“Bucaletto dimenticato da tutti” – .

Il quartiere è stato costruito per dare una casa agli sfollati del terremoto dell’Irpinia. 44 anni dopo è abbandonato all’incuria e la gente vive ancora in prefabbricati, con la speranza dell’arrivo di nuove abitazioni. E i ragazzi non riescono a immaginare il loro futuro.

Il quartiere Bucaletto a Potenza

23 novembre 1980, 19:34. Un terremoto di magnitudo 6.9 con epicentro tra Irpinia e Basilicata fa tremare la terra per novanta interminabili secondi. Interi paesi crollano come se fossero fatti di cartapesta. Oltre 2700 persone perdono la vita, altre restano ferite, moltissime sono le sfollate. Due regioni sono messe in ginocchio e lanciano un disperato appello d’aiuto.

“Fate presto”, titolano i giornali, per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla. La provincia di Potenza è devastata. Molti si ritrovano per strada e per ridare loro una casa si sta costruendo il quartiere di Bucaletto. L’arcivescovo dell’epoca, Giuseppe Vairo, mise a disposizione un terreno sul quale furono collocati centinaia di edifici prefabbricati con una aspettativa di vita di 25 anni. L’impegno è quello di sostituirli al più presto con sistemazioni migliori. Ebbene, questa “soluzione temporanea” è ancora valida, almeno per la maggior parte. E il quartiere che avrebbe dovuto essere il simbolo della rinascita post-sisma è abbandonato all’incurianell’indifferenza generale.

“Sembrava che Bucaletto sarebbe presto scomparso”, ricorda Marina Buoncristiano, che ha vissuto il terremoto dell’Irpinia e oggi dirige la Caritas di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo. “Invece è ancora qui, in uno stato di degrado. La gente vive rassegnata”, continua. “Ogni tanto si arrabbiano, ma qual è la loro alternativa? Non hanno l’opportunità di sentirsi meglio. E i cittadini non dovrebbero creare opportunità”.

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In 44 anni sono stati costruiti due complessi popolari, uno inaugurato nel secondo mandato di sindaco di Vito Santarsiero (2009-2014) e l’altro dal suo successore Dario De Luca (2014-2019). Un recente progetto del Comune prevede di realizzare altre 49 abitazioni. Sebbene questi numeri possano sembrare incoraggianti, la questione abitativa è lungi dall’essere risolta.

Argiro È un signore sulla sessantina che vive a Bucaletto fin da quando era ragazzo. Nel prefabbricato in cui vive le pareti sono sottili come assi. L’inverno è rigido e il caldo estivo è insopportabile. I pochi metri quadrati a disposizione bastano per due persone, tre persone cominciano già a faticare. La sfiducia verso la politica accompagna tutto il nostro discorso: “Quando siamo vicini alle elezioni arrivano le solite promesse: ‘Faremo questo, faremo quello’. Ma se torni tra cinque anni, ci troverai nello stesso posto di oggi”.

Bucaletto visto dall’alto

In cima al “Cittadella” è la parrocchiale di Santa Maria della Speranza, di recente costruzione. Fino al 2010 ci riunivamo per pregare in un edificio prefabbricato. “L’apertura della chiesa – dice Don Salvatore Sabia – ha fatto respirare alla comunità un’aria di cambiamento. Finalmente uno spazio protetto e dignitoso dove strutturare catechesi e percorsi di accompagnamento, che spesso è anche teatro di nuove esperienze per i più giovani”.

Un semplice campo estivo, per esempio. Quello di Bucaletto è nato da poco ed è animato dai ragazzi del quartiere. Partendo da 7 bambini e finendo con 21 nella prima edizione, l’anno scorso contava 56 iscritti. Poi la partecipazione alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona 2023, la festa di quartiere che ritorna dopo quasi 30 anni. Piccoli, grandi passi di rinascita per una comunità che ha imparato a contare solo su se stessa. Ma da soli non bastano a colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni.

Bucaletto

Bucaletto non è un bacino di voti – commenta duramente don Sabia – abbiamo alle spalle anni di promesse, tutte disattese. Le persone sono stanche di dare fiducia senza ricevere nulla in cambio, o comunque qualcosa di lontano dai loro reali bisogni”.

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Al problema degli alloggi si aggiungono l’abbandono scolastico, una scarsa rete di infrastrutture e trasporti e discariche illegali sparse qua e là. I servizi essenziali sono ridotti all’osso e le attività commerciali sono quasi del tutto scomparse. Saranno una decina, compreso l’ufficio postale e la farmacia. Michele gestisce da 15 anni uno dei due minimarket rionali. Ricorda il passato con nostalgia: “Si lavorava con ritmi diversi e c’era vita. Un’altra storia”. Adesso una parte importante della sua giornata sono le consegne a domicilio nei dintorni della Cittadella, a persone che altrimenti non saprebbero come fare la spesa.

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Non ultima, ma non meno importante, la totale assenza di luoghi di ritrovo. A parte l’oratorio parrocchiale, i bambini di Bucaletto non hanno nessun posto dove andare in casa. Li incontriamo nella centrale piazza “rotonda”. “Da adolescenti – raccontano alcuni tra i più grandi – passavamo il tempo giocando a nascondino. Dopo le 18 il quartiere è desolato, sembra dimenticato da tutti. È impossibile anche fare una banale partita a biliardino”.

Quasi nessuno di loro sembra avere idea di quale lavoro fare. Si sente solo una voce timida che mormora: “Il calciatore”. “Ma come si fa su un piccolo campo asfaltato – rispondono altri – vicino all’autostrada, dove se cadi rischi di farti davvero male? Non esiste una scuola calcio e nemmeno un laboratorio pratico dove imparare un mestiere. Zero. Sembra che piova sempre in questo quartiere, anche quando c’è il sole”.

I giovani di Bucaletto sperano in un futuro che li veda al centro e che li valorizzi davvero. E l’unico modo per farlo è investire nella cultura, su questo sono tutti d’accordo: “Le case miglioreranno la situazione, certo, ma serve soprattutto una contaminazione socio-culturale. Altrimenti nascerà un altro ghetto, magari in cemento armato”.

 
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