«La pace richiede tempo ma grazie a San Nicola Bari è luogo di dialogo». L’intervista – .

«La pace richiede tempo ma grazie a San Nicola Bari è luogo di dialogo». L’intervista – .
«La pace richiede tempo ma grazie a San Nicola Bari è luogo di dialogo». L’intervista – .

È arrivato a Bari pregare per la pace chiedendo l’intercessione di San Nicola, Ma ci vorrà del tempo”. Il patriarca latino di Gerusalemmeil cardinale Pierbattista Pizzaballaieri ha preso parte ai festeggiamenti legati alla festa di San Nicola.

Cardinale, lei ha scelto di venire a Bari in occasione dei festeggiamenti di San Nicola, santo venerato in tutto il mondo. Che significato ha oggi questa vostra visita alla luce di quanto accade nel mondo?

«San Nicola è un santo molto amato in tutte le chiese d’Oriente e d’Occidente ma soprattutto in Oriente. E Bari è una città aperta all’Oriente mentre San Nicola è figura di unità, soprattutto in questo momento di grande divisione che coinvolge tutto l’Oriente cristiano, compresa la Terra Santa. In questi momenti è difficile parlare di speranza ma per noi credenti la speranza si fonda sulla fede, quindi dobbiamo certamente lavorare per questo e in questo momento difficile dove sembra che tutto parli di odio e di divisioni i segnali sono importanti, come Segni di unità e incontri possono fornire una piccola luce in questo contesto molto difficile e complesso. E proprio da Bari va lanciato un messaggio forte al mondo che deve sapere, con senso di realismo, che non è questo il momento di costruire ed erigere barriere, certo mi rendo conto che questo non è per niente facile, ma non dobbiamo confondere la pace con la vittoria. In Medio Oriente parlare di pace in questo momento non ha senso, sarebbe fuori realtà. Oggi dobbiamo parlare di cessate il fuoco, di cessazione delle ostilità. Per raggiungere la pace ci vorrà molto tempo, le ferite dovranno essere rimarginate, c’è tanto lavoro da fare. Ma la prima cosa da fare oggi, perché la parola pace sia credibile, è fermare le ostilità. A Gaza abbiamo una piccola comunità cristiana cattolica, quella della Sacra Famiglia, composta da circa 500 persone e 200 ortodosse che, come sappiamo, sono legate tra loro. La situazione resta molto fragile. Siamo riusciti a procurarci del cibo ma mancano medicine e acqua e a causa della gravissima situazione igienica si sta diffondendo l’epatite”.

A Bari, in questi giorni, si festeggia San Nicola, un santo che unisce cattolici e ortodossi anche se Russia e Ucraina sono in guerra. Qual è il messaggio che può arrivare da qui a quei territori?

«La situazione nel mondo ortodosso, purtroppo, è un dato evidente, è molto fragile e divisa. È una situazione di divisione molto dolorosa. San Nicola rappresenta un’oasi in questo senso perché è molto amato da tutte le chiese orientali, per questo San Nicola e Bari possono rappresentare un luogo neutro dove tutte le chiese possono sentirsi a casa”.

È ipotizzabile, come avvenuto in Ucraina, un intervento diretto e ufficiale della Chiesa in Medio Oriente?

«Sono due situazioni completamente diverse. Il compito della Chiesa non è mediare. Il compito della Chiesa oggi è creare spazi di mediazione”.

Allora, in concreto, quale ruolo può e deve svolgere la Chiesa e la Custodia in particolare?

«La Custodia è la Chiesa e il suo compito è aiutare, facilitare, creare opportunità, affinché le trattative possano essere agevolate avendo una presenza capillare sul territorio. La Chiesa è presente in questo panorama ma non spetta alla Chiesa mediare perché è una situazione troppo complessa che comporta dinamiche che vanno oltre i compiti della Chiesa”.

Allora è necessario puntare tutto sul dialogo?

«Certamente in questo momento Oriente e Occidente hanno bisogno di essere uniti»

La mediazione su cui si sta lavorando in Egitto sembra sfumare, sarà possibile arrivare ad un cessate il fuoco?

«In Medio Oriente non vale mai la logica dell’out-out ma sempre dell’at-at, niente è mai come appare e quindi bisogna essere sempre molto cauti nelle conclusioni immediate. Ma le trattative sono certamente in salita”.

Il vostro Medio Oriente, la terra in cui vivete e lavorate da tanti anni, è attualmente grondante di sangue, nonostante i ripetuti appelli alla pace lanciati dal Papa, qual è la situazione?

«È davvero drammatico, c’è una violenza mai vista con questo tipo di intensità negli ultimi decenni e con conseguenze a lungo termine nei rapporti tra israeliani e palestinesi come un sentimento di odio»

Anche nell’est del mondo la situazione non è molto diversa con il contesto russo-ucraino insanguinato dalla guerra?

«Sì, certo, come ha detto più volte Papa Francesco, viviamo un periodo di Terza Guerra Mondiale a pezzi e questi pezzi diventano sempre più grandi e sempre più uniti e connessi. Abbiamo bisogno che la comunità internazionale lavori per la cessazione di questi conflitti”.

Perché il pontefice decide di partecipare al G7?

«Credo che oggi sia più chiaro che mai che l’economia, la politica, il mondo dei media da soli non aiutano a creare unità e ad avere una visione completa della vita dell’uomo, credo che sia necessario, anche, uno sguardo spirituale . Il G7 è un importante contesto dove i Paesi più importanti del pianeta dialogano tra loro su diversi temi. Personalmente ritengo che sia importante che anche i politici, gli economisti e i vari responsabili dei diversi ambiti della vita pubblica ascoltino una visione e un discorso spirituale. Perché oggi una cosa è chiara: gran parte di questi conflitti hanno anche una connotazione religiosa. Non dobbiamo dimenticare, poi, che Papa Francesco è un leader spirituale carismatico e la sua voce è una voce importante”.

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