L’assegno di inclusione della Meloni peggiora la povertà in Italia, avverte la Commissione – Euractiv Italia – .

L’assegno di inclusione della Meloni peggiora la povertà in Italia, avverte la Commissione – Euractiv Italia – .
L’assegno di inclusione della Meloni peggiora la povertà in Italia, avverte la Commissione – Euractiv Italia – .

L’assegno di inclusione della Meloni aumenterà l’incidenza della povertà assoluta e infantile, conclude un’analisi della Commissione europea – giudicata “parziale” dal governo italiano – che sottolinea anche il notevole divario dell’Italia con l’Ue su diversi indicatori occupazionali, tra cui l’occupazione di lungo periodo, crescita dei salari e tassi di povertà lavorativa.

L’assegno di inclusione prevede un’integrazione compresa tra 6.000 e 7.560 euro annui per i nuclei familiari in cui un componente è disabile, è minorenne, ha almeno 60 anni, si trova in una situazione di disagio ed è inserito in un programma ufficiale di assistenza e assistenza.

Una recente analisi della Commissione Europea, condotta nell’ambito del Semestre Europeo, fa luce sull’impatto del sistema.

Si suggerisce che la misura aumenterà i tassi di povertà assoluta e infantile rispettivamente di 0,8 e 0,5 punti percentuali rispetto al precedente regime di sostegno al reddito, il Reddito di Cittadinanza.

Nonostante alcuni aspetti positivi, la Commissione afferma che le restrizioni sui criteri di ammissibilità del beneficio ne limiteranno l’efficacia restringendo l’accesso al beneficio a specifiche categorie demografiche all’interno delle famiglie.

Il rapporto della Commissione fa riferimento a simulazioni effettuate dalla Banca d’Italia utilizzando un modello statico. Secondo queste simulazioni, l’assegno di inclusione ridurrebbe il numero delle famiglie beneficiarie del 40% per le famiglie con cittadinanza italiana e del 66% per le famiglie con altre cittadinanze.

L’esecutivo esprime preoccupazione anche per l’occupazione, che resta indietro rispetto alla media Ue.

Nonostante i modesti miglioramenti nel 2023, l’Italia mantiene una delle quote più elevate di contratti a tempo determinato nell’UE (16,5% rispetto alla media UE del 12,9% nel 2022) e un’elevata prevalenza di lavoro a tempo parziale. tempo involontario (57,8% rispetto alla media UE del 21,5%), che colpisce soprattutto le donne.

Bruxelles esamina anche i salari italiani, che restano “strutturalmente bassi”. La crescita dei salari nominali del 12% tra il 2013 e il 2022 è la metà del livello UE del 23%, e il potere d’acquisto dei salari è diminuito del 2%, rispetto a un aumento del 2,5% nell’UE.

Nel 2022, il tasso di rischio di povertà tra gli italiani occupati sarà tra i più alti dell’UE, pari all’11,5%, rispetto a una media europea dell’8,5%.

“Da tempo esprimiamo forte preoccupazione per le politiche di questo governo in materia di lotta alla povertà e il giudizio della Commissione Europea, purtroppo, conferma le nostre valutazioni. Rinnoviamo l’invito al Governo e al Ministro [del Lavoro e delle Politiche Sociali Marina Elvira] Calderone a riconsiderare la propria posizione e avviare un dialogo”, scrive Santo Biondo, membro della segreteria nazionale della UIL, la Confederazione italiana dei sindacati.

Il governo italiano ha immediatamente contestato l’analisi della Commissione, sostenendo che lo studio dell’UE è statico e parziale, non considerando le dinamiche di attivazione generate dalle nuove misure e di crescita occupazionale in Italia.

“Gli effetti delle politiche attive introdotte dal governo non possono essere valutati compiutamente su questa base, poiché il reddito di cittadinanza è stato sostituito non solo dall’assegno di inclusione ma anche dal sostegno alla formazione e al lavoro (Sfl), che svolge un ruolo essenziale ruolo nel sostenere l’occupazione”, ha commentato il governo.

Tuttavia, Maurizio Franzini, professore di Politica economica all’Università La Sapienza di Roma e membro dell’assemblea del Forum Disuguaglianze e Diversità, ha dichiarato a Euractiv Italia: “Il modello utilizzato tiene conto solo dei criteri più restrittivi per l’accesso all’AdI ; pertanto non considera eventuali cambiamenti di comportamento. In particolare, chi non ha più accesso al RdC potrebbe essere ‘spinto’ a cercare lavoro, uscendo dalla povertà grazie al reddito così guadagnato”.

“Il governo lamenta che questi effetti non vengono considerati ma non è certo facile stimarne ora l’entità. Non mancano quindi i motivi per dubitare che siano sufficienti a compensare l’effetto negativo dei requisiti più stringenti. Il principale è, forse, che dalle indagini sulle caratteristiche dei destinatari del RdC risulta che molti non sono occupabili. Ma per avere valutazioni attendibili bisogna aspettare”, conclude.

(Alessia Peretti | Euractiv.it)

Leggi l’articolo in inglese qui.

 
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