la ‘storia di un padre sui tetti’ a Trento Film – .

TRENTO. Nato a Solandro nel 1979, lo spazzacamino Alberto Cogoli – Conosciuto anche come “el Barnabi” – è sbarcato sul grande schermo: “Calùgem – storia di un padre sui tetti”, vincitore del premio della giuria al Filmmaker Festival, ha conquistato anche il pubblico del Trento Film Festival con la firma di Giacomo Bolzanidocumentarista e regista originario di Mantova.

Si incontrarono ad un campionato di morra: “Forse cercava soggetti perduti”, suggerisce con ironia Cogoli, riferendosi a Bolzani, che rimase subito affascinato dal carattere e dall’energia del Solandro: “Mi interessai alla persona di Alberto, più oltre alla sua professione, mi piace raccontare storie comuni, vere, perché sanno essere naturalmente straordinarie. Nel documentario la sua professione è solo uno strumento per sviscerare alcuni temi, valori, un modo di percepire il mondo e le persone”.
Calùgem è la storia di un uomo esposto – ai venti, nella quotidianità, e allo sguardo degli spettatori in sala -, non è un’esaltazione del territorio attraverso il personaggio, né una critica sociale: “Il film nasce raccontare la storia di Alberto e finisce per raccontare anche me” ha dichiarato Bolzani, aggiungendo: “Si entra in relazione con l’altro, con una professione, con un territorio e con una persona abituata ad andare in profondità”.

57 minuti di riflessioni e confessioni, sui tetti delle case e sui sentieri: non c’è azione fuori dall’ordinario, se non un viaggio che ha come meta la vetta di una montagna. Ed è nell’intimità della sua professione e di un’avventura che Cogoli si svela: “Mi è sembrato naturale parlare con Giacomo, ormai eravamo diventati amici” e l’imbarazzo della macchina fotografica non c’era più.

“Quando mi ha chiesto di fare il film ho detto sì, poi pensavo che lo avrebbe messo da parte e invece è tornato al lavoro” ha aggiunto: “Ho pensato che in questo modo avrei avuto l’opportunità di raccontare una parte della mia esperienza , per far conoscere un altro versante della montagna”.

Il mestiere dello spazzacamino, antico e ancora protagonista delle valli, non è solo un mestiere per Cogoli: “Spesso mi fermo a guardare, perché lavorando sui tetti si ha un punto di vista diverso. Mi piace vedere le persone lavorare sodo, avere l’orizzonte davanti a sé senza alcun vincolo, mi dà un senso di libertà e respiro”.

Una professione che sta cambiando nelle grandi città, spunto per una riflessione interiore che finisce per toccare anche il tema della paternità, affidandolo allo schermo e trasformandolo da questione privata a cosa pubblica: «All’inizio mi sentivo un senso di vergogna, lì ho passato tre mesi prima di vederlo, e poi questa cosa che mi ribolliva dentro si è trasformata” ha detto ancora Cogoli: “Ero felice per Giacomo che aveva fatto un ottimo lavoro, anche se la paura del giudizio ha preso Sopra. Ma alla fine chi vuoi che giudichi? Solo un frammento. Abbiamo varie parti di noi stessi e l’ho preso come un esercizio di accettazione e comprensione. Mi ha aiutato, perché alla fine fa parte del gioco”.

Alberto Cogoli ha perso tragicamente un figlio, un evento che ha segnato molto la sua vita e quella della sua compagna, Irene: “È nato e ha vissuto tre giorni, ma non ci siamo chiesti disperatamente perché fossimo noi. Naturalmente all’inizio è stato molto difficile, ma si vedeva che dovevamo imparare qualcosa. Poi sono arrivate due bambine, un regalo, e ho guardato cosa ci diceva la vita, perché siamo sempre responsabili di quello che ci accade”.

Ed è con un grande approccio alla fede che si chiude per Alberto Cogoli l’avventura di Calùgem, e con la crescita di una convinzione spirituale che traspare in ogni fotogramma.

 
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