Omicidio ‘ndrangheta a Lamezia, nuovo processo d’appello. La Corte Suprema: “Lacune da colmare”

Tutto da rifare Peppino Daponte, 63 anni di Lamezia, accusato dell’omicidio aggravato con metodi mafiosi di Pietro Bucchino, 32 anni, colpito cinque volte con una pistola calibro 38 la notte del 10 novembre 2003 in località Savutano, frazione di Sambiase nel Comune di Lamezia Terme. Per lui ci sarà un nuovo processo.

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso degli avvocati Salvatore Staiano e Vincenzo Cicino, ha annullato con rinvio la sentenza emessa il 27 ottobre 2022 dai giudici di secondo grado di Catanzaro, che hanno confermato la condanna a 30 anni nei confronti dell’imputato, lasciando l’udienza preliminare il verdetto del giudice è rimasto invariato. Per la Suprema Corte ci sono lacune motivazionali da colmare, poiché la Corte d’assise d’appello di Catanzaro “non ha adeguatamente esaminato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia”. A partire dal criterio di valutazione delle dichiarazioni dei pentiti Matteo Vescio e Gennaro Pulice che avevano accusato Daponte sulla base di altri processi o per sentito dire, attraverso dichiarazioni de relato.

“Dichiarazioni generali dei pentiti”

Vescio aveva dichiarato che l’imputato era coinvolto in estorsioni ed era vicino alla cosca Iannazzo, come riferitogli da terzi. Il pentito sapeva che a Lamezia comandavano gli Iannazzo, ma di fatto non sapeva né aveva mai incontrato l’imputato. Aveva parlato anche di un’altra fonte, fornendo una «diversa descrizione del fatto relativo all’identificazione del mandante e dell’autore, fonte che però non ha mai confermato di aver riferito a Vescio dinamica e autore dell’omicidio, ma aveva disse che forse aveva parlato con Vescio dell’omicidio e che aveva saputo di un litigio tra Bucchino e Peppino Daponte, senza indicare quest’ultimo come responsabile dell’omicidio”. A conclusioni simili per la Corte di Cassazione si deve giungere anche nei confronti di Pulice, il quale, riferendo di aver appreso dallo stesso Daponte la propria responsabilità nell’omicidio, ha deciso di punire Bucchino per il furto di un trattore ad un’azienda agricola, di cui il proprietario avrebbe potuto godono della tutela della ‘Ndrangheta avendo ottemperato alle loro richieste estorsive”. Trattore ritrovato tre giorni dopo il furto e il titolare dell’azienda aveva escluso di aver subito un atto estorsivo: “ma – per la Suprema Corte – non esiste una motivazione del tutto adeguata rispetto agli elementi specifici relativi alla fiducia ricevuta dal collaboratore dallo stesso Daponte. Le dichiarazioni rese al riguardo da Pulice sono state ritenute credibili, in virtù della generale valutazione di affidabilità del collaboratore di giustizia, senza fornire un pari approfondimento del contesto e delle modalità specifiche del fatto oggetto della confessione. ”. Temi che verranno approfonditi nel nuovo processo davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, disposto dalla Corte di Cassazione e che inizierà il 17 giugno.

Raffica di colpi di pistola

Secondo le ipotesi accusatorie, l’imputato, in collaborazione con altre persone al momento non identificate, avrebbe sparato contro il 32enne una raffica di colpi di pistola, alcuni dei quali hanno colpito parti vitali del suo corpo senza lasciargli scampo. Un delitto, avvenuto tra le 21 e le 23.30 del 10 novembre di 18 anni fa e avvenuto nell’ambito di una strategia criminale della cosca confederata Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, volta a mantenere il controllo incontrastato del territorio Sambiasino.

Il movente dell’omicidio

La vittima doveva essere punita, perché avrebbe agito “in maniera autonoma nel settore dei delitti contro il patrimonio” in un ambito territoriale sottoposto al controllo di protezione e di estorsione della cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte. L’imputato (coinvolto nell’inchiesta antimafia Andromeda e condannato in appello a 8 anni di reclusione) oltre all’accusa di omicidio aggravato con metodi mafiosi, è stato condannato per detenzione illegale della rivoltella calibro 38 utilizzata nel delitto di sangue. “Circostanze aggravate dal metodo mafioso e poste in essere per agevolare l’attività della cosca confederata nell’ottica di affermare il potere incontrastato della famiglia Iannazzo-Cannizzaro-Daponte sul proprio territorio di competenza”.

 
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