“Tra poco dico basta alla radio, odio la storia che si racconta oggi sul Milan” – .

“Tra poco dico basta alla radio, odio la storia che si racconta oggi sul Milan” – .
“Tra poco dico basta alla radio, odio la storia che si racconta oggi sul Milan” – .

Linus si racconta in un’intervista a Fanpage.it: “Non credo che gli sia rimasto molto tempo per dire basta alla radio. In questo momento ho molte difficoltà a trovare musica da suonare.”

Linus (foto da La Presse)

Pasquale Di Molfetta, detto Linus, non è nato a Milano, ma vive lì dagli anni ’60. E oggi come allora lo difende “Lo odio – racconta a Fanpage.it – la storia che si fa di Milano, che è una storia falsa e strumentale, sia dal punto di vista politico che da quello, semplicemente, del sensazionalismo”. Ma riconosce anche i problemi: “Quello che non mi piace è che venga standardizzato rispetto alle altre grandi città. Si sta un po’ perdendo il senso della milanesità. Ci tengo molto a questo”.

Dalla fine degli anni ’70, quando hai esordito come disc jockey e speaker radiofonico, al 2024… possiamo dire che la radio è diventata una cosa sola con te?

Oh! Non sta a me dirlo. Lo vedo come un complimento, quello che mi dici. Direi basta, sia dal punto di vista della storicità che da quello dell’evoluzione. Ho cominciato facendo un certo tipo di radio, molto elementare e anche un po’ naif e penso, spero, di aver raggiunto la maturità. Credo di aver seguito un percorso significativo parallelo all’evoluzione della radio.

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Come è cambiata la radio in tutti questi anni?

Ogni radio si è sviluppata in modo molto personale. Non siamo tutti uguali e questo è un bene. In comune c’è il fatto che si sono dati una struttura seria, una capacità (non completa) di dialogare tra loro, anche se rimangono sempre un po’ gelosi e litigiosi. Tuttavia, esiste un interesse comune, quindi spesso ci incontriamo, ci parliamo, ci incontriamo e ci scambiamo informazioni. E’ un bel gruppo. Come ti dicevo prima, però, ogni emittente radiofonica è cresciuta a modo suo.

Perché secondo te la radio, spesso considerata finita, ha sempre avuto la meglio?

Le piattaforme di streaming sono un’invenzione fantastica. Io stesso lo uso molto, per tanti motivi, anche semplicemente ricreativi. Ma sono, come si diceva una volta, un mezzo freddo, qualcosa di preconfezionato. Manca quella sensazione di calore che solo una voce può darti. Penso che questa sia la cosa che ha salvato le radio e le ha fatte continuare ad esistere, oltre alla loro capacità di essere un po’ clandestine.

Siamo una cosa piccola, che si inserisce in tutte le cose più grandi: la radio è nei computer, nella televisione, nei telefoni, in qualunque apparecchio, come si dice adesso. È diventato molto facile ascoltarli, la tecnologia ci sta permettendo di superare quella terribile parte del segnale FM che è andata perduta. Oggi è difficile avere una radio che non si senta. Quindi, questa capillarità ci rende un po’ più presenti.

In che modo Linus sperimenta il successo pur rimanendo se stesso?

Secondo me la parola chiave è “vivere”. Conduco una vita molto normale, fatta di incontri frequenti. Non sono una grande PR, infatti da questo punto di vista piano piano stanno smettendo di mandarmi inviti ad eventi, visto che sanno che non ci andrò. Agli eventi formali preferisco la vita di tutti i giorni: sono una persona che va in giro, a piedi o in bicicletta, va a vedere un concerto… Mantenere un contatto autentico con la realtà è fondamentale. Non ho una corte dei miracoli, di persone che mi dicono “carino”, “buono”. Ci sono alcune persone di cui mi fido, ma se devo dirti qual è la persona di cui mi fido di più, quella sono io stessa. E sono anche terribilmente critico con me stesso.

Avere un seguito così forte aumenta il grado di responsabilità?

Sì, è abbastanza inevitabile. È un argomento molto delicato perché, in un’epoca come questa, in cui chiunque può dirti qualunque cosa, spesso si rischia di non dire fino in fondo quello che si vorrebbe dire, proprio per non entrare in questi litigi. Ci sono personaggi, senza fare nomi, che vivono alimentando polemiche e scontri. Non mi piace far parte di questa categoria e questo forse è uno dei segreti della mia longevità professionale. Non ho mai avuto questi picchi clamorosi, proprio perché ne sono rimasto molto lontano. Pochi però possono dire che, dopo 50 anni, se ne vanno in giro con una figura dignitosa.

Ti piace Milano oggi? Cosa non sopporti?

Guardi, odio la storia che si fa di Milano, che è una storia falsa e strumentale, sia dal punto di vista politico che, semplicemente, da quello del sensazionalismo. Se vivi in ​​una qualsiasi città d’Italia e leggi di Milano, attraverso i social, hai l’impressione di trovarti, non so, in una New York cupa, pericolosa e demoniaca. In realtà Milano è una grande città, dove sì, ci sono dei problemi, ma non è certo la città violenta che viene descritta da chi vuole farsi notare sui social. È chiaro che esiste un problema legato alla gestione dell’immigrazione, ai figli di seconda generazione, ma questo esiste in qualsiasi città italiana, da Parma a Vicenza, da Frosinone a Pescara. Inutile che facciano finta che sia solo a Milano, perché fa comodo tracciare questa immagine.

Piuttosto, quello che non mi piace di Milano è che si sta standardizzando rispetto alle altre grandi città. Si è un po’ perso il senso della milanesità. Ci tengo molto a questo. Non sono nato, ma sono cresciuto a Milano e questa città deve salvare le sue caratteristiche principali, sia dal punto di vista estetico che relazionale. Forse è questo che a volte non mi piace, perché mi sembra che ci stiamo vendendo al resto del mondo. D’altronde tutti gli investimenti immobiliari vengono fatti da aziende qatariote o inglesi o americane e questo non è molto carino.

Tra arroganza, superficialità, falsità, malafede, cosa odi di più?

Cattiva fede. L’arroganza può essere perdonabile, perché a volte ci si cade dentro per inesperienza; all’improvviso ti ritrovi ad avere qualcosa che prima non avevi e non sai come gestirlo. La superficialità è, purtroppo, estremamente diffusa e va di pari passo con l’ignoranza, al punto che abbiamo fatto i conti con essa. Sì, odio la malafede, perché presuppone che tu sappia perfettamente quello che stai facendo e che tu sia abbastanza cinico da recitare una parte o dire bugie.

Sei ancora un atleta attivo, come lo sei sempre stato, o sei diventato un atleta da divano?

No, no, no, no… sono ancora un atleta attivo. Tra un paio d’ore esco in bici e recentemente sono stato a Treviso, a gareggiare con il mio Deejay. È chiaro che ho dovuto ridimensionare un po’ i miei obiettivi: se 10-15 anni fa lo correvo in 43-44 minuti, ora ci metto 52-53, ma va comunque bene.

Oltre a te stesso, devi essere grato a qualcuno in particolare?

Guarda, una serie di persone e coincidenze. Devo essere grato a mio padre, che era un musicista non affermato, ma che sognava di diventare un vero musicista. Suonava la tromba fin da ragazzo e la suonò fino alla fine, nelle orchestre e, per guadagnare qualche soldo, ai matrimoni. Ha trasmesso a me e a mio fratello (Albertino, ndr) la passione per la musica. Ho la fortuna di essere stato un ragazzo degli anni ’60 e ’70, perché sono cresciuto proprio nel periodo in cui lui faceva quella musica che avrebbe segnato anche i decenni successivi. Infine, ho avuto dei bravi insegnanti, per i quali devo ringraziare anche coloro accanto ai quali sono cresciuto.

Più amici o più rivali, in tanti anni di carriera radiofonica e televisiva?

Sicuramente più amici. Sono amico di tutti quelli che fanno parte del mio piccolo mondo, anche di chi non è più a Radio Deejay e magari lavora altrove. Non ho mai sentito rivalità con nessuno. C’è qualcuno, bravo, che magari ho avuto come punto di riferimento, ma questa è un’altra cosa. Anche con quei ragazzi dello zoo, con i quali forse c’è stata, per un certo periodo, un po’ di guerra, scatenata da loro, anche per ragioni di autopromozione, in verità, per tanti anni, ho avuto un rapporto molto bel rapporto.

Dirai basta quando…

(Ride…) Non credo che manchi molto… In questo momento ho molte difficoltà a trovare musica da suonare. Mi piace ancora, tra le cose che dico, mettere delle canzoni e trovare canzoni adatte a quello che sono e sono diventato, è sempre più difficile. Quando diventerà troppo difficile, mi fermerò. Oppure farò qualcos’altro.

 
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