Il fascismo profondo spiegato a Mieli, Gruber, Fazio e Giannini nel giorno della Liberazione – .

Il fascismo profondo spiegato a Mieli, Gruber, Fazio e Giannini nel giorno della Liberazione – .
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C’è chi dice che non c’è più il pericolo che il fascismo ritorni. Tra tutti l’ineffabile maestro del pensiero Paolo Mieli. Dico però che esiste un fascismo più profondo, che sopravvive e si espande, non solo in Italia e non solo a destra. Il fascismo, come intuì Pier Paolo Pasolini, non è solo quello inventato da Mussolini. Il fascismo non è un’ideologia storica, come credono alcuni illusi nostalgici, che assegna all’individuo fiero il compito eroico di ripulire il mondo dagli ultimi, dagli inutili, dagli indifesi, per creare una corsa ferrea. Il fascismo è però una psicologia, un modo di concepire la politica, le relazioni, la vita, il mondo. È una patologia profonda della psiche umana. Una patologia molto viva prima del fascismo storico, presente ancora oggi e che rimarrà nel futuro. Anche nella mente di tanti che oggi si definiscono antifascisti, blaterano nei talk show, chiedono ad altri di dichiararsi antifascisti, senza però mai affidarsi a uno psicanalista.
Il vero fascismo è quando crediamo che il bene sia da una parte e il male dall’altra. Quando, essendo al potere, non facciamo nulla per guarire il mondo nemmeno dal fascismo, ma ancor prima dalle disuguaglianze, dall’uso spudorato del potere finanziario, dall’omologazione culturale, dalla mistificazione prevalente negli stessi media che si dichiarano antifascisti . Il vero fascismo è quando ci aspetteremmo che il nostro partito politico sia sempre al potere, riducendo così la democrazia e l’alternanza a semplici simulacri. Il vero fascismo è quando limitiamo la controversia politica a puri slogan. Il vero fascismo è quando noi che ci proclamiamo antifascisti non ci distinguiamo quasi per niente (salvo piccoli dettagli) dai nuovi, eterni fascisti, quando, preso il potere, siamo capaci soltanto di apparire come la copia sbiadita della destra laddove in realtà conta: in economia, nella società, in politica estera.
Pasolini queste cose le capiva bene. E li scrisse chiaramente, tra l’altro, in un articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 24 giugno 1974 (ora in “Scritti corsari”). Per lui il fascismo era il “nuovo Potere” affermatosi nel dopoguerra, “la sua passione […] impegno cosmico per attuare pienamente Sviluppo, produrre e consumare”, per uniformare culturalmente l’Italia, per obbligarci ad adottare “un linguaggio di comportamento […] completamente convenzionalizzato”. E ha aggiunto: “Noi non abbiamo fatto niente perché i fascisti non ci fossero. Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione; e quanto più forte e petulante è l’indignazione, tanto più tranquilla è la coscienza”. Parole che sembrano scritte apposta per certi commentatori locali – tutti retoricamente antifascisti – che però, quando arriva il momento di passare dagli slogan ai fatti, sono più fascisti (nel senso pasoliniano del termine) dei neofascisti. loro stessi.
Qui, nel giorno della liberazione dal nazifascismo, mi piace ricordare proprio questo pensiero eretico. “Perché – come concludeva Pasolini – il vecchio fascismo, pur attraverso la degenerazione retorica, distingueva: mentre il nuovo fascismo – che è tutt’altra cosa – non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanisticamente pragmatico. Il suo scopo è la riorganizzazione brutalmente totalitaria e la standardizzazione del mondo”.

*Avvocato e scrittore

 
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