“Chi crea debiti senza sapere se sarà in grado di ripagarli falsa la concorrenza leale” – .

“Chi crea debiti senza sapere se sarà in grado di ripagarli falsa la concorrenza leale” – .
“Chi crea debiti senza sapere se sarà in grado di ripagarli falsa la concorrenza leale” – .

Claudio FenucciL’amministratore delegato del Bologna, è intervenuto durante l’audizione davanti alla Settima Commissione del Senato nell’ambito del progetto di riforma del calcio italiano, parlando della necessità di interventi pubblici sul fronte stadi, dei limiti troppo rigidi della Legge Melandri e della necessità di misure più stringenti controlli sul fronte economico: “Ho evitato di produrre un documento perché ce n’è uno della Lega che è già a vostra disposizione e che riassume gli elementi critici del calcio italiano. Come esperienza porto quella di un dirigente che ha svolto il ruolo di amministratore delegato di società calcistiche per 27 anni tra Lecce, Roma e Bologna, ho visto l’evoluzione del sistema calcio negli ultimi anni. Sono partito da quello che era alla base di molti problemi economici del nostro settore, ovvero la sentenza Bosman che nel 1995 liberalizzò sostanzialmente i trasferimenti dei calciatori e rese molto più deboli le società professionistiche. La forza negoziale dei calciatori ha fatto sì che negli ultimi 25 anni nonostante ciò crescesse in modo significativo il calcio europeo che, a differenza dello sport statunitense, è costantemente esposto a perdite”.

Fenucci prosegue poi con la sua analisi, come leggiamo sopra CalcioeFinanza.it: “Sono partito da lì perché le difficoltà del settore a crescere come tale hanno creato difficoltà peculiari nel nostro sistema, che hanno portato dagli anni 2000 in cui i top club fatturavano come le big europee a una situazione in cui fatturiamo metà della Premier League , siamo diventati un campionato molto meno performante. E se sottoperformamo a livello economico lo facciamo anche dal punto di vista sportivo. In un settore in cui le competizioni europee stanno assumendo un ruolo sempre più preponderante, non essere competitivi crea un problema. C’è una correlazione tra risultati sportivi ed economici ma bisogna fare investimenti continui. Il calcio italiano oggi è in grave difficoltà a causa di diversi ritardi, alcuni dei quali erano stati parzialmente risolti con il Decreto Crescita che gli aveva permesso di tornare competitivo negli ultimi anni come dimostrato. dai risultati dei club italiani nelle coppe, ma con l’annullamento di questo provvedimento oggi si torna alla situazione di partenza. I ritardi maggiori li riscontriamo negli stadi, abbiamo un’arretratezza insopportabile. In Europa abbiamo stadi più vecchi e meno utilizzabili e purtroppo non è mai stato preso in considerazione un progetto complessivo. Non è solo un fatto economico ma è anche un fatto culturale”.

Fenucci sostiene che l’Italia è ancora indietro: “Abbiamo accumulato un ritardo notevole, probabilmente rischiamo l’Europeo nel 2032 se non agiamo in fretta. Occorrono interventi che riguardino due profili: il primo legato ai processi autorizzativi che sono complessi e lunghi, portando pressioni ai livelli locali che rendono quei processi politicamente ingestibili, il secondo di carattere finanziario perché con l’aumento dei prezzi dei materiali e dei servizi molti dei progetti avviati però si ritrovano ad avere problemi finanziari perché dai valori iniziali si arriva ad incrementi del 40%. C’è quindi un problema di finanziabilità: gli azionisti fanno la loro parte, ma è necessario anche l’intervento pubblico. Ci sono diverse forme da studiare, anche con strumenti partecipativi che non pesino sulle casse dello Stato, accanto a società di scopo che nascono per mobilitare investimenti negli stadi, miliardi di equity già pronti e basterebbe un intervento collaterale per avviare progetti che possano hanno rendimenti pari a tre volte nel territorio. E’ un tema delicato ma che va affrontato velocemente, se si vuole intervenire con una riforma del calcio bisogna partire dagli stadi”.

Per Fenucci il problema dei nostri progetti “è che non hanno cifre dal ritorno economico enorme, perché innanzitutto vogliamo mantenere accessibili i prezzi dei biglietti, ma soprattutto se si considera il costo il risultato netto è molto basso. Il nostro progetto è una riqualificazione molto complessa. Non abbiamo previsto un aumento significativo dei ricavi, lo facciamo più per un legame con il territorio, un aspetto culturale e sportivo. Il problema è che proprio perché il mio esempio è diverso dagli altri casi, ogni progetto rappresenta un unicum, è difficile trovare una strada valida per tutti tra riqualificazioni e nuovi stadi. Chi si appresta a riqualificare un impianto sottoposto a vincolo da parte di una sovrintendenza avrà un ritorno ancora inferiore rispetto a chi costruisce un nuovo stadio, perché oggi il driver dei ricavi è tutto nel settore dell’ospitalità per le aziende. Uno stadio moderno ex novo sarà sicuramente perfetto dal punto di vista dell’ospitalità, mentre uno stadio vecchio sarà meno performante rispetto al motore principale di oggi perché nessuno vuole scaricare sui tifosi comuni i costi di costruzione dello stadio. Quindi oltre a minori entrate, come detto, abbiamo anche maggiori costi, per questo chiedo un intervento pubblico che non è una novità né lo sarebbe nel contesto europeo: nei 200 stadi costruiti in Europa negli ultimi anni, i privati -il partenariato pubblico è una pratica, dalla Germania all’Inghilterra. Proprio perché si tratta di un complesso di impatto dal punto di vista urbanistico e di riqualificazione delle aree circostanti che necessita necessariamente di un intervento pubblico. Dobbiamo trovare soluzioni intelligenti perché comprendiamo la situazione delle finanze pubbliche. Si tratta di operazioni che hanno rendimenti poco attraenti per i fondi immobiliari ma possono essere attraenti per lo Stato perché hanno una redditività superiore al costo del denaro e sono risorse che, se investite, possono generare occupazione, risorse sul territorio e investimenti moltiplicatori”.

Fenucci parla anche del tema diritti tv: “La situazione della Legge Melandri è stata costruita in un momento in cui la vendita dei diritti avveniva in un mercato dominato dalla televisione satellitare. Oggi abbiamo una modalità di trasmissione completamente diversa, molte limitazioni oggi non sono più attuali e dovrebbero essere riallineate ai tempi. Il mio azionista è un imprenditore canadese la cui azienda fattura 12 miliardi, è presente nella MLS con Montreal e la MLS ha venduto tutti i diritti ad un unico acquirente, Apple. Abbiamo restrizioni che ci mettono in difficoltà anche all’estero, basti pensare all’obbligo di vendere i diritti televisivi negli Usa solo per tre anni: così la Liga ha bloccato gli introiti per 10 anni, mentre ora dobbiamo fare i conti con il momento peggiore della crisi. Sul mercato televisivo americano ci sono poi altri temi, a partire dai settori giovanili che avrebbero bisogno di un’esenzione fiscale fino alla governance, tema che però andrebbe affrontato a livello interno. La Lega non ha approvato alcuna proposta di separazione, ha solo votato un approfondimento su come agire per una maggiore autonomia decisionale anche se i rapporti con la Figc sono legati a due fattori fondamentali. : il tema delle licenze e dei controlli economici nonché i meccanismi di trasferimento dei giocatori. Quello con la FIGC è un rapporto che sicuramente andrà rivisto per la presenza della Serie A che oggi non le permette di avere la maggioranza, ma prima di affrontare una separazione stile Premier League credo che ciò vada valutato soprattutto in base sulle conseguenze.”

Fenucci, infine, ha evidenziato le problematiche legate ai controlli economici: “È complesso individuare un sistema di controlli perché siamo legati a quelli della Uefa, che ha tardato ad attuarsi anche per la spinta dei grandi club che mal sopportano le restrizioni agli investimenti a livello europeo, quindi la Uefa è stata lenta a introdurre meccanismi di controllo. La capacità di non essere sostenibili si riflette in un dato: le leghe americane pagano tra il 43% e il 45% dei ricavi ai propri tesserati, riportando in equilibrio l’intero sistema, mentre l’Italia paga il 65%. Siamo più poveri degli altri? Non credo, semplicemente abbiamo più difficoltà degli altri a reggere il confronto con la concorrenza. Viviamo in un ambiente competitivo non solo italiano, i grandi ricavi dai diritti tv li faremo nelle coppe europee e se lì non saremo competitivi faremo fatica a restare sul treno. del massimo calcio professionistico. Ecco perché ogni sistema di controllo, giustamente, deve essere armonizzato con quelli della UEFA. È qui che dobbiamo lavorare per limitare sempre di più. Si consideri che chi crea debito, anche se ha la capacità di farlo, ma non si sa se sarà in grado di ripagarlo nelle stagioni future, altera la concorrenza leale quando utilizza risorse che non ha. Non è solo una questione di solvibilità ma anche di tutela della concorrenza leale. Ci sono stati club che hanno avuto difficoltà economiche e che hanno avuto transazioni con l’Agenzia delle Entrate sulle tasse (i club in particolare che hanno approfittato delle norme in questione sono Genoa e Sampdoria, ndr), ma in passato forse qualche altro i club sono retrocessi al loro posto. Non può più durare, non è più possibile per chi non ha risorse competere sul mercato. È una questione che ci sta molto a cuore e che possiamo affrontare all’interno della UEFA per le licenze, ma armonizzandola con un sistema interno più rigido per garantire una concorrenza leale tra i club oltre alla questione della solvibilità che è, però, più complesso da affrontare”.

 
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