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DUFT – Altare della Grafiticazione Istantanea – .

votazione
6.0

  • Bande:
    DUFT
  • Durata: 00:35:23
  • Disponibile da:
  • Etichetta:
  • Dischi scarlatti

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Pensando alla produzione musicale islandese, è statisticamente più facile, nell’immaginario collettivo, ricordare la Fire Saga dello stupido film di Will Ferrel sull’Eurovision (“Eurovision Song Contest – The story of Fire Saga”) che qualsiasi gruppo di musica estrema, anche se esistono realtà solide e riconosciute come Sólstafir o Misþyrming, solo per citare un paio di nomi che in realtà sono molto conosciuti nell’ambiente della nostra musica preferita.
I Duft, però, riuscirono davvero ad emergere da quei territori desolati lontani dal continente, vomitando tutta la loro rabbia in un mix avvelenato di hardcore e thrash metal, freddo e brutale come le terre inospitali in cui erano cresciuti. La loro formula è secca e violenta, immersa nel cinico concetto di un’umanità che volta le spalle al pianeta alla ricerca di futili gratificazioni istantanee.
Ascoltando il loro esordio “Altar Of Instant Gratification” l’impatto è innegabile, con i primi brani caratterizzati da una velocità e un’intensità micidiali volte a mozzare il fiato all’ascoltatore e a chiuderlo in un angolo, provocando una sensazione di ansia e pericolo imminente: il I Nordics infatti costruiscono il loro attacco su partiture di batteria dirette, veloci e dense, abbinate ad un assalto vocale brutale e cacofonico, di chiara origine hardcore.
Solo nella seconda parte dell’album il death-thrash primitivo e ignorante, dal sapore Cavalera, lascia spazio ad aperture che variano leggermente la tavolozza sonora, con incursioni nello sludge da incubo (“20th Century Doom”), più incisive e raffinate assoli (“Only Dead Fish Follow The Stream”) e l’uso sottile di aperture melodiche (“Doctrine”).
Mantenere un suono marcio e grezzo è chiaramente una prerogativa, ma nonostante ci siano sufficienti breakdown e variazioni per mantenere un minimo di dinamismo, i pezzi spesso si appiattiscono a causa di parti vocali spente e monotone, di riff elementari e di un rumore di fondo che, pur potendo suonare ‘vivi’ e sii punk, alla lunga stordisce.
C’è una grande dose di odio e aggressività in “Altar…”, ci sono sprazzi di buona scrittura ma è come se il gruppo non riuscisse a incasellare bene tutti i pezzi, non sappiamo se per giovane età, ingenuità o limitazioni tecniche strumentali. Niente che non si possa risolvere con un po’ di esperienza e un buon produttore, ma nonostante la furia cieca del momento questo primo album ci sembra immaturo.

 
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