Il dipendente licenziato perché aveva lavorato durante la malattia è stato reintegrato – .

Il dipendente licenziato perché aveva lavorato durante la malattia è stato reintegrato – .
Il dipendente licenziato perché aveva lavorato durante la malattia è stato reintegrato – .

Il lavoratore malato può uscire di casa e svolgere un’altra attività lavorativa se questo comportamento non compromette o ritarda la guarigione e quindi il rientro in azienda. La Corte di Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento disciplinare disposto dall’azienda ad un lavoratore che, durante l’assenza per malattia, svolgeva altra attività lavorativa. La decisione si basa sul fatto che nel nostro ordinamento non esiste il divieto assoluto per il dipendente di svolgere altre attività, anche per conto terzi, durante l’assenza per malattia. Quindi, tale comportamento “non costituisce di per sé un inadempimento degli obblighi imposti al lavoratore”.

LA STORIA

Nel caso in questione, lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, ritenuta incompatibile con la malattia, viene accertato da un organismo investigativo incaricato dall’azienda datrice di lavoro. L’operaio viene licenziato per utilizzo improprio dei giorni di malattia”.

La Corte d’Appello, tuttavia, ha dichiarato illegittimo il licenziamento e ha disposto la reintegrazione del lavoratore in quanto le attività accertate dall’agenzia investigativa non costituivano di per sé comportamenti incompatibili con lo stato di malattia o tali da ritardare la ripresa lavorativa. Il datore di lavoro ha il diritto di accertare autonomamente, o tramite un’agenzia investigativa, l’effettivo stato di malattia di un proprio dipendente, ovvero di vigilare che quest’ultimo, con il suo comportamento, non ritardi o pregiudichi la guarigione. L’investigatore privato, però, può denunciare solo le attività e i comportamenti del lavoratore malato. Valutare se tale modo di agire possa essere idoneo ad integrare una simulazione di malattia, ovvero a ritardare o compromettere la guarigione è riservato esclusivamente al Giudice che deve tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto.

L’azienda ha presentato ricorso in Cassazione avverso la sentenza che disponeva la reintegrazione del lavoratore.

DECISIONE DELLA CASSAZIONE

La Suprema Corte, con la sentenza n. 12152 del 6 maggio 2024, lo ha innanzitutto ricordato “non esiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di svolgere altre attività, anche per terzi, durante l’assenza continuativa per malattia, per cui ciò non costituisce, di per sé, un inadempimento degli obblighi imposti al lavoratore”.

Pertanto, secondo la legge e la giurisprudenza, il lavoratore malato può svolgere attività compatibili con il suo stato di salute, purché queste non ne compromettano la guarigione.

Di conseguenza, lo svolgimento di un’attività, anche se remunerativa, non è sufficiente a giustificare il licenziamento se non incide negativamente sulla guarigione del lavoratore.

Lo svolgimento di altre attività può, tuttavia, giustificare la sanzione del licenziamento, per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e lealtà:

  • nel caso in cui la diversa attività accertata sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità che giustifica l’assenza;
  • quando l’attività, valutata in relazione alla natura e alle caratteristiche della malattia denunciata e alle mansioni svolte dal lavoratore, è tale da compromettere o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore.

L’onere della prova spetta al datore di lavoro. Nel caso di licenziamento disciplinare disposto per una seconda attività svolta durante l’assenza per malattia, come sopra precisato, il datore di lavoro deve dimostrare o che la malattia è stata simulata o che le attività svolte erano potenzialmente idonee a compromettere o ritardare il rientro. al servizio del dipendente. Se il datore di lavoro non fornisce tale prova, il licenziamento è considerato ingiusto.

CONCLUSIONE

Il lavoratore assente per malattia non è obbligato ad astenersi da qualsiasi altra attività. Molto dipende dalla malattia che ha causato l’impossibilità di lavorare in azienda. Può accadere che la malattia comprometta la possibilità di svolgere quella specifica attività lavorativa oggetto del rapporto di lavoro, consentendo alle residue capacità psico-fisiche del lavoratore di svolgere altre e diverse attività. Non costituisce, tuttavia, circostanza disciplinare irrilevante lo svolgimento di altra attività da parte del dipendente assente per malattia. Può giustificare il licenziamento se l’attività viola i doveri generali di correttezza, buona fede, diligenza e lealtà. E ciò sia nell’ipotesi in cui l’attività accertata possa portare a inferire l’inesistenza della malattia, e quindi una simulazione della malattia, sia quando l’attività stessa, valutata in relazione alla natura e alle caratteristiche della malattia e le mansioni svolte nell’ambiente di lavoro, potrebbero pregiudicare o anche potenzialmente ritardare il recupero e, quindi, il rientro in servizio.

 
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