I napoletani che hanno fatto grande Bergamo – .

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Una bella mostra all’Accademia Carrara racconta come nel Seicento la roccaforte lombarda del cattolicesimo aprì le porte ai pittori “stranieri” per soddisfare la propria sete di bellezza

Luca Giordano, Lapidazione di San Paolo, 1660-1665, olio su tela. Pedrengo (Bg), Chiesa di Sant’Evasio Vescovo e Martire (clicca per ingrandire)

La mostra allestita all’Accademia Carrara di Bergamo, che tra i musei non nazionali è, insieme al Poldi Pezzoli di Milano, il più importante della Lombardia, intende concentrarsi sul capitolo poco conosciuto della presenza di opere dell’artista napoletano scuola nel bergamasco. Le regioni d’Italia, non solo del Nord, sono ricche di presenze “foresta”, cioè di padroni non indigeni. Il fenomeno della diffusione dei dipinti non autoctoni è articolato, esteso e soggetto a circostanze storiche e dipendenze politiche diverse, a emigrazioni e a nostalgici legami di fedeltà con le terre natali, soprattutto nei secoli XVII e XVIII. In particolare, nei territori del bresciano e del bergamasco è normale trovare dipinti, anche belli, di scuola veneziana, ma questa è la conseguenza quasi immediata dei diversi rapporti mantenuti dalle due città con la Serenissima. I napoletani a Bergamo, invece, costituiscono una imprevedibile rarità, per cui è giusto chiedersi da cosa dipenda questa diffusione.

La mancanza di insegnanti di spicco

Mattia Preti, Deposizione di Cristo dalla croce, ca. 1675, olio su tela. Vaglia (Fi), Fondazione Giuseppe e Margherita De Vito
Mattia Preti, Deposizione di Cristo dalla croce, circa. 1675, olio su tela. Vaglia (Fi), Fondazione Giuseppe e Margherita De Vito (clicca per ingrandire)

Nella seconda metà del Seicento Bergamo non poteva più contare su maestri di spicco, che avevano brillato in città e provincia nel secolo precedente, come il grande Giovanni Battista Moroni. Verso la metà del Seicento, il maggior protagonista della pittura bergamasca fu Evaristo Baschenis, sacerdote dotato di una sensibilità non facilmente allineabile a quella di un religioso, ottimo autore di nature morte, in cui cucina con polli, luganeghe e gioco, ma soprattutto strumenti musicali, eseguiti con meticolosa cura naturalistica, sono disposti in un rigore di sacro silenzio, che può essere interpretato in diversi modi, costringendo l’esegeta più consumato e l’osservatore più dotato ad addentrarsi nei lidi della lettura allegorica (che se non è governato porta chissà dove).

È ovvio che la produzione di Baschenis fosse essenzialmente di uso privato, visto che sarebbe curioso trovare sull’altare di una chiesa o nell’aula magna di un edificio civile un dipinto raffigurante liuti e chitarre, o cucine con polli spennati, ma sul piano dell’uso pubblico, personalità di pari importanza a Baschenis, dopo il 1650, non ce n’erano più.

Il richiamo di Mango e Giordano

È noto che in passato Bergamo fu una roccaforte del cattolicesimo, tanto che, di fronte alla rarefazione di validi artisti locali, alla fine del XVII secolo era ancora vivo l’interesse a restaurare e arredare, o addirittura costruire ex novo edifici di culto. , fatto che stimolò l’apertura delle porte agli artisti stranieri. Un grande storico dell’arte del Settecento, Luigi Lanzi, descrivendo la situazione bergamasca, afferma che «essendo Bergamo scarseggiata di propri pittori, non ha mai risparmiato per adornarsi delle opere dei migliori artisti di ciascuna nazione». Si spiega così come negli anni immediatamente successivi al 1650, un pittore napoletano di nome Pietro Mango decorò di dipinti le chiese di Romano di Lombardia, Gandino e Bergamo, nella basilica di Santa Maria Maggiore che, a differenza di molte chiese sperdute, poteva contare su notevoli risorse da investire.

È qui che si può ammirare l’opera di scuola napoletana più importante dell’intero territorio bergamasco: l’ Passaggio del Mar Rosso di Luca Giordano (Napoli, 1634-1706), tela di base di sei metri. Giordano lo dipinse a Napoli nel 1681, poi lo inviò a Venezia da dove arrivò a Bergamo. La tappa veneziana fu quasi obbligata e Luca Giordano aveva lavorato a Venezia poco meno di vent’anni prima, tanto che era già ampiamente conosciuto e stimato.

Luca Giordano, Incoronazione di spine, 1660-1665, olio su tela. Bergamo, Accademia Carrara
Luca Giordano, Incoronazione di spine, 1660-1665, olio su tela. Bergamo, Accademia Carrara (clicca per ingrandire)

I quattro martiri in mostra

Non fingere di ammirarlo Passaggio del Mar Rosso esposto perché non trasportabile, ma Santa Maria Maggiore non è lontana da Carrara. Fulcro espositivo della mostra bergamasca – che si compone di due parti strettamente collegate, un nucleo di venti dipinti napoletani della fondazione De Vito e un insieme di dipinti sparsi sul territorio – sono quattro grandi scene del martirio dello stesso Giordano, che sono pervenuti alla chiesa di Pedrengo nei primi decenni del Settecento per l’acquisto da parte del parroco don Bartolomeo Arici. Dopo il recente restauro, effettuato in occasione della mostra, i quattro martiri risplendono cromaticamente, ostentando quella potenza declamatoria della rappresentazione che qualifica Giordano come uno dei maggiori interpreti del barocco italiano.

Raffigurano Bartolomeo, Andrea, Pietro e Paolo dei quali però non è celebrato l’episodio della morte per decapitazione alle Tre Fontane, bensì la lapidazione di cui era stato vittima a Listra l’Apostolo delle genti, lapidazione che fu incapace di fermarlo o costringerlo a interrompere i suoi vagabondaggi.

Questi dipinti facevano originariamente parte di una collezione nobiliare veneziana che fu dispersa all’asta a Bergamo negli anni Trenta del Settecento. Evidentemente il mercato bergamasco riusciva ad assorbire anche opere di alto prezzo.

Conclude il percorso espositivo un altro pittore napoletano, allievo di Luca Giordano, Nicola Malinconico che sostituì il maestro in procinto di partire per la Spagna, a Santa Maria Maggiore, Clusone e Stezzano.

I meriti di questa mostra sono tanti, dalla promozione ad originale di un bellissimo dipinto già considerato una copia, l’Incoronazione di spine di Carrara, ai restauri, ai ritrovamenti d’archivio che hanno permesso di aggiungere gustose notizie sulla storia del collezionismo bergamasco.

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Napoli-Bergamo. Uno sguardo al Seicento nella collezione De Vito e in città

Bergamo, Accademia Carrara, fino al 1° settembre.

Mostra a cura di Elena Fumagalli. Catalogo (Skira) con scritti di E. Fumagalli, Nadia Bastogi, Paolo Plebani, Giulia Zaccariotto, Francesco Nezosi, Lorenzo Mascheretti. Presentazione di Martina Bagnoli.

Per informazioni: www.lacarrara.it/mostra/napoli-a-bergamo/

 
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