Il boss turco arrestato in Calabria, da Crotone ha fatto radere al suolo una fabbrica nella sua terra natale – .

Voleva vendicarsi dell’aggressione subita e progettava una “rivoluzione” con 300 uomini migranti: il boss turco calabrese fece radere al suolo una fabbrica nella sua abitazione


CROTONE – «Siete pronti ragazzi? Buona fortuna in battaglia! Raderete al suolo quella fabbrica… forza, miei leoni.” Per vendicarsi di un agguato subito lo scorso 18 marzo a Crotone, dove si trovava agli arresti domiciliari, il presunto boss mafioso turco Baris Boyun incitò i suoi uomini a compiere un attentato (fallito) per vendicarsi. Sarebbe stato pronto ad attaccare la Turchia con attentati terroristici ed era sulla lista rossa dell’Interpol, il ricercato la cui corsa è finita a Bagnaia, frazione del viterbese, risulta essere il destinatario, insieme ad altre 17 persone, tutte turche, alcune delle quali residenti in Italia, di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

La Dda di Milano lo accusa di essere a capo di un’organizzazione armata, con finalità terroristiche e con l’aggravante della transnazionalità, dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ma anche al traffico di droga. Le cellule erano radicate in Germania e Turchia ma anche in Italia, a Milano, Alba, Asti, Vetralla e Crotone.

Solo fino a pochi mesi fa l’uomo ritenuto mandante di stragi e attentati si trovava nella città calabrese, dove qualcuno aveva sparato quattro colpi di pistola contro il pianerottolo della sua abitazione nella centralissima via Vittorio Veneto. Grazie alle microspie inserite nel braccialetto elettronico, la polizia italiana ha allertato quella turca che ha così sventato l’attacco ad una fabbrica di alluminio nella regione di Tekirdag. Un attacco pianificato nei minimi dettagli, con tanto di sopralluogo con i droni: “Farò saltare in aria la fabbrica”, ha detto.

Boyun non era un ricercato qualunque. Stava addestrando degli attentatori suicidi e un giovane esercito per iniziare una “nuova rivoluzione”, ha detto, dopo aver avuto contatti, per così dire, con il PKK. Per il gip di Milano Roberto Crepaldi. «Appare chiaro che Boyun sta portando avanti dall’Italia (dove crede di aver trovato protezione), insieme ai suoi uomini, una guerra per conquistare la supremazia sugli altri gruppi criminali che hanno infestato, a suo avviso, lo Stato turco, lotta che evidentemente non si tratta solo dell’aspetto penale ma anche di quello istituzionale, accusati di sostenere e favorire altre organizzazioni”, si legge nel provvedimento restrittivo. In un’intercettazione ha ammesso di avere in carcere 300 dei suoi uomini e di doversi occupare delle famiglie di un centinaio di loro.

Il suo gruppo “non si limita alla lotta tra clan per il controllo del territorio e alle dinamiche criminali (traffico di droga, armi e migranti), ma assume una natura realmente terroristica”. Gli attentati, gli omicidi, le ginocchiate sono «certamente funzionali ad imporsi rispetto ad altri gruppi criminali ma anche a rompere il legame esistente, sempre nell’ottica di Boyun, tra questi e lo Stato, orientando il comportamento delle istituzioni e sostituendosi evidentemente a quei legami”, spiega il gip.

Il progetto di destabilizzazione prevedeva anche «l’imposizione del terrore sulla popolazione, che era già in gran parte terrorizzata alla sola idea di pronunciare il nome di Boyun, conosciuto come un criminale violento e senza scrupoli, autore di estorsioni, percosse, istigazioni, omicidi e attacchi molto gravi, come dimostrano alcune intercettazioni. Inoltre, l’uso della violenza è il mezzo, oltre all’accumulo di ricchezze illecite, con cui intende perseguire i suoi obiettivi criminali e politici”. L’attentato alla fabbrica nei pressi di Istanbul contro il gruppo rivale Sarallar, oltre che per vendetta, è, secondo la ricostruzione della Squadra Mobile di Milano, finalizzato ad imporre il proprio potere su quello di altri gruppi criminali e sullo Stato che, secondo a Boyun, sono collegati.

Sulla posizione di vertice di Boyun non ci sarebbero dubbi: è lui «che organizza gli attentati, controlla la fornitura, l’uso e il traffico di armi, coordina le azioni delle cellule della sua organizzazione dislocate all’estero; fare proseliti attraverso la propaganda e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; è a Boyun che gli uomini e le donne che compongono l’organizzazione giurano fedeltà, tanto da proteggerlo a tutti i costi”.

L’uomo già arrestato il 3 agosto 2022 a Rimini. L’anno successivo la sua estradizione è stata richiesta dalla Turchia in esecuzione di un mandato internazionale emesso il 6 aprile 2022 dal Tribunale di Istanbul. All’epoca era indagato in un procedimento penale pendente in Turchia per omicidio, lesioni personali, minacce, partecipazione ad un’associazione criminale e violazione delle norme sulle armi. Tuttavia, prima la Corte d’Appello di Bologna e poi la Corte di Cassazione avevano negato l’estradizione, ritenendo che le sue origini curde lo avrebbero messo in pericolo se rimpatriato. Ma secondo gli investigatori avrebbe mentito sulle sue origini curde per ottenere protezione.

L’indagine prende spunto da tre arresti avvenuti a Como: il 5 ottobre 2023, gli indagati furono bloccati in un’auto al valico di Chiasso, al confine con la Svizzera, dopo un viaggio iniziato il giorno prima da Crotone. Stavano scortando Buyon anche se viaggiava su una Mercedes Classe G blindata.
La “scorta” è ben armata perché vengono sequestrate due pistole, complete di cartucce, un giubbotto antiproiettile, ma anche documentazione riconducibile a Buyon e al suo compagno, Ozge Buyukkaplan, con permesso di soggiorno in Montenegro e carta d’identità turca. I tre arrestati sono ricercati in Turchia: uno per omicidio e due perché sospettati di far parte di un gruppo criminale.

“Si è trattato di un’indagine complessa che ha permesso di smantellare un gruppo con ramificazioni in Europa e con un leader davvero significativo” ha detto il procuratore milanese Bruna Albertini in conferenza stampa. “Non sono emersi attentati pianificati in Italia e nemmeno contro le nostre istituzioni”, ha precisato il responsabile dell’inchiesta.
Intanto la Squadra Mobile di Crotone indaga sul tentato omicidio dello scorso marzo. E cosa ci faceva un personaggio del genere in una terra al crocevia dell’immigrazione clandestina, sede di uno dei centri di accoglienza più grandi d’Europa.

 
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