Perché non investiamo i pedoni, la spiegazione scientifica – .

Perché non investiamo i pedoni, la spiegazione scientifica – .
Perché non investiamo i pedoni, la spiegazione scientifica – .

Perché non investiamo mai i pedoni per strada? La risposta non è legata solo al diritto e alla scienza: vediamo

La signora attraversa la strada come normali pedoni (credits @PrimoCanale) – pietracellulare.it

Cosa ci impedisce di investire pedoni quando siamo al volante? Innanzitutto le regole di civiltà, che ovviamente ci rallentano di fronte alla presunta voglia di accelerare mentre un pedone passa davanti alla nostra auto. Anche quando si tratta, ad esempio, della persona sgradevole del quartiere, di qualcuno che vi ha creato un sacco di problemi o di una nonna anziana che attraversa la strada molto lentamente… il tutto mentre dovete andare a lavoro.

Perché non investiamo i pedoni, le spiegazioni

Partiamo da una domanda fondamentale: investire una persona, come ucciderla, non è mai permesso. Questa scelta scellerata è condannata in primis dalla legge italiana, che in questo periodo storico ha inasprito le pene inerenti all’omicidio stradale. Oltre alle regole di buona convivenza, seguendo le leggi vigenti nel Paese, ci sono anche dinamiche legate alla dimensione neuromotoria che ci impediscono, almeno in assenza di gravi patologie mentali, di colpire un pedone o uccidere una persona.

Pedoni attraversano la strada (credits @SicurAuto) – planetcellulare.it

La spiegazione neurologica

Cominciamo con una teoria, sostenuta da molti studiosi nel corso degli anni: l’uomo è un animale sociale. Questa condizione colloca la persona come una persona amichevole per natura e che stabilisce legami sociali per la propria sopravvivenza. Un discorso in controtendenza, se poi vediamo le degenerazioni della società come le dinamiche legate ai conflitti o alla criminalità, che però perseguono altri scopi meno nobili sul piano sociale.

Tornando alla configurazione teorica, l’uomo non è portato istintivamente ad uccidere il suo simile. Tutto questo al di là delle etnie o dei riferimenti culturali dell’altra persona di cui dovrebbe togliere la vita. Una dimensione che, incredibilmente, ereditiamo da millenni nel nostro patrimonio culturale, in un bisogno comunitario di sopravvivenza che affonda le sue radici addirittura nella specie primitiva dell’uomo.

In questa configurazione tecnica, questo comando è presente nel nostro cervello. Quasi innatamente, sappiamo che non dobbiamo uccidere i nostri simili e tanto meno mettere a rischio la nostra vita. Un blocco di pulsioni che rimane vivo anche a partire dal contesto culturale in cui viviamo, che attraverso il Sistema Triadico plasma quelli che saranno i nostri atteggiamenti fin dalla nascita. Dopotutto la nostra mente è modellata fin dall’inizio da tre elementi: lingua, cultura e ambiente circostante. A questi bisogna aggiungere elementi innati ereditati da millenni nel codice genetico della nostra specie.

Come si traduce nella realtà questa condizione? Un cervello che, senza connessioni neurologiche complesseti farà fermare di fronte a una persona che attraversa la strada. Stesso comando quando, paradossalmente, rischi di farti male o di morire per un’azione: ci sarà sempre uno stato d’animo che, almeno all’inizio, ti impedirà di agire (la tua mano nell’acqua calda per esempio). Il cervello non è quindi solo il motore con cui costruiamo le nostre giornate, ma anche un meccanismo di autodifesa per preservare la nostra sopravvivenza e quella della nostra specie.

 
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