quali sono i rischi? – .

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È legittimo licenziare un dipendente che in un momento di rabbia si scaglia contro il datore di lavoro?

Gestire un’impresa non è affatto semplice, soprattutto se ci sono scadenze molto brevi da rispettare: può capitare, infatti, che un certo periodo risulti particolarmente cruciale, ecco perché – anche per non mandare in crisi il funzionamento di la macchina aziendale in tilt: a qualcuno potrebbe essere chiesto uno sforzo maggiore rispetto all’impegno che quotidianamente mette.

Il presente contributo si propone di fornire un’illustrazione esaustiva delle conseguenze giuridiche che l’ lavoratore che reagisce in un certo modo

brusco e alza la voce contro la testaconcentrandosi sul fatto che tale condotta fosse insubordinata o meno.

Chi è il dipendente?

Secondo l’articolo art. 2094 del Codice CivileI l lavoratore subordinato (altrimenti definito) lavoratore) che, in cambio di un compenso (il «compenso»), è tenuto a svolgere una determinata attività impiegate e sotto la direzione di un altro personachiamata datore di lavoro (che può essere un privato, una società o una pubblica amministrazione). Quest’ultimo esercita, nei confronti dei suoi sottoposti, i poteri di direzione (quindi anche di organizzazione), Di disciplina e di controllo.

La Costituzione repubblicana, in virtù del principio di solidarietà di cui all’art. 2contiene una serie di disposizioni volte a preservare la dignità di quanti, spesso, compiono sforzi immensi – fisici e/o emotivi – per assicurarsi il sostentamento quotidiano (nel linguaggio comune, questo è comunemente chiamato “il pane”): particolare importanza deve essere data all’art.

36 Costo.secondo il quale chiunque esercita un’attività lavorativa ha diritto a compenso che è proporzionato al qualitàtu vuoi quantità del lavoro svolto a beneficio degli altri, affinché a lui e alla sua famiglia sia garantita una vita dignitoso.

Leggendo congiuntamente la norma sopra richiamata e l’art. 2094 del Codice Civile, è più che facile constatare che il contratto di lavoro è Sinallagmatico (cioè è a prestazioni corrispondenti): infatti, se da un lato il lavoratore deve impegnarsi al massimo nello svolgimento della prestazione, dall’altro il datore di lavoro (sia esso persona fisica o giuridica) è tenuto sia a retribuirlo sia a tutelarne l’integrità fisica e la dignità morale.

Quali caratteristiche presenta l’insubordinazione?

Il creditore è tenuto, innanzitutto, aobbedienza nei confronti del proprio datore di lavoro: assume la forma dieseguire tutto ciò che quest’ultimo – cioè i superiori gerarchici diretti – gli conferisce ordinefinché lo è secondo in conformità con le leggi: ad esempio Bacco, assunto come operaio metalmeccanico presso la fabbrica Theta

Puppappa Srl,coordinato da Plutone, sarà tenuto ad osservare le istruzioni che quest’ultimo gli darà (ad esempio, prendendo scrupolosamente le misure prima di saldare), ma potrebbe benissimo rifiutarsi, se gli venisse espressamente ordinato di saldare nel peggiore dei modi prodotti che potrebbero causare lesioni agli utenti finali.

I l non conformarsi tale obbligo comporta l’irrogazione, nei confronti del prestatore, di una sanzione disciplinare (che può consistere, nei casi più gravi, nella licenziamento per giusta causa ex arte. 2119) [1].

Il lavoratore arrabbiato lascia uscire una parola di troppo: è giusto licenziarlo?

Un famoso proverbio dice: “se una parola è troppo poco, due sono troppe»: ciò significa che bisogna anche moderarsi nell’affermarsi delle proprie ragioni, per non trascendere in modi, per così dire, «poco urbani».

In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che l’insubordinazione non consiste nel disattendere un comando dei superiori (rifiutandosi, ad esempio, di portare a termine qualcosa), ma

si estende rispetto per il loro prestigio e onore [2]. Volendo aderire a questo orientamento si arriva alla conclusione che la “parolina” che sfugge potrebbe compromettere il vincolo fiduciario che deve necessariamente sussistere tra datore di lavoro e subordinati, anche perché – precisa la Suprema Corte – la reputazione della società poggia anche sull’autorità di cui godono dirigenti e dirigenti.

Tuttavia, grido all’indirizzo del “padrone”, o a lui parole e frasi in apparenza non offensivo costituisce Sempre una giusta causa di licenziamento (non è cioè detto che ogni ingiuria sia tale da compromettere la reputazione dell’azienda, pertanto il Fiducia reciproco tra le parti): al riguardo, la Suprema Corte di Cassazione ha precisato che, qualora il subordinato, visibilmente turbato da un’ingiustizia subita (ad esempio, perché un collega intrigante abbia fatto la spia al datore di lavoro al solo scopo di metterlo in difficoltà guai) sarà soggetto ad azione disciplinare più mite del licenziamento [3].

In termini più semplici, il voce grossa pura e semplice non intatta ogni ipotesi di grave insubordinazione, purché, però, che non diventare la regola!

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