Il tennis italiano è diventato un circolo virtuoso, e non solo grazie a Jannik Sinner – .

Non ci sono dubbi: il tennis in Italia sta “svoltando”. Lavori. Nel senso che esiste un circolo virtuoso di atleti dalle qualità eccellenti, di allenatori che riescono ad accompagnarli nella ricerca dei propri limiti, di tornei minori – ma pur sempre di alto livello – che permettono a chi insegue il sogno del professionismo di misurarsi con competizione internazionale senza dover lasciare bagagli e bagagli per andare a giocare nella casa del diavolo. C’è una federazione che ha le risorse e il buon senso per aiutare, economicamente e, per chi lo vorrà, tecnicamente con il supporto di preparatori atletici e fisioterapisti la crescita delle promesse. Un nome su tutti: Umberto Rianna, che ha un “occhio” tecnico per prendere il sopravvento sui professionisti. Prima di iniziare a finanziare nelle periferie, anche per non sradicare ragazzi e ragazze dalle loro vite, in Italia si coltivava il sogno di creare, o meglio, ricreare un grande polo tecnico nazionale. La scelta ricadde su Tirrenia; in Francia il centro tecnico di alto livello è al Roland Garros. Ci siamo capiti.

Ecco però: oggi, L’Italia è vista come un esempio virtuoso di terreno fertile per i talenti del tennis. Dopo 47 anni senza che un giocatore (maschile) raggiungesse la finale in un torneo dello Slam, tanti ne sono passati tra il trionfo di Panatta a Parigi ’76 e l’impresa di Sinner a Melbourne 2024.

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E allo stesso modo in cui, all’epoca, in Italia si consigliava di provare a copiare dai cugini francesi, per importare questo o quel modello, la tecnica ceca, il caso svedese, Adesso succede che sentiamo chiedere quale sia il segreto italiano per creare tennisti competitivi. Fino all’arrivo, alla fine degli anni Dieci, dei successi Fognini e i primi exploit di Berrettinie poi l’onda, guidata da Jannik Sinnercon Musetti, Arnaldi, Cobolli ecceterain realtà la domanda era invertita: in Italia ci siamo chiesti perché i campioni nascessero ovunque, ma proprio ovunque, tranne che qui. Anche Cipro aveva un giocatore tra i primi dieci, Marcos Baghdatis. La Svizzera, quattro gatti e tante montagne, dopo che Hingis e Rosset avevano trovato i tesori Federer e Wawrinka. Abbiamo visto la Spagna come la Terra Promessa, tale era la quantità di giocatori di alto livello sfornati ogni anno. Forse voi, almeno i più giovani tra voi, non lo ricorderete, ma il “metodo spagnolo” era una specie di metodo mantra e spauracchio nel mondo del coaching. Dovevamo fare come gli spagnoli: lavorare sodo come gli spagnoli, sfiorarsi il diritto come gli spagnoli, magari dopo averne servito bene calcio e avere i polmoni per correre per cinque ore di fila. Avere la tigna dei proprietari terrieri spagnoli. Infatti, da un po’ alcuni dei nostri migliori talenti erano emigrati lì per allenarsi. C’era chi sosteneva che il tennis andasse bene solo sulla terra battuta e, in effetti, lasciando da parte antenati come Manolo Santana, fino a Sergi Bruguera, spesso era vero che, su terra e terra, si faceva poco. Poi arrivarono gli allenatori di Nadal e Alcaraz, Moya e Ferrero, che cominciarono a vincere anche sul cemento – la finale del Masters 1998 fu vinta da Alex Corretja su Carlos Moya, finalista agli Australian Open 1997 – e, un tempo fenomeno come Rafa, si pensava che il circuito Atp diventasse una filiale della penisola iberica. Non è andata così. Oggi nella classifica ATP ci sono solo cinque spagnoli – più Carlos Alcaraz, altro fenomeno rarissimo – nessuno di loro è tra i primi 30 del mondo e due sono verso la fine della gara (Bautista Agut e Carballes Baena).

Flavio Cobolli

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E il Francia? Lei è alla disperata ricerca del successore dell’ultimo campione dello Slam maschile – Yannick Noah – dal 1983. Fino a una decina di anni fa era considerata un faro nella costruzione di un settore tecnico strutturato e diffusocapace di produrre giocatori come baguette. Quando, oggi, vi capita di leggere che “i francesi vogliono prendere esempio dall’Italia”, beh, sappiate che storicamente è stato il contrario. L’Italia, o meglio, chi si lamentava del fatto che in Italia non fossero nati campioni dai tempi di Panatta e Barazzutti, consigliava di fare come a scuola: copiare dai bravi. E come hanno fatto, quelli bravi? Semplice: la federazione francese ha guadagnato tanti soldi grazie al Roland Garros e alle migliaia di club sparsi sul territorio. Con quella montagna di soldi poteva permettersi di finanziare un centro tecnico e reclutare ex giocatori come allenatori e consulenti giovanili, pagandoli bene per evitare che iniziassero a lavorare privatamente. Così come il finanziamento dei centri periferici per chi viveva troppo lontano da Parigi e dalla costosa attività giovanile delle nuove generazioni. Risultato: la Francia ha, da tempo immemorabile, molti giocatori tra i primi cento. Anche se non ha mai più avuto un campione dello Slam e, negli ultimi anni, rispetto ai loro standard la situazione è degenerata. Facendo una foto oggi, dieci top 100 sono francesi ma nessuno di loro è tra i primi dieci: il numero uno è Ugo Humbert, 19° ATP. E infatti: negli ultimi anni i francesi hanno deciso che c’erano troppi centri federali sparsi sul territorio, ne hanno chiusi e accorpati diversi. E hanno “importato” una delle menti tennistiche più brillanti al mondo, Ivan Ljubicic, ex numero 3 del mondo e allenatore di Roger Federer: dalla fine del 2022 lavora per la FFT con il compito di coordinare e distribuire i finanziamenti a tutti giovani sopra i 14 anni con possibilità di inserimento nel circuito.

Una panoramica di Philippe-Chatrier durante il Roland Garros 2024

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Questo per dire che ci sono elementi di certezza e altri di dubbio, come in ogni materia complessa come la creazione di un atleta professionista in uno sport individuale. E che, spesso, fatti e opinioni, cause ed effetti si confondono. Soprattutto Jannik Sinner. Peccatore non peccatore perché è nato in Italia. È diventato un campione innanzitutto perché è nato con qualità rarissime. Dopo di che, perché ha scelto il tennis e non (come è successo molto spesso in Italia, a favore di altre discipline più attrattive come il calcio) un altro sport. Nel suo caso, lo sci. Alla fine, perché ha avuto la fortuna e la capacità di affidarsi, fin da ragazzo, a persone che sapevano accompagnarlosenza perdersi per strada come può succedere – ed è successo – anche a giovani dal talento cristallino. Insomma, il fenomeno non si realizza in laboratorio. Ed è davvero strano che, da quasi 50 anni, in campo maschile non ne sia emerso nemmeno uno. Era ora che venisse da noi, un top player.

Altro discorso è che si creino le condizioni affinché, se presenti, i talenti sboccino. In questo, quello italiano è indiscutibile che sia diventato un sistema essenzialmente razionale, che premia il merito, che non abbandona più gli atleti al compimento dei diciotto anni (in Italia funzionava così…) e che sostiene il lavoro degli allenatori privati ​​sostenendo il passaggio dall’attività junior a quella professionistica. Un modello più adatto all’Italia rispetto ad un sistema eccessivamente centralizzato: il nostro territorio, pur non essendo sterminato, è difficilmente percorribile su e giù per evidenti limitazioni di infrastrutture, autostrade, aeroporti e treni; e poi, culturalmente, siamo stati educati con un attaccamento alle nostre radici maggiore rispetto ad altre civiltà. Un giovane tennista friulano, sardo, molisano o valdostano va bene se cresce a casa sua, e non in un collegio chissà dove.

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Indubbiamente, quindi, la formazione degli insegnanti è stata resa più professionale negli ultimi anni. Fino a non molto tempo fa, la preparazione dell’insegnante di base – colui che mette il racket nelle mani di bambini e adolescenti – non era molto approfondita, anzi. Quindi, o finivi per caso nelle mani di uno bravo, oppure c’erano più possibilità che facesse danni che profitti. Gli insegnanti italiani sono migliorati anche perché la formazione centrale è migliorata molto.

Tutto il resto, però, sono opinioni. Si ritiene che esista, per così dire, il cosiddetto “effetto guida”.. Personalmente ho chiesto a vari tennisti italiani cosa ne pensano e molti mi hanno risposto che no, non è che se un connazionale diventa forte allora è più probabile che ci riesca basandosi sul ragionamento “se lo ha fatto lui allora posso farlo anch’io” . Anche perché i ragazzi hanno già rivali nei tornei giovanili, possono essere ragazzini stranieri che poi “sfondano” e anche con loro si può fare lo stesso ragionamento. Negli Stati Uniti, se esistesse davvero l’effetto traino, ci sarebbero ancora la metà delle top ten americane, ATP e WTA, e non è così. Un’altra opinione: in Italia esiste un canale televisivo gratuito sul tennis. Al di là del fatto che parti della stagione tennistica possono essere viste gratuitamente in altri posti in Europa e nel mondo – e che la TV pubblica italiana ha trasmesso a lungo Roma, Parigi e non pochi tornei estinti negli anni ’80 e ’90 (Firenze, Milano, Genova…) senza che questo porti alla crescita di campioni: il canale in questione è stato aperto nel 2008 e nessun altro Paese al mondo ha pensato di imitare l’iniziativa. Chi è nato nel 2008, quindi, presupponendo che abbia cominciato a guardare la televisione appena uscito dalla sala parto e si sia innamorato del racket, oggi ha 16 anni. Semmai, se Sinner vincesse uno Slam allora sì, nelle case si riprenderebbe a parlare di tennis, valutando il tennis come una disciplina sportiva da far praticare ai propri figli. O che i bambini chiedano ai loro genitori di poter praticare: la speranza è che l’ente preposto renda più facile l’accesso a uno sport costoso per le famiglie che non possono permettersi di pagare istruttori, attrezzature e viaggi.

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Jannik Sinner

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Questa stucchevole mania di voler giudicare ex post un fatto compiuto, di cercare di adattarlo alle proprie idee, è fallace in linea di principio: del resto, se fosse certo che per creare un gran numero di campioni nel tennis bisogna fare, oppure non fare, tutto quello che è successo e non è successo in Italia, che ha un modello basato sull’iniziativa privata sostenuta dall’istituzione, quindi niente di rivoluzionario ma solo un modello razionale generalmente eseguito da persone competenti, basterebbe fare copia-incolla ovunque e aspetta i risultati, giusto? Tuttavia non è così. Quello che il pubblico percepisce come un monoblocco, “il movimento italiano”, è fatto di singoli attori con le loro storie e le loro scelte: per leggerli, le biografie di Sinner, Musetti, Arnaldi, Sonego, Berrettini, Cobolli, Nardi, Passaro, Fognini ecc. – partendo dagli allenatori assunti e cambiati, dagli investimenti, dalla crescita, dai dubbi, dalle difficoltà – non si assomigliano nemmeno un po’.Quello che c’è, infatti, è che è diventato più probabile che un ragazzo giochi a tennis rispetto al passato; e che, se lo farà, non troverà tutte le barriere e gli ostacoli che in passato lo avrebbero fatto desistere, né insegnanti inadeguati e incapaci di comprendere le sue potenzialità e accompagnare la sua formazione. Perché è aumentata la professionalità, ci sono scambi di informazioni, risorse per finanziare le basi dell’attività agonistica, tornei per misurarsi con il resto del mondo. Anche una sana competizione per emergere, quindi, per carità. Non c’è più clima inadatto alla crescita dell’orto, qui: ma il clima da solo, senza la pianta buona, non porta frutto. Neppure se nel frutteto ci fosse un mago come Ljubicic.

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