Sesso in caserma a Ravenna, poliziotto assolto in appello – .

Sesso in caserma a Ravenna, poliziotto assolto in appello – .
Sesso in caserma a Ravenna, poliziotto assolto in appello – .

Aveva avuto rapporti sessuali in caserma con una donna, dichiarando di dover prestare un servizio per motivi “urgenti e improrogabili” e per questo era stato condannato per truffa e falso. Undici mesi in primo grado sono stati cancellati in appello venerdì sera. «Il fatto non sussiste», ha scritto il tribunale, scagionando il carabiniere 52enne che all’epoca dei fatti – 11 gennaio 2017 – aveva fatto entrare in caserma due donne, allontanandosi con una di loro.

L’accusa lo ha accusato del reato di truffa e falso. Con le sue dichiarazioni aveva ingannato la guardia, sosteneva l’accusa. Ma per quella presenza in caserma gli era stata pagata anche un’ora di straordinario pari a 16 euro, circostanza che ha portato il militare a finire nel registro degli indagati e poi a uscire dal processo di primo grado con una pesante condanna, anche se con pena sospesa.

L’episodio era costato la sospensione all’uomo, che ora si trova in servizio fuori regione, in seguito alla denuncia di violenza sessuale presentata da una delle due signore entrate in caserma quella notte. L’accusa si è poi rivelata infondata, tanto che il procedimento è stato archiviato e la donna – una 37enne ravennate – è stata condannata in primo grado per calunnia.

Un rapporto consensuale, dunque, che, pur scagionando il carabiniere dall’accusa ben più grave di violenza sessuale, non gli ha impedito di essere rinviato a giudizio per quell’ingresso ritenuto illegittimo e per il compenso ottenuto. Accuse che la difesa, rappresentata dall’avvocato Enrico Ferri, ha respinto già in primo grado su tutti i fronti, chiedendo l’assoluzione dell’imputato.

Secondo il legale del carabiniere non c’è stata frode perché il militare ha effettivamente svolto alcune pratiche burocratiche, e lo ha fatto durante gli straordinari. Non ha quindi ricavato un ingiusto profitto, nonostante quella notte fosse rimasto con le due donne per circa un quarto d’ora, e non per motivi legati al servizio. Nel ricorso l’avvocato sottolinea che, poiché il militare viveva in caserma, aveva libero accesso e il suo ingresso negli uffici era dovuto essenzialmente ad ingenuità – per soddisfare la richiesta della donna e non al desiderio di frodare. Quella sera, inoltre, il carabiniere ha effettivamente svolto compiti d’ufficio. Una tesi che, in attesa delle motivazioni della sentenza, sembra essere stata accolta dai giudici. “Siamo molto soddisfatti dell’assoluzione – dice l’avvocato – che accoglie quanto abbiamo sostenuto fin dall’inizio”.

 
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