“Mai visto niente del genere. Dopo l’alluvione del 2003, il Molise resta vulnerabile” – .

“Mai visto niente di simile in 30 anni.” Il professor Massimiliano Fazzini, climatologo marchigiano di fama nazionale con origini molisane, fa un bilancio netto del disastro che l’Emilia-Romagna sta affrontando in queste ore. Da giorni fa il pendolare tra le zone colpite dall’alluvione e San Benedetto del Tronto, dove insegna all’Università.

Professore, com’è la situazione nelle zone allagate, lei che l’ha vista con i suoi occhi?

“È drammatico. Un vero disastro. Non per i danni, ma per la vastità dell’area, si parla di mille chilometri quadrati. E nei prossimi giorni ci sarà il problema delle frane. Si tratta di strade argillose che sono sature e rischiano di cedere. Per intenderci sono zone simili a Ingotte, vicino a Campobasso”.

Possiamo spiegare in parole semplici cosa è successo?

“La formazione della seconda depressione è avvenuta in 15 giorni di natura mediterranea, dal sud del Mediterraneo. La stessa cosa che era già accaduta ai primi di maggio, sempre in Emilia-Romagna. Ma questa volta la situazione è così rovinosa perché mentre queste depressioni si stanno muovendo solidamente verso Est, questa volta è stata bloccata dall’Anticiclone presente sui Balcani. Per questo andava verso nord ma molto lentamente. Quindi rimane lì e dà vita e precipitazioni più estese e abbondanti dove sono presenti grandi masse d’aria. In questo caso si può parlare di vera e propria sfortuna”.

C’è anche la siccità.

“Assolutamente si. Non è un fenomeno di portata eccezionale ma un fenomeno che arriva dopo un anno e mezzo di siccità in cui quella zona ha avuto 5 giorni di pioggia e ora 70 ore di pioggia con il 70 per cento delle precipitazioni totali annue”.

Tuttavia, questi fenomeni eccezionali iniziano ad essere davvero tanti. Emilia-Romagna due volte, Marche lo scorso anno, Sicilia con preoccupante frequenza. Senza dimenticare la tragedia della Marmolada.

“Questo è tutto. Un fenomeno è eccezionale se accade ogni 50 o 60 anni. L’evento del 2 e 3 maggio avrebbe potuto essere eccezionale. Ma se succede più forte dopo 15 giorni non va più bene. Tutte le statistiche a cui facevamo riferimento sono saltate e le opere idrauliche del passato, costruite per resistere a eventi simili una volta ogni secolo, non reggono più. L’estremizzazione non può essere spiegata statisticamente, non ancora, ma il cambiamento climatico ne è la prova. Siamo in un clima nuovo. Ma questo non dovrebbe essere usato come scusa”.

Spiegati meglio.

“I responsabili non possono usare il cambiamento climatico come scusa. È il fattore scatenante, ma ci sono altri fattori preclusivi: uso del suolo, antropizzazione, riduzione dei corsi d’acqua”.

Ma continuiamo a pensare alle emergenze.

«Sì, e non capisco perché. Tuttavia, sembra che questo governo si stia muovendo. Infine, è stato ratificato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici elaborato da Ispra, fermo da 7 anni. Fino ad ora nessuno l’aveva considerato, poiché le persone muoiono. 13 persone a Senigallia, 11 in Marmolada, 9 in Emilia-Romagna ma alla fine saranno di più. Non lo accetto, non possiamo permettercelo eticamente e per la ricchezza del Paese. Purtroppo però siamo un Paese arretrato”.

Cosa cambierebbe con il nuovo piano?

“Che le Regioni siano più responsabili nel seguire il piano idrogeologico e le alluvioni e si liberino dalla burocrazia nello spendere soldi per gli interventi. Ma basta un dato: l’Italia ha stanziato 15 miliardi sui 250 del Pnrr per il rischio idrogeologico, il 6%. Francia 25%”.

Si poteva fare qualcosa di diverso in termini di prevenzione, come piani di evacuazione più puntuali?

“Guardi, a differenza di altre volte, in questo caso le previsioni sono state precise, per località e quantità di pioggia, tanto che c’è stata l’allerta rossa. Questo perché i modelli riconoscono il fenomeno perché fa parte delle statistiche meteorologiche del Mediterraneo. Solo che è normale a ottobre-novembre, a maggio no”.

Tuttavia?

“Se anche una Regione che ha un piano di adattamento ai cambiamenti climatici come l’Emilia-Romagna non interviene prima, vuol dire che o ha fatto male o manca l’educazione ambientale e non è abituata a reagire a questi eventi. Poi ci sono piani fluviali e opere di ingegneria che non sono state fatte. E se succede nella regione più avanzata d’Italia, vuol dire che c’è qualcosa che non va nella gestione”.

In questo senso viene spontaneo il paragone con il Molise, dove l’intervento per la messa in sicurezza degli argini del Biferno è atteso da oltre vent’anni.

“Pensa che ho fatto la bozza del progetto con la Protezione Civile nel 2001. È una questione politica, non c’è stata la corretta trasformazione dell’alta qualità scientifica dei corrispondenti progetti idraulici. I dirigenti all’epoca erano capaci, forse non c’era dialogo con l’istituzione politica ma non posso dirlo con certezza, in più io non vivo in Molise”.

Rimanendo in Molise, possiamo fare un parallelo con l’alluvione avvenuta qui nel 2003 e con quanto sta accadendo oggi in Emilia-Romagna?

“Quello in Molise è stato un episodio molto più limitato. Quello attuale è un fenomeno estremamente più ampio per distribuzione spaziale. Tuttavia, in entrambi i casi si registra un uso del suolo drammaticamente molto elevato. L’acqua arriva a valle molto più velocemente perché ci sono tante zone interne abbandonate, mentre prima i campi erano tenuti perfettamente dai contadini. Vi sono poi le industrie del nucleo termolese e dei territori molto bassi dove è sorto, come Pantano Alto e Campomarino. La vulnerabilità del territorio è cambiata”.

Alluvione dell'Emilia Romagna

Che consiglio darebbe ai cittadini per ‘difendersi’ da eventi così estremi?

“Seguire le regole dei piani di protezione civile. Ricordiamoci però che siamo in un momento di forti precipitazioni che hanno permesso di ridurre il deficit idrico che ci ha caratterizzato per un anno e mezzo, ma ricordiamoci che il vero problema è la siccità”.

Quindi dobbiamo cambiare le nostre abitudini.

“Bisogna ricordare che non bisogna sprecare acqua soprattutto nel trimestre estivo, magari una doccia in meno o una che dura mezza, non un quarto d’ora. Non lavare le auto in estate. Poi ancora non tenere i termosifoni a una temperatura troppo alta in inverno e non temere i condizionatori a una temperatura troppo bassa in estate. Bastano 19 gradi in casa d’inverno e 25-26 d’estate. Già con quello stiamo dando una buona mano nella mitigazione dei gas serra e soprattutto non stiamo sprecando quello che sembra essere diventato il bene più importante, ovvero l’acqua”.

 
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