Seconda giornata e seconda esclusiva italiana per l’“Ancona Jazz Summer Festival”. È il concerto del Black Art Jazz Collective, in programma stasera (ore 21.30) alla Mole Vanvitelliana. Sul palco saliranno musicisti di fama mondiale: Wayne Escoffery al sax, Danny Grissett al pianoforte, Ali Jackson alla batteria, Jason Weaver al contrabbasso, Josh Evans alla tromba e James Burton III al trombone.
Wayne, tu sei di Londra, ma hai fatto la maggior parte dei tuoi studi negli USA. Come sono stati i tuoi primi incontri musicali, in particolare con il grande sassofonista Jackie McLean?
“Ho incontrato McLean per la prima volta quando avevo 16 anni. Mi ha invitato a unirmi all’Artists Collective, un programma per i giovani del centro città che si concentra sul jazz e sulle arti della diaspora africana. In seguito mi ha offerto una borsa di studio per studiare con lui. È diventato il mio più grande mentore, plasmando la mia comprensione della musica, della cultura afroamericana e dell’importanza di rispettare la tradizione mentre si spingono i confini creativi”.
Le sue molteplici esperienze musicali dimostrano fedeltà a un linguaggio moderno con radici profonde nella grande tradizione jazz, fatto di soul, feeling e swing. È da qui che nasce l’idea del Black Art Jazz Collective?
“Sebbene io sia il fondatore, il concetto in sé non è nato da me. Gruppi come Art Blakey and the Jazz Messengers, Horace Silver Quintet, Miles Davis Quintet, Charlie Parker Quintet, Charles Mingus Band e Max Roach Band hanno esemplificato l’eccellenza nera e sostenuto messaggi di libertà e uguaglianza. Questi gruppi, insieme al mio lavoro con Tom Harrell, la Mingus Band e tutti i musicisti con cui ho collaborato, mi hanno ispirato a fondare il gruppo”. Sei sia un leader che un sideman. Quale situazione è più vicina al potenziale espressivo?
“Mi piace essere un turnista e aiutare le persone a interpretare la loro musica. Queste collaborazioni aiutano a far conoscere il mio lavoro come compositore e band leader. Uno non è più importante dell’altro.”
Con il Black Art Jazz Collective continuate la grande lezione dei gruppi fondamentali nella definizione dell’idioma jazz degli anni ’60. In questo senso, New York è ancora una fucina di giovani talenti?
“Penso che New York sia la destinazione perfetta per musicisti seri e talentuosi che vogliono migliorare le proprie capacità e competere con i migliori del settore. Nessun’altra città ha così tanti artisti di alto livello.”
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