‘C’era una volta la Bari dei baresi’, Pino Giusto – .

‘C’era una volta la Bari dei baresi’, Pino Giusto – .
‘C’era una volta la Bari dei baresi’, Pino Giusto – .

La rubrica sul Bari straripante di Catuzzi, giunta al suo quattordicesimo appuntamento, propone un’intervista ad un protagonista della Primavera biancorossa che vinse la Coppa Italia di categoria nel 1980-81: Pino Giusto. Centrocampista agile e tecnico, ha giocato a centrocampo per tutta la carriera. Di ritorno dagli anni in prestito al Monopoli, ottiene la promozione in Serie A con il Bari di Bruno Bolchi. Con la maglia del Bari collezionò 54 presenze e 4 gol in campionato dal 1984 al 1987. La sua carriera da calciatore si svolse esclusivamente in Puglia, vestendo, oltre a quella dei Galletti, i colori di Monopoli, Barletta, Fidelis Andria. e Bisceglie. Divenuto allenatore, ha avuto esperienze in serie C2 e Dilettanti con Nardò, Chieti, Locorotondo, Brindisi, Noicattaro, Monopoli, Matera, Potenza, Vieste, Trani, Molfetta, Terlizzi e Rutigliano. Ha allenato anche gli ‘Allievi’ del Bari dal 2014 al 2017. Oggi, 62 anni, fa parte dello staff della scuola calcio ‘Tempo Libero’ di Bari.

Il Bari di Bari è stato qualcosa di straordinario, di magico, che rimarrà per sempre impresso nella mente e nel cuore dei tifosi. Ancora oggi è ricordata come la Bari più affascinante della storia.

Allora Pino… cos’è per te Bari dei Baresi?

“Un Bari entusiasmante perché abbiamo portato entusiasmo ovunque. Una squadra unica. Era tutto. Il momento dei nostri sogni che potevano realizzarsi e che poi si sono avverati per molti di noi”.

A che età sei arrivato al Bari?

“Sono arrivato al Bari nel 1971, all’età di dieci anni. Io sono arrivato con tuo padre (Gigi De Rosa, ndr) e abbiamo fatto tutto il percorso nelle giovanili. Perciò abbiamo sempre suonato insieme, ed è un grande piacere parlare con voi, perché torno a quegli splendidi anni. Nelle piccole squadre avevo un ruolo diverso perché giocavo in attacco insieme a De Rosa e facevamo tanti gol. Eravamo entrambi piccoli, ma di gran lunga superiori a molti avversari. Eravamo molto simili, avevamo un’affinità particolare perché andavamo sempre d’accordo, come due fratelli, e siamo uniti ancora oggi. Sono orgoglioso di avere un’amicizia con Gigi De Rosa”.

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Quindi sei nato attaccante. E poi chi ti ha spostato a centrocampo?

“Ho avuto allenatore Gilberto Schino in tutto il settore giovanile del Bari, tranne un anno al Mesto. Schino mi ha insegnato molto. Fino a quattordici anni ho fatto l’attaccante, poi mi hanno usato come centrocampista e trequartista. È stato Catuzzi che mi ha insegnato il sacrificio, perché non avevo grandi doti fisiche. Mi ha fatto giocare da centrocampista, il che significava correre di più, e mi ha insegnato che in mezzo al campo bastava essere intelligenti. In prima squadra, in serie B, in alcune partite mi ha fatto giocare anche davanti alla difesa. Lo spettacolo scoperto da Mazzone, lo aveva immaginato anni prima.

Qual è la tua opinione di Catuzzi?

“Inizialmente pensavo che fosse un po’ matto perché in una lezione di calcio indicava gli attaccanti mentre parlava di difendere. Poi ho scoperto che si riferiva al pressing organizzato. Quando si parla di entusiasmo bisogna parlare di Catuzzi. Quando arrivò a Bari fu una manna dal cielo. Ha preso un gruppo di pazzi, noi della famosa Primavera, e il suo merito principale è stato quello di dare un ruolo a ognuno di noi: in Primavera è riuscito a prendere me, Nicassio, De Rosa, Piero Armenise nel primo anno e Loseto in il centrocampo. secondo, tutti quelli sotto il metro e settantacinque. Aveva il talento per farci suonare tutti insieme. Anche allora giocavamo a quadri”.

Catuzzi era molto pignolo. Hai mai avuto problemi con lui?

“Io e Gigi De Rosa eravamo innamorati del pallone, e Catuzzi, appassionato del calcio totale, amava la fantasia e i nostri dribbling ma non voleva che esagerassimo. Contro il Catania, quando abbiamo perso 1-0, io e De Rosa abbiamo palleggiato troppo e alla fine del primo tempo, nello spogliatoio, Catuzzi ha detto ‘questa squadra è composta da Gino e Pino. Pino passa la palla a Gino e Gino passa la palla a Pino. Fuori tutti e due!’. In sostanza, a metà tempo ci ha messo fuori entrambi. Alla fine della partita venne da noi, che eravamo un po’ arrabbiati, e ci disse di andare a casa a prendere la valigia perché saremmo andati con lui a Parma. In macchina io e Gigi eravamo sempre in silenzio e lui ci prendeva in giro dicendo ‘Forza ragazzi, non potete avercela con me, forza!’. A Parma ci ha prima portato in una splendida trattoria con i suoi amici e poi ci ha accompagnato in discoteca, venendoci a prendere alle due del mattino. Ci ha prenotato un albergo per tre giorni.

Quindi non è stato un viaggio punitivo?

“No, lui prima ci ha fatto capire che dovevamo rispettare le regole, ma è stato così buono e affettuoso che ci ha fatto il bel regalo di portarci a Parma con lui. È stato un grande maestro di vita”.

E poi hai vinto in maniera schiacciante la Coppa Italia Primavera, battendo in finale i campioni del Milan…

“L’andata finì 2-2: Gigi De Rosa segnò prima con un gol dei suoi, dribblando tutti (sorride, ndr), e poi io segnai grazie a Gigi (De Rosa, ndr) che dribblò un pochi avversari e sono andato in difesa e lui mi ha dato un assist al centro dell’area e l’ho messo subito nel sette, a 5 minuti dalla fine. Al ritorno avevamo diecimila spettatori allo stadio Vittoria, e credo che nella storia del Bari, in una partita della Primavera, tutti quegli spettatori non ci siano mai più stati”.

Qual è stata la forza del Bari dei Bari?

“La vera forza era Catuzzi, bravissimo nell’insegnamento. Aveva il dono di insegnare il calcio e noi abbiamo avuto la fortuna di imparare tutto quello che diceva. Calcio veloce, tecnico, aggressivo. In due anni ci ha insegnato a stare in campo. È riuscito a fare di noi quello che pensava di lui”.

Che ragazzo era Pino Giusto?

“Mi sarebbe piaciuto avere più personalità, per sfruttare meglio la mia creatività. Non sono mai andato in discoteca perché la mia mente era solo quella di diventare calciatore. La sera tornavo a casa alle 20:30 e mi piaceva suonare la chitarra. Ti dico questo: stavamo partendo per il ritiro primaverile a Reggio Emilia e Catuzzi, prima di salire sull’autobus, mi mandò indietro a prendere la chitarra perché disse che ne avremmo avuto bisogno al ritiro. Catuzzi voleva che ridesse sempre”.

La tua canzone preferita per chitarra? E quello di Catuzzi?

“Ero in fissa con De Gregori e cantavo molto bene ‘Alice’. Il mio forte allora era ‘Il draft calcistico della classe ’68’. Alla Primavera ho presentato cantautori come Guccini, De Gregori, Bennato, Venditti, Dalla e Claudio Lolli. Catuzzi era molto melodico e legato a Renato Zero.”

Raccontami un aneddoto divertente…

“Per le trasferte della Primavera il Bari ci ha mandato in alberghi di lusso, e per noi che uscivamo per la prima volta è stata una grande fortuna. Eravamo a Firenze e nella magnifica sala del ristorante c’erano due enormi statue raffiguranti due uomini appoggiati in ginocchio con le lance. Onofrio Loseto (centrocampista del Bari dei Bari, ndr), seduto accanto a me, ha chiesto al cameriere se avevano mai portato quelle statue in bagno perché sembrava che dovessero fare degli affari. Il cameriere rispose che erano stitici e a quel punto Onofrio mi guardò e, in dialetto, disse ‘Pino, ma questo ragazzo parlava fiorentino?’ (scoppia a ridere, ndr). Eravamo un gruppo con lo spirito giusto”.

E tu hai mai fatto uno scherzo a qualcuno?

«Nell’anno di Bolchi, quando giocavamo in casa, tutti i sabati andavamo dall’albergo ‘Majestic’ al cinema ‘Ambasciatori’, passando per via Caldarola, che all’epoca era lunghissima. Ero in macchina con Giovanni Loseto, che guidava, e davanti a noi vediamo l’auto di Totò Lopez. Volevamo fare uno scherzo a Totò e Giovanni mi convinse ad attraversare tutta Caldarola con il sedere fuori dal finestrino, accanto alla macchina di Totò. Quando siamo arrivati ​​al semaforo ho notato che il signor Bolchi era alla guida dell’auto di Totò Lopez con Catalano. Totò gli aveva prestato la macchina. Fui sopraffatto dalla paura e gli chiesi immediatamente scusa. Bolchi, simpaticamente, mi ha risposto ‘hai proprio una faccia da culo’ (risate, ndr)”.

Hai mai avuto un soprannome a Bari?

«Il magazziniere della Primavera, Peppino Boniperti, mi chiamava ‘il professore’ e ‘l’avvocato’ perché difendevo tutti. Spesso anche ‘il gigante’. Ma sono cresciuto con il soprannome ‘Pelè’, soprannome che mi davano i miei amici d’infanzia da bambino, anche grazie alla mia carnagione scura, e di conseguenza anche a casa mi chiamavano Pelè”.

In quale zona di Bari sei cresciuto?

“Sono nato vicino al Redentore e ho iniziato a giocare su quel campo. Poi all’età di otto anni mi sono trasferito a Japigia e lì sono cresciuto. Grazie al calcio mi sono affermato e sono diventato il punto di riferimento di quella zona”.

Cosa hai fatto con i primi soldi guadagnati?

“Vengo da una famiglia povera, con sei fratelli. Ho sempre pensato di aiutare la mia famiglia. Il mio sogno erano le scarpe da calcio Adidas ‘Copa Mundial’, che ho comprato appena ho potuto.”

Non hai vissuto la splendida stagione di B 1981-82 perché ti sei trasferito al Monopoli in C2. Come mai?

“Quell’anno prestai servizio militare con i miei compagni De Trizio, Michele Armenise e Boccasile. Mi voleva Monopoli, ma io non volevo andare perché volevo restare a Bari. Mi hanno fatto un bel contratto, ma il mio obiettivo era giocare da titolare e a Bari non avrei avuto spazio. Ritornai al Bari a fine stagione, andai al Pavullo in B, ma nel novembre 1982 tornai di nuovo al Monopolitani. Il Monopoli è stata la mia fortuna perché ci ho giocato tre anni da titolare che mi hanno permesso di tornare al Bari nel 1986”.

Ricordi il tuo esordio con la maglia del Bari?

“In casa col Genoa nel 1984. All’intervallo Bolchi mi fece entrare in campo. Nel riscaldamento ero pieno di ansia ma avevo tanta voglia di giocare. Abbiamo vinto 1-0”.

Il tuo gol più bello con i biancorossi?

“Il famoso gol contro il Cesena nella mia ultima stagione a Bari. Catuzzi contro Bolchi, che allenava i romagnoli. Bolchi era superstizioso e portò la sua squadra nello stesso cinema, così ci ritrovammo al cinema con il Cesena. Nel buio ho sentito uno schiaffo in testa, mi sono girato e ho riconosciuto il mio ex compagno Cavasin, che mi ha detto che il giorno dopo non mi avrebbe fatto toccare la palla. Invece ho segnato un bel gol da fuori area a Sebastiano Rossi”.

Quali sono stati i momenti migliori e quelli peggiori vissuti con il Bari?

“Il più bello è stato quando siamo andati in Serie A nel 1985. Eravamo sul lungomare e i tifosi ci presero dalle macchine e ci portarono in corteo fino al muro. Un fiume di persone che ci hanno portato come santi sulle spalle lungo tutto il muro. In quel momento festeggiarono anche i miei genitori che alloggiavano da mia zia che abitava proprio sul muro. La cosa peggiore è stata quando ho lasciato il Bari: dopo un anno in cui avevo fatto bene, Janich (ex direttore sportivo del Bari, ndr) mi disse che ero nella lista dei titolari. Per me fu un brutto colpo e così andai a Barletta”.

Vi siete mai chiesti perché l’azienda ha fatto quella scelta?

“Ero molto arrabbiato, ma poi ho capito che era la scelta giusta perché al mio posto è arrivato un grande talento come Pietro Maiellaro”.

È più legato a Bolchi o a Catuzzi?

“Catuzzi mi ha fatto diventare un calciatore. Se si fossero fusi sarebbe emerso l’allenatore ideale. Catuzzi un maestro di calcio, Bolchi un grande uomo. Catuzzi era molto duro quando perdeva la testa, mentre Bolchi era sempre disponibile e gioioso. Due mondi diversi.”

Segui il Bari oggi? Riuscirà a mantenere la categoria?

“Sì, lo seguo. Un anno sfortunato, pianificato male. Ha commesso tanti errori e credo che una delle cause di questa brutta annata sia stata la mancanza di elementi che l’anno scorso hanno trascinato il Bari quasi in Serie A. Il risultato è stato di sprofondare all’inverosimile. Se fossi stato a Mignani non avrei accettato di restare al Bari perché era difficile fare meglio dell’anno prima. Polito ha fatto poco in questa stagione, ma le prestazioni della squadra sono state molto basse. Sono un ottimista per natura e spero con tutto il cuore che si salvi”.

Cosa stai facendo oggi?

“Sono il coordinatore degli allenatori della scuola calcio ‘Tempo Libero’. Non alleno nessun gruppo, ma svolgo lavori differenziati soprattutto sull’aspetto agonistico”.

Il Bari di Bari è irripetibile?

“Sì, irripetibile. Credo che sia stato un caso e chissà come sarebbero andate le cose se non fosse arrivato Catuzzi. Oggi i giovani non sono disposti al sacrificio, vogliono tutto e subito. Non sono attaccati alla passione come lo eravamo noi”.

 
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