Sofia, sette ore di scontro in aula – .

Sofia, sette ore di scontro in aula – .
Sofia, sette ore di scontro in aula – .

«E ora dici che Sofia si è suicidata, in quella maledetta vasca?». Impegnata a trattenere le lacrime a ogni udienza (tanti passaggi di un calvario), alla fine Vanna Broia non è riuscita a trattenere la rabbia e ieri ha urlato in aula a Lucca contro una ricostruzione che le è suonata come un oltraggio. I periti della difesa parlavano della sua Sofia, la sua bambina che le è stata portata via per sempre cinque anni fa nei bagni Texas di Marina di Pietrasanta. Era un sabato di festa: è diventata una tragedia per una vita nel tempo che ha impiegato ad annegare in un gorgo. Era il 13 luglio e la bambina è stata dichiarata morta dopo quattro giorni di agonia all’Opa di Massa, ma in realtà era già morta quando un medico lì ha provato a rianimarla sul bordo della vasca.

Secondo l’accusa, a trattenere Sofia Bernkopf, dopo averle intrappolato i lunghi capelli, sarebbe stata la bocchetta di aspirazione del sistema. Tale era la sua potenza che – secondo i consulenti del pm Salvatore Giannino e Stefano Grolla, l’avvocato vicentino dei coniugi Bernkopf costituitosi in sede civile – neanche un adulto sarebbe riuscito a liberarsi. Per tirare fuori la dodicenne parmense da quell’abisso profondo 80 centimetri, sarebbe stato necessario strappare un pezzo di cuoio capelluto insieme alla ciocca intrappolata. Secondo i medici legali della difesa, Edoardo Franchi e Martina Fogardi, Sofia avrebbe invece perso conoscenza, annegando in seguito a un trauma cranico causato da un impatto non meglio precisato (a cui nessuno ha assistito). Una ricostruzione che non tiene conto dei capelli risucchiati dalla bocchetta. L’ipotesi si basa invece su un ematoma riscontrato nella zona temporale della bambina. Ed è proprio quando se ne è parlato che la mamma di Sofia non ha più resistito. «No, signora, non lo faccia», le ha detto con voce calma il giudice Gianluca Massaro, mentre lei usciva in lacrime dopo lo sfogo, rassicurata dal funzionario del procuratore generale presente in aula.

L’udienza è durata oltre sette ore. Dura, combattuta, con gli ingegneri Orsini e Massaro, consulenti della Procura e parte civile accanto a Giannino e Grolla impegnati a smontare le ricostruzioni della controparte. L’ematoma sulla tempia della bambina c’era, infatti. Ma ha una spiegazione medica che non lo collega necessariamente a un trauma, come ben sa il padre della bambina, Edoardo Bernkopf, chirurgo oltre che odontoiatra. Sofia è stata tenuta in vita per quattro giorni grazie alla circolazione extracorporea che prevede la somministrazione di dosi massicce di anticoagulanti. Tutto il suo corpo era ricoperto di ematomi, oltre a quello evidenziato dai periti della difesa. E non si può nemmeno escludere che la bambina, nel disperato tentativo di liberarsi da ciò che la teneva sott’acqua, abbia scosso la testa, sbattendo contro la parete sommersa della piscina.

Sette imputati sono stati accusati di vari capi di imputazione per omicidio colposo aggravato nella tragedia, che sarebbero stati otto se la morte del patriarca Edo Cafissi non fosse avvenuta nel 2022 all’età di 95 anni. Secondo i testimoni, a 91 anni (quindi prima della tragedia) aveva anche perso gran parte delle sue forze mentali e fisiche a causa di un incidente molto grave.

Due degli imputati hanno rilasciato dichiarazioni spontanee ieri. Giampiero Livi lo ha fatto per ribadire il suo estraneo coinvolgimento nella gestione del Texas (che ne avesse avuto un ruolo era stato invece sostenuto da diversi testimoni in precedenti udienze), mentre Thomas Bianchi, 19enne all’epoca dei fatti, ha parlato per rinfrescare la memoria a tutti sulle sue condizioni di lavoro, tra turni massacranti e pratiche di “nonnismo” subite dai bagnini più anziani. Bianchi è accusato insieme alle sorelle Elisabetta e Simonetta Cafissi, titolari dello stabilimento, ai rispettivi mariti e datori di lavoro, Livi e Mario Assuero Marchi, all’esperto bagnino Emanuele Fulceri e a Enrico Lenzi, fornitore della struttura.

Un impianto di cui qualcuno aveva anche certificato la conformità e la sicurezza. Nei giorni scorsi, i due tecnici che avevano rilasciato la certificazione – molto contestata dalla Procura e da Grolla – sono stati iscritti nel registro degli indagati. A breve, dovrebbero essere interrogati per capire in base a quali elementi hanno firmato il certificato.

Al termine dell’udienza, Edoardo Bernkopf ha commentato che “oltre alla piccola Sofia, vittima delle azioni dei Cafissi, sembrerebbe che anche il bagnino Bianchi sia stato utilizzato dalla difesa dei Cafissi come unico capro espiatorio: non ha salvato mia figlia, ma di fatto non era stato messo dai proprietari nelle condizioni di garantire la sicurezza dei bagnanti”. La prossima udienza, il 15 luglio, servirà a stabilire le fasi successive del processo. Il verdetto sarà a settembre.

Roberto Longoni

 
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