“Dea del campionato”. Quel pesantissimo precedente – Libero Quotidiano – .

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“Dea del campionato”. Quel pesantissimo precedente – Libero Quotidiano – .

Leonardo Iannacci

26 maggio 2024

Contuso ma mai domato, Angelo Domenghini ha sperimentato il suo trionfo Atalanta di ritorno da una brutta broncopolmonite. «La serata a Dublino mi ha fatto sentire subito meglio», dice il grande Bergheimer (come lo chiamava Gianni Brera), l’ala destra ha vinto il campionato con un risultato incredibile Cagliari Di Gigi Riva e instancabile ala della Nazionale Campione europeo nel 1968 e secondo al mondo Messico anni ’70, quando Angelo ha risolto diverse situazioni degli Azzurri. Vero che Domingoun solido 83enne nato a Lallio, nel bergamasco, vive in Sardegna ma ha sempre la Dea nel cuore e trionfa in Europa League gli ha fatto innervosire parecchio.

Domingo, ti sei commosso l’altra sera, vero?
«L’età e la dimensione del trionfo mi hanno un po’ scosso. Non capita tutti gli anni di vincere con l’Atalanta. E certamente non in quel modo”.
Aiutiamola con la memoria: l’unico trofeo della Dea risale al 1963: la Coppa Italia che ebbe un certo…
«…un certo Domenghini, non vuoi che lo ricordi? È stata una serata davvero speciale. L’atmosfera non era delle migliori, la partita contro il Torino si giocò a Milano e non a Roma per un motivo malinconico: Papa Giovanni XXIII, nato a Bergamo, non stava affatto bene, era agli ultimi giorni e la finale fu rinviato.”
Lo ha segnato indelebilmente, segnando una clamorosa tripletta.
«Come Lookman l’altra sera. E pensare che io non ero Gigi Riva, non un attaccante purosangue ma un ala destra con il vizio del gol”.
Tre imprese hanno risolto quella finale: ve le ricordate?
«Certamente: il primo gol l’ho segnato di testa su punizione, il secondo di sinistro, il terzo di destro».
È stata una mezza celebrazione, però?
“SÌ. Il giorno dopo morì il Papa e anche in città non c’era molta voglia di organizzare caroselli o di fare feste di piazza».

Bergamo ha dovuto aspettare 61 anni per esplodere di gioia.
«E meritatamente. La vittoria di Dublino ha fatto da degna cornice a un decennio incredibile”.
L’Atalanta ricorda un po’ il suo grande Cagliari: una squadra di provincia che ha vinto dopo essere cresciuta con pazienza e lungimiranza. Ti piace questo abbinamento?
“Molto. In Sardegna arrivai nel 1969 nello scambio che portò Boninsegna all’Inter. Sono entrato in un gruppo collaudato che, prima del campionato, era in testa alla classifica. Nel 1969 il Cagliari era arrivato secondo”.
Una storia molto simile a quella dell’Atalanta?
“Quel scudetto non è stato un caso, così come non è stato un caso questo trionfo europeo della Dea”.
La domanda, quindi, è d’obbligo: prossima tappa, lo scudetto?
“SÌ. L’Atalanta può vincere il campionato perché ha le risorse giuste, l’allenatore giusto e tanti campioni in squadra. A cominciare da Lookman che mi ha imitato nella tripletta della finale”.
Cosa ti manca per il titolo?
«Tecnicamente e tatticamente nulla. Se dicessi Gigi Riva non sarei lontano dalla realtà ma Gigi era unico. Direi che manca ancora una cosa.”
Vale a dire?
«Devi proprio crederci. Sviluppare la convinzione che il tricolore sia possibile come lo è stato per noi nel 1970. O come per la Sampdoria nel 1991 o per il Leicester qualche anno fa in Premier League”.
Quindi nulla è impossibile?
“NO. Credo nel campionato. Essere per anni al top, avvicinarsi a un’impresa e poi realizzarla è una buona anticamera per il titolo”.

Ti piace il calcio di oggi?
«Di Gasperini, sì. Fondare una squadra sui giovani, su acquisti mirati e intelligenti ed essere sempre al top è l’unico modo per restare in equilibrio nel calcio di oggi. In questo Percassi sta dando a tutti una bella lezione”.
Lo sai che l’almanacco del calcio ti considera una delle tre-quattro ali destre più forti del nostro calcio?
«Credo di esserne consapevole. Fu il mio calcio di punizione a pareggiare miracolosamente la prima finale degli Europei del 1968 e a portare l’Italia a giocare e vincere il replay a Roma.
Anche in Messico sei stato decisivo, e in due occasioni…
«Un mio trucchetto ci ha fatto vincere all’esordio contro la Svezia, un altro ha sistemato la partita contro il Messico ai quarti».
Rimpianti, grande Domingo?
«Uno solo: mi uccisero prima del Mondiale del 1974, ma io per anni avevo dato tutto al mio Paese. Nessuno ha corso per la Nazionale come me”.

 
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