Pfas in Veneto, quasi quattromila morti in più nella cosiddetta “zona rossa” – .

Pfas in Veneto, quasi quattromila morti in più nella cosiddetta “zona rossa” – .
Pfas in Veneto, quasi quattromila morti in più nella cosiddetta “zona rossa” – .

Nella “zona rossa” contaminata dai derivati ​​fluorurati detti Pfas, tra Veronese, Vicentino e Padova, si è registrato un aumento dei decessi, rispetto ai valori attesi, pari a quasi quattromila morti in più. Il dato saliente “drammatico, sconvolgente, purtroppo in parte previsto” è contenuto in uno studio condotto da una rete di scienziati e ricercatori che si riferisce all’Università di Padova, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica statunitense «Environmental Health». La notizia è stata subito rilanciata dalla rete ambientalista veneta “Mamme No Pfas” con una infuocata nota pubblicata nella mattinata del 6 maggio.

Le notizie

La ricerca dell’Università di Padova, spiegano gli attivisti, ha infatti messo in luce l’impatto devastante della contaminazione da sostanze “perfluoroalchiliche” e polifluoroalchiliche (“il temuto Pfas” per la precisione) sulla mortalità della popolazione residente nei comuni veneti maggiormente colpiti da un’enorme contaminazione attribuita in gran parte a un’industria chimica dell’ovest vicentino, la Trissinian Miteni, ormai fallita e contemporaneamente finita alle banchine di un processo penale che sta facendo scalpore in tutta Europa. La ragione? La vicenda veneziana è tra i casi di inquinamento più gravi al mondo.

Nel 2013, infatti, è stata scoperta in Veneto una vasta contaminazione delle acque che ha interessato soprattutto i trenta comuni della cosiddetta “zona rossa, nelle province di Vicenza, Padova e Verona, dove sono stati rilevati PFAS, si legge nella nota”.in concentrazioni preoccupanti nelle acque superficiali, sotterranee e potabili, avvelenando circa 350.000 persone».

Più nel dettaglio, la ricerca è stata condotta dal professor Annibale Biggeri insieme alla sua équipe dell’Università di Padova, in collaborazione con il Registro tumori dell’Emilia-Romagnail Servizio Statistico dell’Istituto Superiore di Sanità ISS, nonché con il contributo dell’unità di analisi civica e scientifica partecipata: è questa la “iniziativa di scienza civica” della rete ecologista veneziana “Mamme No Pfas”.

Il periodo esaminato: dal 1985 al 2018

Il lavoro degli esperti ha evidenziato un aumento significativo della mortalità. Per la precisione dal 1985 al 2018 si è registrato un eccesso di oltre 3800 decessi rispetto al valore atteso: cioè “un decesso in più ogni tre giorni”. Per dare un’idea più concreta, si legge nella nota, è come se in questi trentaquattro anni fosse scomparsa la popolazione complessiva di due comuni “in zona rossa” (che conta circa 100mila residenti): cioè Orgiano con tremila abitanti e Asigliano che ne conta ottocento. Ed è proprio l’elevato aumento dei decessi rispetto all’esiguità del perimetro territoriale preso in considerazione (appena 100mila abitanti) a preoccupare chi vive in quei Comuni.

Lo spettro tumorale tra i giovani e l’“associazione causale” per eventi mortali dovuti a malattie cardiovascolari

Lo studio ha rivelato che, nel corso di quasi trentacinque anni, si è registrato un aumento dei decessi per tutte le cause nella popolazione dell’area contaminata. In particolare, per la prima volta, è stato dimostrato «un’associazione causale» tra esposizione a Pfas «e un elevato rischio di morte per malattie cardiovascolari». Attraverso l’analisi delle diverse fasce di età, lo studio ha evidenziato un aumento del rischio di insorgenza di malattie tumorali al diminuire dell’età. La popolazione più giovane, esposta ai PFAS già durante l’infanzia, è quella che paga il prezzo più alto.

Con l’allattamento “le mamme sono protette, i bambini sono avvelenati”

Sorprendentemente è stato osservato un effetto protettivo anche nelle donne in età fertile. Questo fenomeno potrebbe essere attribuito al trasferimento, già ampiamente documentato nella letteratura scientificadi Pfas dal sangue materno al feto durante la gravidanza e l’allattamento, nonché la conseguente diminuzione dei livelli di Pfas nelle madri.

Queste “drammatiche evidenze scientifiche ci spingono a dire” che “Mothers no Pfas” ci fa sapere che “non ci sono più scuse per ritardare ulteriormente l’avvio dello studio di massa, noto come “studio di coorte”, approvato dalla Regione Veneto già nel 2016, ma mai avviato. «Il piano di sorveglianza sanitaria già varato dalla Regione Veneto non è sufficiente» attaccano le mamme «perché ha modalità e obiettivi diversi». Che ancora una volta definiscono “drammatica” la scoperta fatta dall’équipe del professor Biggeri.

«Studio di coorte: basta scuse»: sostanze nocive nell’acqua, nell’aria e negli alimenti

In particolare, lo studio di coorte, sottolineano gli ambientalisti, è fondamentale in questo contesto per diverse ragioni: tra cui la necessità di procedere con un’analisi a lungo termine e l’identificazione dei fattori di rischio. Gli attivisti aggiungono inoltre che è fondamentale delineare una serie di indicazioni per le politiche di sanità pubblica. Pertanto, “sebbene il piano di sorveglianza sanitaria fornisca informazioni preziose” sullo stato di salute della popolazione esposta, “lo studio di coorte costituisce un complemento indispensabile” per comprendere appieno l’impatto della contaminazione da Pfas sulla salute umana.

“Ci interfacciamo” con tutte le istituzioni e con gli organi competenti “perché si comprenda la necessità e l’urgenza di questo “studio di coorte” che è un “diritto” irrinunciabile per la “popolazione colpita”. Inoltre questo studio, attaccano gli attivisti, conferma ulteriormente “il livello di tossicità di queste sostanze, che ormai sono presenti ovunque, dall’aria, all’acqua, a ciò che mangiamo”. Pertanto, conclude la nota, “sosteniamo con forza la necessità di vietare la produzione e l’uso” dei PFAS, “come un’intera classe di sostanze” che deve avvenire “a livello globale”.

E così la rete ecologica del Nordest è già in fibrillazione oltre che sul piede di guerra, premesso oltre ad una serie di iniziative di vario genere che vengono annunciate in queste ore, non manca chi parla dell’esito dello studio come “drammatico, scioccante, purtroppo in parte previsto”. In passato Greenpeace aveva definito il Veneto centrale «zona di sacrificio» a causa della pressione negativa sull’ambiente attribuita proprio al Pfas.

 
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