Bio-olio da pirolisi, seconda parte – Bioenergie – .

Nel Prima parte abbiamo esaminato quelli attuali tendenze del mercato e ricerche su pirolisi della biomassa, con particolare enfasi sull’approccio “eterodosso”, rappresentato dalla tecnologia autotermica. La biomassa può essere utilizzata come fonte di energia abbondante, poco costosa e ad alta densità energetica per la produzione di combustibili rinnovabili e prodotti chimici speciali.

I prodotti speciali ottenuti da rifiuti agricoli offrono maggiori guadagni potenziali, ma, in Italiapresentarne due barriere quasi insuperabile per le aziende agricole:

  • si tratta di mercati molto specializzati (ad esempio l’industria nutraceutica), ai quali le aziende agricole non hanno accesso;
  • le autorità fiscali non riconoscono (ancora) la produzione di ingredienti come “attività legata all’agricoltura” ai sensi delarticolo 2135 del codice civilecon tutte le implicazioni che la perdita della qualifica di imprenditore agricolo comporterebbe.

Dal momento che produzione di energia (e per estensione anche i biocarburanti) rientra tra i “attività correlate”l’utilizzo della biomassa lignocellulosica rientra generalmente in una delle due categorie: biochimica (ovvero biometano da digestione anaerobica) e termochimica (ovvero la liquefazione idrotermale, nota come HTL, Hydrothermal Liquefaction, combustione, pirolisi e gassificazione). Nel settore agricolo italiano i processi termochimici sono ancora limitati alla produzione di energia elettrica e calore da gassificazione o combustione.

La produzione di biocarburanti attraverso processi termochimici presenta numerosi vantaggi – almeno in teoria – rispetto alla digestione anaerobica: tempi di reazione più rapidi, maggiore efficienza, flessibilità delle materie prime e utilizzo completo della biomassa (il residuo è limitato a una frazione relativamente piccola di biochar).

La pirolisi rapida, autotermica o meno, così come l’HTL, mira a convertire la biomassa in combustibili liquidi e sostanze chimiche. La pirolisi rapida prevede il rapido riscaldamento della biomassa ad alte temperature (400-600°C) in assenza – o quasi – di ossigeno. HTL, invece, converte la biomassa utilizzando acqua liquida a temperature moderate (~300°C) e alte pressioni (~200 bar); questo – in Europa – implica elevati costi di omologazione delle apparecchiature, costi aggiuntivi per la sicurezza, tempi lunghi per le autorizzazioni e rischi legali aggiuntivi per l’imprenditore.

Entrambe le tecnologie mirano a produrre a olio biologico ad alta densità energetica. La resa e la composizione chimica del bioolio prodotto dipendono fortemente dalle caratteristiche della biomassa da cui proviene, cioè dalle proporzioni di cellulosa, lignina ed emicellulosa, e anche dalle ceneri che agiscono da catalizzatore aumentando la produzione di CO2 e CO indesiderato.

In genere, il bioolio contiene una grande varietà di composti organici con basso numero di carbonio come aldeidi, chetoni, acidi carbossilici, aromatici e circa il 20% di acqua in peso. Questi composti contengono ossigeno in proporzioni diverse e questo, sommato all’elevata umidità del prodotto, fa sì che il suo potere calorifico inferiore (PCI) sia significativamente inferiore a quello dei derivati ​​del petrolio o del petrolio stesso. (Tabella 1).

Tabella 1: Confronto bioolio da biomassa lignocellulosica con combustibili derivati ​​dal petrolio

(Fonte foto: 1)

Un’altra caratteristica del bioolio, che lo rende inadatto all’uso diretto nei motori a combustione interna, è la sua tendenza a polimerizzare durante lo stoccaggio, provocando depositi carboniosi nelle tubazioni, nei filtri e negli iniettori. Per ottenere un prodotto utilizzabile è quindi necessario stabilizzare il bioolio, eliminando acqua e ossigeno, un processo noto come aggiornamento. Esistere metodi diversi di upgrading del bioolio, tra cui l’idrodeossigenazione catalitica (HDO), il cracking catalitico, lo steam reforming e l’esterificazione (2). Processi che, purtroppo, sono difficilmente attuabili nei piccoli impianti.

L’HDO è il processo di upgrading più studiato, in cui il bioolio viene trattato con idrogeno ad alta pressione (200-400 bar) e alta temperatura (200-400 bar)°C) sostituire l’ossigeno con idrogeno, ottenendo un idrocarburo più simile ad un derivato del petrolio. Nonostante la sua popolarità, HDO ne ha diversi inconvenienti: costi elevati, vita breve del catalizzatore, consumo di idrogeno ad alta pressione e condizioni di reazione ottenibili solo negli impianti petrolchimici, questo porta alla necessità di trasportare la biomassa su lunghe distanze.

Pertanto, per rendere commercialmente competitiva la conversione della biomassa in biocarburanti è necessario produrre e stabilizzare il bio-olio in impianti decentralizzati di piccola scala.

L’upgrading elettrochimico (ECH, Electro Chemical Hydrogenation) del bio-olio rappresenta un nuovo approccio produttivo, caratterizzato da condizioni di processo mite: temperatura °C e pressione atmosferica. L’idrogeno necessario viene prodotto in loco mediante elettrolisi dell’acqua contenuta nel bioolio, idealmente utilizzando energia elettrica da fonti rinnovabili.

Durante l’ECH, nell’elettrodo positivo dell’elettrolizzatore avviene una reazione di ossidazione (tipicamente la reazione di evoluzione dell’ossigeno) che genera ioni idrogeno, che vengono trasferiti all’elettrodo negativo dove avviene la riduzione (idrogenazione) della sostanza organica. In questo modouna grande percentuale dell’ossigeno contenuto nelle molecole del bioolio si separa formando acqua invece di CO2 e lasciando un prodotto molto simile a un idrocarburo fossile. Poiché l’idrogeno utilizzato durante l’ECH viene generato in situ, non è necessario utilizzare bombole a pressione o acquistare il gas da fornitori esterni. La natura blanda del processo ECH potrebbe consentire la lavorazione su piccola scala, anche in strutture containerizzate.

L’ECH è stato testato su biooli prodotti da diverse biomasse, riscontrando che aumenta sia la stabilità dell’olio che il contenuto di idrogeno. Esistere due approcci design dell’idrolizzatore: singola e doppia membrana (Foto 1) E (Foto 2).

Foto 1: Elettrolizzatore a membrana singola per ECH

(Fonte foto: tratta da (3), adattamento grafico dell’autore)

Elettrolizzatore a doppia membrana per ECH

Foto 2: Elettrolizzatore a doppia membrana per ECH

(Fonte foto: tratta da (4), adattamento grafico dell’autore)

I sistemi a doppia membrana si sono rivelati più efficienti in termini di qualità del prodotto finale.

Conclusioni

Saremo in grado di produrre biocarburanti dalla pirolisi della biomassa agricola nel breve e medio termine? Probabilmente NOperché è ancora necessario migliorare alcuni componenti dell’idrolizzatore.

Il bio-olio è molto corrosivo e danneggia sia i catalizzatori di cui sono ricoperti gli elettrodi che le membrane a scambio ionico, quindi molti ricerca sui materiali. Ci sono già aziende che offrono piccoli sistemi containerizzati, ma alimentati da rifiuti plastici, non ancora biomassa.

IL i problemi non sono tanto tecniche quanto politiche: su di noi incombe sempre una spada di Damocle chiamata Tassa. Finché la normativa attuale non prevede la produzione di idrocarburi mediante valorizzazione del bioolio da biomasse, ma lo farà necessario un adeguamento normativo che permette di operare senza perdere lo status di azienda agricola.

Bibliografia

(1) Sánchez, Francisco & Mateos, Alvarez & García Martín, Juan. (2021). Biodiesel e altri prodotti a valore aggiunto da bio-olio ottenuto da scarti agroalimentari. Processi. 9.797.10.3390/pr9050797.

(2) Pagina, JR; Manfredi, Z.; Bliznakov, S.; Valla, JA Recenti progressi nell’aggiornamento elettrochimico di composti modello bio-olio e bio-oli in combustibili rinnovabili e prodotti chimici di piattaforma. Materiali 2023, 16, 394.

(3) Tedd Lister (INL), Mike Lilga (PNNL), YuPo Lin (ANL); Metodi elettrochimici per l’aggiornamento degli oli di pirolisi, Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, 2017.

(4) Tedd Lister (INL), Mike Lilga (PNNL), YuPo Lin (ANL); Metodi elettrochimici per l’aggiornamento degli oli di pirolisi, Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, 2017.

 
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