Giugno è il mese del Pride. Un mese per commemorare decenni di lotte per la conquista dei diritti civili, della dignità e della giustizia per lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali, queer e altre persone con diverso orientamento sessuale, identità di genere, espressione e caratteristiche sessuali. Roma è stata invasa da una marea arcobaleno.
All’alba del 28 giugno 1969, la polizia di New York fece irruzione nel Greenwich Village, popolare luogo di ritrovo dei giovani della comunità LGBTQ+, a cui seguì una significativa protesta (Stonewall Riot), simbolo della lotta per la libertà e i diritti.
Nel 2015, le Nazioni Unite hanno invitato gli Stati membri a porre fine alla violenza e alla discriminazione contro le persone LGBTIQ+.
La loro salute, nelle sue componenti di benessere fisico, mentale e sociale, è spesso ignorata dai servizi sanitari di tutto il mondo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ricorda il principio fondamentale dei diritti umani secondo cui tutte le persone dovrebbero avere accesso ai servizi sanitari senza alcuna discriminazione. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile ricorda l’importanza di “non lasciare indietro nessuno”.
Le persone e le comunità LGBTIQ+ hanno meno probabilità di interagire con gli operatori sanitari a causa dello stigma e della discriminazione, delle violazioni dei diritti umani (violenza e criminalizzazione) e di vedere affrontate le loro esigenze sanitarie a causa della negazione delle cure.
L’omofobia, la terapia di conversione (un metodo condannato dalla scienza) e la violenza istituzionalizzata contro le comunità e gli individui hanno un impatto drammatico sulle loro vite.
Come sottolineato in un editoriale sulla rivista scientifica Lancet «…non si può punire qualcuno per il suo orientamento sessuale o la sua identità di genere: è parte integrante di sé…».
Nel dibattito globale sulla salute delle persone LGBTIQ+ va inserito un principio cruciale e prioritario: educarci al rispetto della diversità.
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