ciò che (non) ha detto – .

ciò che (non) ha detto – .
ciò che (non) ha detto – .

Proviamo ad andare oltre le parole, anche quelle della conferenza stampa del presidente Gravina e dell’On Spallinecon particolare attenzione all’allenatore. La sua Nazionale è stata una delle peggiori che si possano ricordare in un grande evento., anche perché questa squadra non era composta da veterani, come quella di Lippi nel 2010, campione del mondo in carica. Questo dei campioni d’Europa in carica è invece frutto di un progetto nuovo, seppur nato solo l’estate scorsa, e sulle macerie dell’ennesimo fallimento nelle qualificazioni ai mondiali. In termini di gioco, l’Italia è stata la peggiore squadra dell’Europeoe lo stesso si può dire a livello tecnico, fisico e soprattutto di personalitàcarattere e cuore: totalmente assenti.

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E colpa mia non può essere realmente tale se è accompagnato da un avversiva. Ho capito male il “ma”. E nel post partita ne abbiamo sentite fin troppe: la condizione fisica, la conoscenza, il tempo che mancava. Tutte cose vere, ma pur sempre parte della lista delle difficoltà da superare e inevitabili per un allenatore. Quindi rimane la netta sensazione che ci sia qualcosa di non detto, cioè: sono un grande allenatore (e su questo, aggiungiamo, non ci sono dubbi), ho lavorato bene, ho detto quello che dovevano fare, ma la squadra non ha risposto, non mi hanno capito . Pertanto, estremizzando, possiamo dedurre: colpa loro.

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Il problema è che il ruolo di un commissario tecnico, prima ancora che allenare la squadra, è quello di selezionarla (seppur da un parco poverissimo, e non è colpa di Spalletti, peggio ancora se non si lavora più e meglio dal basso) giovani e sui nuovi italiani, sui figli degli immigrati, come fanno le altre migliori Nazionali). Ma soprattutto, un allenatore deve schierare la squadra in base alle conoscenze tecniche e tattiche già acquisite nei club. Qualsiasi concetto legato al “mio calcio” – come dicono oggi tanti, troppi allenatori – si scontra in Nazionale con il poco tempo per lavorare (che non vale solo per Spalletti) e con le caratteristiche dei giocatori a disposizione, che sono ciò che sono. Sembrava che gli Azzurri fossero quasi più interessato a come giocare, piuttosto che a giocare. E quando, è chiaro, a un certo punto non hanno più capito niente, non aiutati dai continui cambiamenti di idee e di formazione, non avevano nemmeno la personalità per dirloreagire, confrontarsi con l’allenatore in modo costruttivo. In effetti, lo hanno sofferto. E in campo si sono fatti vedere impaurito e innocuo.

Nel calcio e nello sport si può perderee capita anche che si perda molto. Ma affinché non accada di nuovo, non puoi fare a meno di comprendere i tuoi errorisenza attribuirli a qualcosa o qualcuno estraneo alla propria cerchia di responsabilità. Spalletti si è scontrato con una realtà che è frutto della cultura troppo spesso prevalente nel calcio italiano, quella delalibiperché è sempre colpa dell’arbitro, del VAR, del calendario avverso, dei giorni di riposo mancanti. Quello di tutto e subito, di giocatori che diventano fenomeni (sui social, non in campo) dopo un paio di belle partite, e di genitori, amici e agenti che dopo quelle due partite chiedono un aggiustamento stipendio, “altrimenti io” lo porterò via”. Quella di club allergici alla nazionale e non consapevole del valore, anche in termini puramente commerciali, delle vittorie degli Azzurri. Quello dell’arroganza, che troppo spesso coinvolge anche gli allenatori, diventati santi, protagonisti anche al di là di ogni ragionevole merito. Ma il peso della maglia azzurra fa crollare qualsiasi bluffquindi questa Italia è crollata. E purtroppo con lei rischia di andare a fondo anche una generazione di calciatorie ancora, un intero movimento e soprattutto il sostegno e la passione di chi ama il calcio, scavalcato a destra e a manca dai risultati degli Azzurri negli altri sport, in un’epoca d’oro italiana, dalla quale il calcio sembra essere rimasto ai margini.

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Non si tratta di chiedere dimissioni (che comunque non sono state prese in considerazione, come hanno chiarito Gravina e Spalletti), anche perché quello che potrebbe succedere dopo non è una garanzia di miglioramento, soprattutto se il futuro fosse frutto dei soliti regolamenti di conti, tra leghe, federazioni e politica che non parlano più di calcio, di gioco. Quindi niente populismo e giustizia sommaria, ok. Ma almeno parole chiare e assunzioni di responsabilità che si traducano in esempi e fatti concreti, sì. Perché perdere così male è troppo, ed è anche peggio di quanto siamo noi.

 
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