Il merito civico “Piacenza Primogenita” al professor Alberto Gromi. La cerimonia a Palazzo Gotico – .

Il merito civico “Piacenza Primogenita” al professor Alberto Gromi. La cerimonia a Palazzo Gotico – .
Il merito civico “Piacenza Primogenita” al professor Alberto Gromi. La cerimonia a Palazzo Gotico – .

(AGENPARL) – Roma, 10 maggio 2024

(AGENPARL) – venerdì 10 maggio 2024 Com’è strana la vita! Riesce a tessere trame anche dopo 76 anni. Ci pensavo ripensando ad uno dei pochissimi ricordi che ho di quando ero alle elementari. Nell’anno scolastico 1947-48 frequentavo la terza elementare agli Alberoni. Il 10 maggio 1948 il maestro Fumi ci portò in piazza Cavalli, davanti alla chiesa di S. Francesco, e ci fece leggere la scritta sulla targa sulla facciata, a sinistra, verso via XX Settembre. Ce lo ha fatto scrivere sul quaderno e ce lo ha fatto imparare a memoria: “In questo tempio il 10 maggio 1848 i piacentini con voto popolare proclamarono per primi l’annessione al Piemonte, dando inizio all’Unità nazionale”. È stato il motivo per cui siamo qui oggi: Piacenza Primogenita. Quasi una premonizione. Quel bambino non capì molto del contenuto della lapide, ma, come spesso gli accadeva, rimase stupito, incantato.
Negli ultimi anni, la scrittura autobiografica con persone messe alla prova (ci incontriamo ogni mercoledì e scriviamo) mi ha fatto incontrare tante volte quel bambino; a poco a poco l’ho riconosciuto meglio e mi sono affezionato. Era un bambino selvaggio, non perché avesse istinti primitivi, ma perché le sue origini erano povere, insignificanti. Quel bambino ha dovuto costruire tutto da zero. Doveva imparare i valori, le preghiere, apprezzare l’arte: il teatro, il canto, la danza, il cinema. E l’arte di educare.
Un vecchio detto africano sostiene che per crescere un bambino ci vuole un villaggio. Il bambino che sono stato ha avuto la fortuna di trovare tanti villaggi che lo hanno accolto, educato, educato. Innanzitutto piazza Duomo e i chiostri: la parrocchia, con le prime esperienze teatrali in quel bellissimo teatrino, ma soprattutto l’incontro con la fede, il catechismo, le liturgie in Cattedrale da chierichetto. E poi S. Antonio di Castell’Arquato, dai nonni paterni. La cultura contadina, la cugina, il gioco, ma anche uno zio che mi disse: se vuoi mangiare devi lavorare e mi mandò a pascolare le oche. Ore di solitudine ma vissute con gentilezza. Anche le oche sanno tenerti compagnia. E l’Azione Cattolica, una stanzetta a Palazzo Fogliani dove don Antonio Bozzuffi e io studiavamo al San Paolo; il Collegio Alberoni, poi, dove ho imparato da padre Testa a ricercare il vero volto di Gesù. I miei villaggi sono stati anche i ragazzi di strada di Nairobi, l’Università Cattolica di Piacenza, le scuole dove sono stato studente, insegnante, dove ho conosciuto centinaia di ragazzi che ho visto crescere e che mi hanno fatto crescere.
Il bambino che ero, così, ha saputo resistere alla povertà, alle privazioni, ha avuto la forza e la pazienza di trasformare i sogni in progetti, ha saputo riconoscere le ancore della salvezza, i doni della Provvidenza che meritavano di portare frutto.
Mi scuso per aver parlato troppo di me, ma vorrei testimoniare ai giovani, ai tanti giovani che incontro, per esempio, in carcere, nelle scuole dove vado per parlare della giustizia che ripara, che l’impossibile può diventare possibile, che l’inimmaginabile può diventare immaginabile. Ma serve un villaggio che ti accolga e ti cresca. Ecco perché ora, qui, a nome del bambino che sono stato, vorrei ricordarvi che a Piacenza ci sono ancora ragazzi e ragazze, ragazzi e ragazze, di varie etnie, origini, colori che, come me allora, hanno bisogno un villaggio da crescere. Mi auguro che Piacenza possa essere sempre un borgo accogliente, per tutti.

 
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