Olimpia Milano, il racconto definitivo di una stagione da Tricampioni d’Italia – .

Olimpia Milano, il racconto definitivo di una stagione da Tricampioni d’Italia – .
Olimpia Milano, il racconto definitivo di una stagione da Tricampioni d’Italia – .

“Dopo quella partita abbiamo giocato con una coesione diversa, con umiltà, ci siamo aiutati a vicenda e per questo in ogni partita abbiamo avuto protagonisti diversi. Nei giorni di Trento ho avuto la percezione che stavamo per giocare con una solidità diversa”, riflette Ettore Messina. Da non sottovalutare che l’Olimpia in quella Gara 1 aveva deciso di rilanciare Billy Baron per varare un assetto più perimetrale. Dopo un lungo stop per infortunio, Baron ha giocato bene in gara 1 ma alla fine è prontamente arrivato un piccolo problema muscolare che ha riportato in campo Johannes Voigtmann. Il merito di Jo è stato quello di farsi trovare pronto, soprattutto di non lasciarsi abbattere dalla scelta iniziale dello staff tecnico. Vale anche per Maodo Lo perché, dopo l’1-1 di Milano, l’Olimpia è andata a Trento senza Shavon Shields, costretto in area. E anche Lo doveva essere pronto. Sono dettagli. Ma con Voigtmann e Lo l’Olimpia ha superato le prime difficoltà e poi ha ritrovato la stabilità. Ma la chiave è stata questa, è stata nei tanti protagonisti che si sono scambiati il ​​testimone non solo nella finale. Devon Hall è stato una presenza stabilizzante nei playoff, su entrambi i lati del campo, in difesa – specialità della casa – e anche in attacco con il suo contributo alla fluidità del gioco. Hall rappresenta per certi aspetti un esempio: arrivato a Milano da Bamberga e con una fama ancora tutta da costruire. In tre stagioni è diventato un vincente, un giocatore multidimensionale. Pippo Ricci (quarto scudetto consecutivo, in questa saga Milan-Bologna è sempre stato dalla parte dei vincitori: ormai ha vinto 12 serie playoff consecutive), sacrificato dalla struttura della squadra, non solo ha fatto bene tante piccole cose ma ha anche ha dominato gara 3 a Brescia, quella che ha permesso all’Olimpia di arrivare in finale, fresca, vincitrice. Poi l’Olimpia vinse Gara-1 perché – impresa di Napier a parte – Shavon Shields fece una partita pazzesca, con le sue 6 triple su 7, record del club per una finale.

Gli Shields hanno giocato sei finali in Italia in sei stagioni. Ha perso le prime tre ma ha vinto le ultime tre. Non è stata una stagione facile per lui. È stata la sua migliore stagione da tiratore, un aggiustamento necessario contro le difese che lo terrorizzavano nell’uno contro uno, ma è stata una stagione in cui spesso ha camminato sul confine sottile tra salute e infortuni dietro l’angolo. La gestione dell’organico (quello è lavoro di squadra) gli ha permesso di arrivare fino in fondo e fregiarsi di un altro titolo. In Gara 4 aveva difficoltà con i tiri e stava diventando nervoso. Nik Melli lo ha chiamato in panchina e gli ha sussurrato qualcosa. La risposta è stata due triple. “Gli sono grato, in certi momenti due parole del Capitano, del leader, aiutano”, ha ammesso.

“Non mi piace trovare scuse: contavo di vincere più di quello che abbiamo vinto, ma sono orgoglioso di come siamo rimasti uniti nella parte finale della stagione, di aver vinto il titolo”, ha ammesso Nikola Mirotic. L’inclusione di Mirotic all’interno del gruppo è stata oggetto di molte speculazioni durante l’anno. “Non ci sono stati problemi di chimica, perché qui ci sono solo brave persone: abbiamo avuto alcuni infortuni nel momento sbagliato che hanno colpito giocatori chiave e il processo di fusione ha richiesto più tempo del previsto”, afferma Shields. “Io e Nik Melli – dice senza mezzi termini Mirotic – ci conosciamo da anni, ci stimiamo da anni, da quando ci battevamo nelle giovanili. Alla fine ci siamo ritrovati dalla stessa parte, ma a volte capita che le cose non vadano subito a posto. Abbiamo dovuto imparare a giocare insieme, perché siamo diversi ma il ruolo è simile, e poi abbiamo dovuto imparare a giocare insieme ad altri giocatori. Ci è voluto tempo.” Mirotic e Melli hanno giocato una finale europea Under 20. Mai prima d’ora l’alchimia era apparsa al meglio in finale. Melli in difesa su Shengelia, Mirotic contagiato in difesa (sei stoppate nel finale, due in gara 4) per colpire in attacco con il suo gioco tridimensionale: post basso, tiro dalla media distanza, tiro da tre punti. Mirotic ha segnato i tiri liberi che hanno tenuto a bada il Bologna in gara 3, e in gara 4 ha dominato dall’inizio alla fine. Nel momento del “braccio corto” del quarto periodo ha centrato una tripla eccezionale che ha scacciato i fantasmi. Ha chiuso con 16 tiri liberi, record eguagliato in finale, con 30 punti, il primo a segnarne così tanti in finale da quando lo fece Shields in gara 5 del 2018 (31 con Trento, la partita con il muro decisivo di Goudelock), con voto 47. L’ultimo giocatore dell’Olimpia a segnare 47 in finale è stato Cedric Henderson nel 1986, in gara 1. La coincidenza è toccante perché Henderson è morto proprio l’estate scorsa e il suo ruolo nella storia dell’Olimpia è sempre stato sottovalutato. Aveva 20 anni quando giocava in Italia: troppo acerbo all’inizio, devastante alla fine. I suoi 47 punti in finale gli rendono giustizia. Anche i registri sono utili a questo scopo.

Vincere tre scudetti consecutivi serve anche a creare un legame storico con la squadra degli anni 80. Un anno fa l’Olimpia vinse il secondo scudetto consecutivo per la prima volta dal 1987, ma fu il terzo consecutivo. Ora anche quell’impresa è stata eguagliata. Giannino Valli, Cesare Rubini, Dan Peterson ed Ettore Messina sono riusciti a vincere tre scudetti consecutivi da allenatore dell’Olimpia (per la cronaca: Mario Fioretti ne ha sei da assistente, tutti all’Olimpia; Giustino Danesi ne ha nove da preparatore atletico, tu sei all’Olimpia) . “Tutti moltiplicano gli sforzi, nessuno vuole vederti vincere tre volte di seguito”; ha sottolineato il Messina che ora ha sette scudetti. Vincere tre volte contro la stessa squadra è ancora più difficile. Consapevole di quanto fosse complicato imporsi ancora, di quanto fosse affamata di superare gli ostacoli, l’Olimpia aveva chiesto sostegno alle grandi del suo passato prima dei playoff. In un video privato, ora diffuso in versione “breve”, Dino Meneghin, Mike D’Antoni, Roberto Premier e Dan Peterson hanno offerto al gruppo il loro punto di vista, parlando della “voglia di dimostrare che eravamo ancora il meglio” (Meneghin), “dell’importanza di stare insieme, come ci è successo dopo le sconfitte, invece di disunirci ci siamo uniti di più, tutti, dal titolare in giù” (D’Antoni), “di giocare come se fossimo tutti parte di della famiglia” (Premier), fino all’esaltazione di chi “giocava poco ma era sempre lì pronto a scendere in campo come Pittis nel 1987” (Peterson). Il video si conclude con Bob McAdoo e il suo tuffo, l’azione più iconica della storia del basket italiano. Quel tuffo con cui nel 1989 a 38 anni (ricordate in qualche modo Kyle Hines?), McAdoo, ignorando una carriera di trionfi, mise in pericolo il suo fisico per togliere due punti ad Alberto Tonut.

Il figlio di Alberto Tonut, Stefano, è stato un altro dei grandi protagonisti di questo campionato. «L’anno scorso in finale giocò poco», ricorda Messina per sottolineare la crescita da un anno all’altro. Ma Alberto aveva detto al figlio che il secondo anno sarebbe stato meglio. Era solido, era una presenza fin dall’inizio”, continua Messina. “Ero consapevole della difficoltà che avrei incontrato, soprattutto nel primo anno, ma ho sentito la fiducia di tutti, ruolo che mi è stato riconosciuto con i fatti. Sono molto felice”, dice. Adesso ha vinto quattro campionati. Quando arrivò al Milan era già MVP del campionato e titolare in Nazionale, ma sentiva il bisogno di dimostrare tutto ancora una volta. E lo ha fatto. La sua difesa contro Marco Belinelli, la minaccia numero 1 della finale, è stata un capolavoro. In gara 4, i suoi sette punti nel primo periodo, come si suol dire, “hanno dettato il tono” della partita.

Un campionato non si vince mai all’ultima giornata. Il campionato è in costruzione. Nel mese di gennaio, quello in cui Tonut era forse in difficoltà, l’Olimpia supera la “notte” grazie ad una serie di ottime prestazioni di Giordano Bortolani: nell’anno in cui l’Olimpia ottiene grandi risultati nel settore giovanile, in cui sta seminando, Bortolani rappresenta un modello da emulare. È arrivato qui all’età di 13 anni, oggi è internazionale ed è Campione Italiano. Quando vinse il campionato Under 14 in finale segnò zero punti. Per dire, quanto puoi crescere nel tempo. Il suo modo di festeggiare? Due giorni dopo era al Parco Sempione a giocare in campo. Non sarebbe stato possibile vincere se Diego Flaccadori, prima nell’inverno e poi nelle ultime due gare della finale, non avesse dimostrato tutta la sua proverbiale capacità di prendere iniziative, di essere propositivo e in certi momenti ha aiutato Willie Caruso a quantità. Alex Poythress si è presentato a scatti ma ha deciso le partite (ad esempio a inizio campionato risolse la partita di Tortona) su cui poi è stata costruita una stagione. E Denzel Valentine ha portato entusiasmo dentro e intorno alla squadra.

“Ci sono state delle difficoltà, abbiamo sbagliato un ruolo chiave in cui non vorrei tornare – spiega coach Messina – poi abbiamo avuto un problema con Billy Baron. Non voglio paragonarlo a Marco Belinelli, ma è un ottimo giocatore ed era il nostro Belinelli. Non l’abbiamo mai avuto, purtroppo, e per molto tempo abbiamo pensato che prima o poi sarebbe tornato. Questo era anche peggio. Baron era il tiratore designato della squadra, l’uomo responsabile della risoluzione dei problemi e dell’espansione del campo. Sfortunatamente non c’è mai stato. Questo dimostra come ogni stagione riservi sempre incertezze. Superarli è comunque il segreto per vincere. Olimpia ce l’ha fatta. 31 volte.

Fonte Olimpia Milano

 
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