La mappa della povertà educativa in Italia ci aiuterà a valorizzare i giovani – .

La mappa della povertà educativa in Italia ci aiuterà a valorizzare i giovani – .
La mappa della povertà educativa in Italia ci aiuterà a valorizzare i giovani – .

Mentre la primavera fatica ad affermarsi a fine maggio, in Italia ha già preso forma un inverno – quello demografico. Dove l’età media di poco più di 48 anni, record in Europa, la proietta verso i 50 milioni di abitanti alla fine del secolo attuale (se non prima). L’inverno è fuori discussione, ma siamo ancora in tempo per evitare almeno che diventi un inferno. COME? Se ne è parlato ieri a Trento, al Festival dell’Economia, in un incontro che ha visto il nuovo presidente dell’Inps, Gabriele Fava, anticipare le sue idee in tema di «welfare generativo», in cui – ha sottolineato Laura Zanfrini della Cattolica anche le imprese hanno un ruolo decisivo e la dimensione locale rappresenta una variabile chiave, come dimostra il caso trentino illustrato da Monica Costantini, consigliere dell’Ordine dei medici.

Si è detto molto anche sui giovani, su quel 12,7% della popolazione che ha meno di 14 anni, un patrimonio da difendere in ogni modo almeno finché non si riuscirà a rendere «l’Italia sempre più attrattiva, soprattutto nei confronti dei giovani» , come sottolinea il capo economista e direttore Strategie e impatti di settore di CDP, Andrea Montanino. Per ora bisogna evitare che chi è lì se ne vada, e non è facile se è vero – come ha ricordato lunedì l’Istat – che oltre il 34% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni immagina per sé un futuro all’estero. E per questo occorre favorire percorsi di maturazione che vadano oltre la dimensione puramente scolastica.

La povertà in 3D

In pratica, c’è del lavoro da fare sulla povertà educativa. Concetto ampio, a volte anche troppo ampio. Che l’Istat stesso, come ha spiegato ieri Monica Pratesi, direttrice del Dipartimento produzione statistica dell’Istat, ha puntato a cogliere «gli aspetti multidimensionali, che tengono insieme il contesto familiare, economico e sociale in cui vivono i minori».

Le due mancanze

Il cantiere è appena iniziato, «ma comincia a produrre i primi risultati, e a offrire una mappatura del Paese che sappia tenere conto degli effetti combinati di povertà di risorse e di risultati». Cause e conseguenze, che si intersecano in combinazioni non sempre evidenti e che – proprio per questo – non possono che rivelarsi estremamente utili per i decisori, oltre che per le famiglie, se conosciute nel dettaglio. La povertà di risorse «è una condizione che deriva da una carenza di strutture educative e culturali nella comunità di riferimento o da una limitazione nelle opportunità di fare esperienze utili alla crescita personale che queste risorse offrono», spiega Pratesi a Futuro. La povertà di risultati, però, è tipica di chi non ha acquisito le necessarie competenze cognitive e non cognitive (sociali ed emotive): «Esiste un livello individuale, dove si possono sviluppare relazioni con gli altri, coltivare i propri talenti e realizzare le proprie aspirazioni – continua Pratesi – e un altro collettivo, quello che ti fa sentire parte di una comunità, per esercitare consapevolmente il diritto di cittadinanza attiva e per contribuire positivamente al benessere del Paese”.

La vendetta dei villaggi

Sono coinvolte tutte le variabili possibili, da quelle economiche al contesto ambientale, all’alfabetizzazione o all’adeguatezza dei servizi educativi. Dalla combinazione di questi diversi indicatori, l’Istat sta costruendo una griglia attraverso cui leggere le microaree del Paese: la prima mappa è stata pubblicata poche settimane fa, il prossimo passo sarà presentato alla Conferenza nazionale di statistica di luglio. Ma intanto sono già emersi i primi risultati. Che vedono primeggiare per risultati scolastici Umbria e Veneto, dove le maggiori carenze si registrano in Sardegna, Sicilia, Calabria e Liguria; Cambia però la distribuzione delle risorse: salgono le aree periferiche, la Sardegna in primis, mentre scendono quelle più urbanizzate: Lombardia, Piemonte, Campania, Lazio. Sommando le due dimensioni spicca il centro Italia: Abruzzo, Marche, Umbria.

Un approccio innovativo

Uno spaccato qualitativo e diffuso che può aiutare a esplorare meglio fenomeni specifici come quello della povertà scolastica, che nel 2022 vede ancora persi 10 studenti su 100 (erano quasi 15 nel 2018), a cui vanno aggiunti gli impliciti “mancanti”. Da aggiungere: Sono il 9,7% gli studenti che non raggiungono le competenze richieste in italiano e matematica nella scuola secondaria, nonostante il diploma. Il percorso è appena iniziato, ma «ci sta dicendo che mappare la povertà educativa significa operare in un’area di frontiera cruciale per l’evoluzione della qualità demografica del nostro Paese», prosegue Pratesi. Obiettivo successivo dell’attività di ricerca è quello di «produrre sempre più dati da mettere a disposizione delle comunità locali, in cui la scuola è collegata con altri luoghi e con altre dinamiche altrettanto rilevanti per la qualità del contesto in cui i bambini crescono». E qui c’è già un primo segnale: «Il peso della scuola non si può ridurre alle ore in classe: forse occorre ripensare la quantità e la qualità del tempo che i ragazzi vi trascorrono», suggerisce Pratesi. Che invita a fare di necessità virtù: «Del resto, il fatto di avere sempre meno giovani può permetterci di aiutarli di più. Anche perché, in pieno inverno, non possiamo più permetterci un sistema che perde lungo il percorso, nella forma e nella sostanza, uno studente su quattro dopo la scuola media».

 
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