Tecnico, talentuoso e con un gancio che faceva male. Oggi Efrem Calamati compie 60 anni – .

Tecnico, talentuoso e con un gancio che faceva male. Oggi Efrem Calamati compie 60 anni – .
Tecnico, talentuoso e con un gancio che faceva male. Oggi Efrem Calamati compie 60 anni – .

Oggi compie 60 anni Efrem Calamatiun simbolo dello sport aretino, uno dei pochi ad aver svolto il ruolo di profeta nella sua terra d’origine. Pugile della categoria superleggera, era dotato di un talento non comune. Rapido, tecnico, sapeva fronteggiare avversari più potenti, anche se sul ring non gli mancava la cattiveria per farsi valere. I risultati parlano per lui: 36 vittorie, 2 sconfitte e un pareggio per un atleta cresciuto a pane e guantoni, che porta la città nell’anima oggi come allora. Tifoso aretino, appartenente al quartiere di Porta Crucifera, il 25 gennaio 1989 vinse il titolo europeo al PalaCaselle davanti a tremila spettatori.

È questo il ricordo più intenso di una vita trascorsa a combattere?

Direi di sì, quell’impresa contro N’Kalankete è stata il momento clou della mia carriera. Anche e soprattutto perché il combattimento si è svolto davanti alla mia gente. Il verdetto dei giudici mi ha premiato con qualche punto di scarto, è stata una scarica di adrenalina che sento ancora dentro.

Quanto pesano 60 anni per qualcuno che è abituato a non arrendersi mai?

Basta, non lo nego. Ma non mi sono mai lamentato in vita mia e non ho certo intenzione di iniziare ora.

Cosa sta facendo oggi Efrem Calamati?

Sono il responsabile del magazzino di un’azienda della famiglia Zucchi, ho due figli, Gianmaria, 27 anni, e Camilla, 21, e una moglie, Tiziana, che ha bisogno di me. Undici anni fa ha avuto un’emorragia cerebrale che le ha causato una grave disabilità, mi prendo cura di lei. I miei acciacchi sono gestibili, la pensione è lontana e non ci penso affatto.

C’è ancora traccia dei Calamati che conquistarono gloria e consensi sul ring?

Solo i ricordi. Quando ho smesso, non ne ho voluto sapere: non ho più combattuto né ho provato a fare l’allenatore. La boxe è faticosa fisicamente e psicologicamente, per stare sul ring ci vogliono palle, coraggio. E non vedevo certe qualità nell’ambiente. Così me ne sono andato per dedicarmi ad altro.

Cosa ti è rimasto nell’anima della tua vita da pugile?

Ogni vittoria porta con sé emozioni profonde, che di solito ho apprezzato appieno due o tre giorni dopo la partita. Prima ero troppo stanco o troppo ammaccato per farlo. Ho già detto del campionato europeo. Anche la lotta per il campionato mondiale è stata bella, anche se l’ho persa.

È questo il tuo più grande rimpianto?

Sì. Se potessi, affronterei di nuovo Padilla domani. Forse non avrei vinto comunque, ma al settimo round mi sono fatto male alla spalla. L’americano era fortissimo e mi è diventato impossibile combattere con lui, quindi mi sono ritirato. Senza l’infortunio, chissà… Eravamo ad Arezzo, il pubblico mi ha dato una spinta incredibile. Vabbè, ora è finita.

A chi hai pensato in questo giorno di festa per te?

A Rocco Agostino, il mio agente che è stato una grande guida. Al mio povero papà Paolo che mi ha cresciuto come pugile e, come allenatore, mi ha dato tanto. In un angolo ascoltavo solo lui.

Come ti descriveresti a qualcuno che non ti ha mai visto combattere?

Ero un pugile pulito e fresco. Usavo soprattutto il sinistro, ero tecnico ma sapevo come fare male. Il mio gancio era pericoloso.

Hai dato di più ad Arezzo o hai ricevuto di più dalla città?

Penso di aver dato di più, ma va bene, fa parte del gioco. Ho 60 anni e, a parte quella sconfitta ai Mondiali, zero rimpianti.

 
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