici iniziarono ad essere radicalmente ristrutturati mantenendo ciò che ancora poteva essere
riutilizzati per scopi statici, ma riconvertiti ad usi e forme aggiornati, adatti a diversi modi di vivere e
tendenze di gusto che prendevano il sopravvento: i portici furono murati, le plurifore tamponate e sostituite
dalle moderne monofore, gli interni furono strutturati diversamente, furono nascosti nuovi intonaci
le preesistenze, che sarebbero state riportate alla luce solo dalla fine dell’Ottocento fino ad oggi, con
raschiature volte a ricercare ed evidenziare testimonianze di storia remota, o ritrovamenti casuali.
Nuovi e più grandiosi palazzi, nati dalla fusione di diverse case medievali adiacenti, divennero
strumento di rappresentanza degli imprenditori aristocratici che assunsero un ruolo centrale nel nuovo
stagione economica, ormai decisamente orientati più alla finanza che al commercio come i loro antenati.
Una volta chiusi i portici, per ingentilire i palazzi patrizi, furono distribuiti all’interno atri, cortili e scalinate. Per accedervi
dall’esterno furono realizzati raffinati portali di pietra nera o di marmo, veri capolavori d’arte
elementi decorativi che ancora oggi impreziosiscono antichi vicoli e piccole piazze.
I maestri capaci di realizzare tali opere provenivano quasi tutti dai paesi rivieraschi dei laghi di Como e
di Lugano e delle valli Intelvi: furono i Gaggini, i Della Porta, i Riccomanno (ma di Pietrasanta), gli Aprile, i
D’Aria, i Carlone e le altre dinastie di scultori e costruttori che per generazioni e secoli furono protagonisti
dell’edilizia e della scultura a Genova.
Gli esempi più antichi di portale, piuttosto semplici, erano costituiti da due stipiti non decorati e sormontati
da sopra la porta con un tema religioso. Già dalla seconda metà del Quattrocento, grazie soprattutto a Giovanni Gaggini,
subirono un’evoluzione attraverso un ornamento più ricco, capace di inglobare stipiti e
sopra la porta.
Con l’emergere dello stile rinascimentale, gli artisti trassero ispirazione dall’architettura classica e
realizzarono portali che spesso avevano un arco a tutto sesto, sormontato da trabeazioni, con stemmi
decorazioni guerresche e stipiti decorati con medaglioni di imperatori romani.
Nel corso del tempo, man mano che l’architettura cambiava, anche i portali cambiavano forma e schemi iniziali
menzionato seguiva uno stile scultoreo monumentale. Si sviluppavano in altezza, con stipiti costituiti da
colonne o erme singole o binate, con trabeazioni decorate con bucrani, patere, bassorilievi e statue ovunque
girare. Questo grazie all’influenza di personalità come Silvio Cosini, Giovanni Angelo Montorsoli, Giambattista
Castello il Bergamasco, Gian Giacomo Paracca detto Valsoldo, Taddeo Carlone ed altri, in architettura spesso
su modelli di Galeazzo Alessi.
Esempi illuminanti si trovano al Palazzo del Principe o in Strada Nuova (oggi via Garibaldi), oltre
che nel resto della città vecchia.

DAI PORTALI ALLE PORTE
A metà dell’Ottocento iniziò l’esodo delle classi abbienti dalla città antica verso le nuove zone
residenziale e si intensificò la destinazione dei palazzi nobiliari a nuovi usi, già avviata da alcuni
decenni: alberghi (in particolare quelli affacciati sul porto), magazzini, uffici (“scagni”), laboratori e
soprattutto appartamenti da affittare alle classi popolari, con interventi di adeguamento anche sostanziali
e mortificazione dell’interno.
Nei periodi di minore disponibilità economica, gli eredi di coloro che avevano costruito le sontuose dimore o
anche coloro che ne erano subentrati avevano già iniziato a generare reddito
spazi magnifici ma improduttivi degli atri monumentali a cui davano accesso i portali,
convertendoli in tutto o in parte in luoghi di commercio o di produzione o di deposito: in
in alcuni casi l’ingresso proseguiva attraverso l’antico portale ma in un atrio più piccolo e dotato di tramezzi; in altri
In alcuni casi l’intero atrio fu destinato a nuovi usi e fu aperta una nuova modesta porta per accedere al
scala, mentre quella vecchia divenne l’ingresso dell’attività commerciale, con una nuova funzione
spesso continuando fino ad oggi come mostrano alcune foto.
Questo processo si intensificò nel XIX e all’inizio del XX secolo con l’aumento della popolazione
del centro storico (punta nel 1936 con 54.745 residenti) e dell’intera città (punta nel 1971 con 816.872 abitanti)
residenti). La parte più antica di Genova assunse il ruolo di un grande centro commerciale con a
miriadi di negozi di ogni tipologia, spesso realizzati con ulteriori interventi di degrado di strutture preesistenti
di pregio e sono rimasti solo i portali a testimoniare l’antico splendore.
Negli ultimi anni stiamo assistendo a nuovi cambiamenti, non sempre positivi. Per colpa di
trasformazione della rete commerciale a livello cittadino (con l’avvento dei supermercati, nuove
centri commerciali e ora anche shopping online), delle caratteristiche morfologiche del centro
storica e il notevole calo della popolazione, i quartieri antichi sono sempre meno
luogo di vendita e produzione artigianale, con la chiusura di molti negozi che ne consegue
spesso un degrado delle strutture abitative solo parzialmente mitigato dallo sviluppo turistico,
inoltre, non sempre è favorevole per la comunità residente la sottrazione delle case a caro prezzo
accessibile.
Questo degrado porta inevitabilmente con sé anche quello dei portali, che scompaiono solo parzialmente
restaurato e valorizzato mentre in molti altri casi deturpazioni, atti vandalici e mancata manutenzione
accelerano sempre più il loro deterioramento.
Questa mostra vuole essere anche un’occasione di conoscenza e di consapevolezza
al recupero e alla tutela di un patrimonio culturale diffuso in tutta la città antica, di cui
costituisce uno degli elementi caratterizzanti di altissima qualità.

I MATERIALI
A chi passeggia, i nostri si alternano ai portali fin qui citati in purissimo marmo di Carrara
contrade, quelle non poche scolpite nel bel nero del Promontorio che quasi non osi chiamare tale pietra
eguaglia i marmi con forza e lucentezza; meno resistente e di colore più tenue è un’altra pietra che
traean di Lavagna o Chiavari meno adatto all’intaglio…
È con questa immagine concisa ma eloquente che Federico Alizeri descrisse al viaggiatore nel 1847
materiali con cui venivano scolpiti i portali e le sovrapporte della Genova antica.
Anche se oggi il termine pietra di Promontorio è esteso a tutto l’affioramento di Calcari Marnosi
Anfiteatro genovese, nel XV secolo questo litotipo “genovese genuino” rappresentò per poco più di un secolo un
ottimo materiale utilizzato solo per elementi architettonici di pregio e di limitate dimensioni come
sopraporte, portali o mensole.
Le caratteristiche petrografiche di questo livello lo consentivano di spessore limitato (forse qualche metro).
creare sculture in altorilievo quasi come se fossero marmo grazie all’assenza di fratture o piani di sedimentazione
come nell’ardesia.
Litotipo pregiato perché microcristallino e capace di “brillare”, veniva coltivato dagli scalpellini in grandi
gallerie per “inseguire” il livello.
Le cave si trovavano all’interno di una collina lungo il lato destro del Fossato di San Lazzaro (oggi Via Venezia – Piazza
Sopranis), collina spianata per costruire i moli del porto ottocentesco.
Le gallerie, di cui si persero le tracce dopo che i Padri Comunali fecero murare gli ingressi nel 1629,
furono riscoperti nel 1891 da Angelo Boscassi, Ispettore dei beni artistici del Comune di Genova,
prima di essere distrutto durante i lavori di scavo.
Alla fine del XVI secolo la “pietra nera del Promontorio” che i nobili genovesi vollero per i loro portali fu
accantonate e forse le cave furono abbandonate e chiuse non solo a causa dei consistenti volumi creatisi
nel sottosuolo potevano fornire facili nascondigli alle bande ostili alla Repubblica.
Ora nasce la Genova dei marmi colorati o meglio delle “miscele colorate” come descritte con stupore dalla gente
viaggiatori dell’inizio del XIX secolo; termine perfetto per significare, in una singola colonna o specchio, un insieme
di colori realizzati con litotipi di diversa provenienza che vogliono sottolineare la nuova ricchezza della città.
Grazie a Magini, nel 1610 furono ripristinate le antiche cave già conosciute in epoca romana
( marmora ligustica ) o di nuovi se ne trovano nelle immediate vicinanze della città.
Solo per citarne alcuni, a Canneto il Lungo (civ. 16) troviamo quindi un portale con colonne in misto verde
della Valpolcevera (o miscuglio verde di Pegli?) in oficalcite mentre unica in città è la cornice
rosso-porpora, sottile ma evidente nelle Argilliti di Montoggio, del portale “la virtù di Spinola” in marmo
bianco ( ! ) in vico della Torre di San Luca 6.
Pietra ligure per eccellenza, l’uso dell’ardesia o della lavagna è sicuramente molto antico e risale al
preromana come testimoniano le sepolture della necropoli di Chiavari dell’VIII e VII secolo a.C. C..
Le ardesie, marne plumbee scistose leggermente metamorfosate, coltivate fino ai giorni nostri in cave lungo
gli affioramenti da Uscio a Lavagna e Chiavari hanno la caratteristica proprietà di spaccarsi in lastre molto sottili
che per la loro ottima lavorabilità vengono normalmente utilizzati per abbaini, gradini, stipiti, pavimenti e simili
ma non riescono ad assumere la “lucentezza” della pietra del Promontorio.
Infine il marmo bianco di Carrara, per i romani marmor lunensis, marmo bianco saccaroide
ricristallizzazione, veniva estratto già nell’età del Ferro nei bacini apuani intorno a Colonnata.
Dopo un lungo periodo di quasi abbandono, la riscoperta del marmo bianco e delle sue cave, poi di
proprietà dei marchesi Malaspina, iniziò nel XI secolo grazie alla nuova fervente attività edilizia e edilizia
artistico in vari centri tra cui Genova.

Foto di Renzo Castello: In copertina: via San Bernardo 16r, portico tamponato. Il portale, utilizzato dai fruttivendoli e la porta accanto. Nell’altra foto Piazza Grillo Cattaneo 1.

 
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