I migliori ospedali e i peggiori: vi diciamo quali sono e perché. Ecco le pagelle mai divulgate

I migliori ospedali e i peggiori: vi diciamo quali sono e perché. Ecco le pagelle mai divulgate
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Le aziende ospedaliere, come tutte le aziende, funzionano bene o male a seconda di come sono gestite. Con una differenza però: i primi gestiscono la salute e gli errori di gestione non sono ammessi. I telegiornali di solito ci raccontano casi eccezionali come: «Molinette, bambina di 5 anni salvata con un trapianto di fegato collegato direttamente al cuore» (11 dicembre 2022); «Policlinico Gemelli, caso di rara complessità: nella stessa seduta è stato eseguito un bypass coronarico, è stato asportato un tumore al rene ed è stato asportato un enorme trombo. Coinvolgi 3 squadre per 10 ore» (10 febbraio 2023); “Padova, trapiantato cuore fermo per 20 minuti: prima volta” (15 maggio 2023). Un clamore meritato e rassicurante. Allo stesso tempo ci sono episodi di malasanità che fanno altrettanto rumore e ci terrorizzano. La quotidianità con cui ci confrontiamo abitualmente come pazienti è però principalmente fatta di altro: pronto soccorso, liste di attesa, esami diagnostici che, per la precisione, devono essere eseguiti con macchine sotto i 10 anni. Ed è qui che, salvo rare eccezioni, la qualità delle cure e la capacità dei gestori sono strettamente legate. Vediamo cosa significa.

Quando un ospedale funziona bene

Un ospedale funziona bene quando soddisfa i requisiti essenziali:
1) un Pronto soccorso dove i pazienti non se ne vanno perché non hanno ricevuto le cure e l’assistenza necessarie entro 8 ore;
2) tempi di attesa conformi alle disposizioni di legge (es. chirurgia sostitutiva dell’anca entro 180 giorni e chirurgia del cancro al seno, al colon-retto e al polmone entro 30 giorni);
3) bassi tassi di ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza (come l’artrodesi), il ricovero dei pazienti nel reparto di destra per il loro problema (ad esempio, il minor numero possibile di ricoveri di pazienti medici nei reparti chirurgici), il non far passare troppi giorni dall’ingresso in ospedale per l’intervento chirurgico all’intervento stesso capacità di attrarre pazienti da fuori Regione;
4) bilanci e conti in ordine;
5) nnumero adeguato di medici e infermieri per posto letto;
6) macchinari e attrezzature non obsolete.

Le pagelle ai direttori generali

Sulla base di questi indicatori, per la prima volta, è possibile dare una pagella su come vengono gestiti gli ospedali pubblici: Agenas, l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali che fa capo al Ministero della Salute, ha valutato la performance di dirigente di 53 ospedali pubblici, di cui 30 ospedali universitari, suddivisi rispettivamente in con più di 700 posti letto e con meno di 700 posti letto. Lo ha fatto come previsto dalla Legge di Bilancio 2019 che gli affida il compito di vigilare sul raggiungimento degli obiettivi dei direttori generali: «Agenas – si legge all’art. 1, comma 513 – attua (…) un sistema di analisi e monitoraggio dell’andamento delle aziende sanitarie che segnala preventivamente, attraverso un apposito meccanismo di allerta, eventuali scostamenti significativi relativi alle componenti economico-gestionali, organizzative, finanziarie e contabili, cliniche -assistenza, efficacia clinica e processi diagnostico-terapeutici, qualità, sicurezza ed esito delle cure, nonché correttezza e trasparenza dei processi”. Escludendo gli Ircc non universitari, i monospecialistici, le Asl e le aziende del territorio come le Asst della Lombardia che dal 2015 hanno incorporato la quasi totalità degli ospedali pubblici lombardi: la decisione di escludere loro da Agenas è motivata dalla necessità di disporre di dati confrontabili. I risultati che leggerete di seguito sono stati incrociati con i dati del «Piano nazionale degli esiti», lo strumento con cui Agenas verifica annualmente la qualità dell’assistenza, confermando la corrispondenza tra competenze dei gestori e risultati clinico-assistenziali.

I 9 migliori ospedali

Ecco cosa dicono i risultati del primo rapporto presentato a Roma ieri, 24 maggio 2023 (i dati sono disponibili sul portale creato sul tema da Agenas a questo link). È stato preso in considerazione il 2021, anno in cui gli ospedali hanno dovuto fare i conti ancora pesantemente con il Covid (nei grafici tutti i risultati anche del 2019 che, in assenza della pandemia, vedono performance più alte). Dei 53 ospedali presi in esame, 12 hanno un livello di performance basso, 32 medio e solo 9 alto quali sono: gli ospedali universitari di Siena (Siena), Careggi (Firenze); Pisana (Pisa), Padova, Integrata Verona e Policlinico Sant’Orsola (Bologna); e gli ospedali di S. Croce e Carle (Cuneo), Riuniti Marche Nord e Ordine Mauriziano (Torino).

I 12 ospedali punto rosso

Gli ospedali con le prestazioni più basse sono: Cosenza, San Pio (Benevento), Sant’Anna e San Sebastiano (Caserta), Riuniti Villa Sofia Cervello (Palermo) Ospedali Civico Di Cristina Benfratelli (Palermo), Cannizzaro (Catania), San Giovanni Addolorata (Roma), San Camillo Forlanini (Roma); e studenti universitari: Luigi Vanvitelli (Napoli), San Giovanni di Dio Ruggi d’Aragona (Salerno), Mater Domini (Catanzaro) e Policlinico Umberto I (Roma).

Tempi di attesa per la chirurgia oncologica

Questi sono i 10 ospedali con i tempi di attesa più brevi per la chirurgia oncologica (qui il documento ufficiale): Senese, Padova, Pisana, Policlinico Umberto I Roma, Careggi, S. Croce e Carle, Integrata Verona, Policlinico Sant’Orsola, Riuniti Foggia, Sant’Andrea di Roma che però è indicata come bassa qualità per la chirurgia del colon. E questi, invece, sono i 10 ospedali con i tempi di attesa più lunghi per gli interventi oncologici: SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo (Alessandria), San Luigi Gonzaga (Torino), Sant’Anna e San Sebastiano (Caserta), Ospedali Riuniti Bianchi Melacrino Morelli (Reggio Calabria), Policlinico Monserrato (Cagliari), Per l’Emergenza Cannizzaro (Catania) , Policlinico Universitario di Sassari e infine: Giaccone (Palermo), Pugliese e Mater Domini (Catanzaro) dove l’attesa è lunga, ma poi i livelli di assistenza sono buoni.

Macchinari più o meno obsoleti

I 10 ospedali con attrezzature meno obsolete sono (qui il documento ufficiale): Policlinico San Martino (Genova), Riuniti (Foggia), Policlinico Sant’Orsola (Bologna), Maggiore della Carità (Novara), S. Croce e Carle (Cuneo), San Pio (Benevento), Sant’Andrea (Roma), Cardarelli e Monaldi Dei Colli (Napoli), San Giuseppe Moscati di (Avellino). Gli ultimi tre in Campania che, evidentemente, ha fatto investimenti per rinnovare i macchinari, anche se i tre ospedali hanno ancora bassi livelli di cure oncologiche. Ospedali, invece, con attrezzature più obsolete – e una macchina vecchia è sempre meno precisa di una nuova –: Policlinico Universitario di Cagliari, Riuniti Villa Sofia Cervello (Palermo), Papardo (Messina), Per l’Emergenza Cannizzaro (Catania), Policlinico Universitario di Sassari, Brotzu (Cagliari ), Civico di Cristina Benfratelli (Palermo) e, a sorpresa, in questo elenco figurano anche tre ospedali: Mater Domini (Catanzaro), Senese e Policlinico San Matteo di Pavia.

Durata del ricovero con la stessa gravità

Poi c’è un indicatore (che tecnicamente si chiama «Indice di performance comparativa») che consente di valutare la durata del ricovero a parità di gravità del caso (qui il documento ufficiale): più è lunga più significa che l’ospedale ha problemi organizzativi. I migliori: Riuniti Marche Nord, Careggi, Pisana, Pugliese, Maggiore della Carità. I peggiori: S. Giovanni Di Dio Ruggi D’Aragona (Salerno), San Luigi Gonzaga (Orbassano), Civico Di Cristina Benfratelli (Palermo), Cardarelli (Napoli), Umberto I (Roma).

Responsabilità politiche

Salvo le dovute eccezioni, tali risultati testimoniano le capacità organizzative e di gestione delle risorse, o meno, del direttore generale. Ad esempio, i dati Agenas mostrano che in media una sala operatoria di un ospedale esegue solo 400 interventi all’anno, il che significa poco più di uno al giorno: prestazioni simili in altre aziende non sarebbero mai accettate. Come vengono scelti i direttori generali e da chi per gli ospedali pubblici? Dal 2012 le Regioni possono nominare solo direttori generali iscritti all’albo nazionale. Requisiti: Laurea triennale, comprovata esperienza manageriale di 5 anni nel settore sanitario o 7 in altro, frequenza di un corso di formazione in sanità pubblica ed età inferiore ai 65 anni. Poi ci sono anche le commissioni di esperti che valutano, ma alla fine chi distribuisce le carte è il presidente della Regione d’accordo con il suo assessore alla Sanità. La scelta è quindi politica.

 
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