Portovesme, se chiude lo stabilimento di Glencore a rischio non solo l’occupazione ma anche il futuro ambientale della Sardegna – .

Portovesme, se chiude lo stabilimento di Glencore a rischio non solo l’occupazione ma anche il futuro ambientale della Sardegna – .
Portovesme, se chiude lo stabilimento di Glencore a rischio non solo l’occupazione ma anche il futuro ambientale della Sardegna – .

Le bonifiche dipendevano (anche) dalla sorte del Portovesme srl. Non è solo un’emergenza professionale e sociale. Dal futuro della fabbrica piombo e zinco, controllato da Glencore – multinazionale svizzera che opera in Sardegna negli stabilimenti della zona industriale di Portoscuso e in quella di San Gavino, rispettivamente territori del Sulcis Iglesiente e del Medio Campidano – non solo fanno le sorti di circa 2 mila lavoratori (considerando anche contratti e contratti a tempo determinato), ma anche quelli di tutta la Sardegna. In particolare quelle parti dell’isola dove è concentrato l’attività mineraria e che, una volta cessato, se ne andò 70 milioni di metri cubi di discariche minerarie. La parte più cospicua, ca 60 milioni, è proprio nel Sulcis Iglesiente Guspinese. Sembrerà paradossale, ma l’impresa metallurgica – che da oltre un anno fa i conti con alti costi energetici e, per questo motivo, ha avviato la fermata di alcuni impianti con il conseguente ricorso alla cassa integrazione – può rivelarsi essere prezioso nel piano di recupero ambiente in vista di ciòeconomia circolare di cui si parla tanto.

Su cui soffermarsi ruolo dello stabilimentoa evidenziarne le potenzialità nell’opera di bonifica, è il geologo Franco Mancamembro dell’Associazione Mineraria Sarda (una vera e propria istituzione nel campo minerario) e una lunga esperienza alla guida di aziende tra cui Igeacontrollata dalla Regione e proprietaria di tutti i beni minerari, comprese le discariche.
Secondo Manca, Portovesme srl è critico “per trattare minerali potenzialmente recuperabili da giacimenti presenti in zone minerarie dismesso Sulcis Iglesiente Guspinese”. Si tratta, per la precisione, di 65 mila metri cubi contenuti materiali come piombo, zinco, rame, argento, cadmio, nichel, cobalto. Già oggi la linea di piombo dello stabilimento di Glencore, oltre a lavorare le galene, tratta il pastello di piombo (che deriva nella maggior parte dei casi da batterie esaurite) e lo trasforma in nuovo lead. Così anche zincoper la maggior parte è ottenuto dal trattamento dei fumi di acciaieria provenienti da altri stabilimenti della penisola.

“Serve la metallurgia”, insiste Franco Manca. “Lo stabilimento di Portovesme srl è strategico per trattare i materiali e procedere così ad uno vero bonifica che è propedeutica alla valorizzazione dei valori unici riconosciuti in portata internazionale”. Il geologo chiama in causa la Regione Sarda: “È auspicabile che metta in campo una visione strategica in grado di risolvere il contenzioso di Portovesme srl e risorse dirette che mette a disposizione anche il Fondo per una transizione giusta 320 milioni di euro, per il rilancio del Sulcis Iglesiente Guspinese. La Regione Sardegna deve immediatamente esercitare a forti pressioni sul governo ottenere la garanzia necessaria, nell’immediato, per salvare Portovesme e in prospettiva per rilanciare l’intero territorio”.

Eredità pesante – Perché se è vero che i giacimenti minerari garantivano, fino al secolo scorso, sviluppo e benessereè altrettanto vero che hanno lasciato un’eredità una quantità immensa delle discariche a cielo aperto. Aspettando tempra e rinvenimento per decenni. Condensate di veleni anche vicino ai centri abitati. Quasi surreale è il caso di “Montagne Rosse” all’ingresso di Iglesias (città medievale con poco più di 25 mila abitantiuna cinquantina di chilometri da Cagliari) e attrazione per i turisti che, nonostante il cartelli con la scritta “zona mineraria”sostare a bordo strada per immortalare quella distesa che (usando una buona dose di fantasia) suggerisce a Grand Canyon in note da un sedicesimo. Il “monumento”, in realtà, è un maxi budino a base di ferro (da cui deriva il colore), piombo, mercurio e cadmio. Materiali costitutivi I prodotti di scarto più di un secolo di attività della vicina miniera di Monteponi. Due milioni di metri cubi di fango rosso (tecnicamente definiti fanghi da elettrolisi) ammassati alle porte della città, lungo la strada che conduce anche alle più spettacolari località balneari della zona.

Veleni sulle case – Montagne rosse da cui sorgono nuvole di polvere rossa che raggiungono le case. Non è abbastanza. Da uno studio effettuato qualche anno fa, e reso pubblico durante un simposio dell’associazione mineraria sarda, risulta inoltre che ogni anno circa 9.000 chili di solidi si riversano nel Fiume San Giorgioil principale corso d’acqua della zona dove anch’essi finiscono in soluzione 3 mila kg di zinco, 150 di manganese, 90 di cadmio e 20 di piombo. Circa quindici anni fa è stato raggiunto un accordo tra Igea e Portovesme srl per il riciclo dei fanghi rossi. Sembrava fatto, ma il clamore di alcune associazioni ambientaliste, preoccupata per i danni che, secondo loro, sarebbero stati causati dal trasporto del materiale lungo la strada che porta al mare, ha convinto gli amministratori locali a fare pressioni sulla Regione affinché si tirasse indietro. Un’occasione persaanche perché dal punto di vista occupazionale si parlava di centinaia di posti di lavoro in più. L’industria metallurgica sarebbe responsabile della rimozione e del recupero dei materiali da utilizzare nel processo produttivo (senza dover ricorrere all’acquisto di nuova materia prima o fumi di acciaieria), trasferire i residui fino a quel punto inerti in un sito (costruito da Igea come controparte). Oggi ne riparliamoma sembra che nessuno abbia fretta: né per salvare fabbrica e posti di lavoro, né per liberare i territori dai veleni.

 
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