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La stella RS Puppis, una delle variabili Cefeidi più luminose della Via Lattea, ripresa da Hubble. Crediti: NASA, ESA e collaborazione Hubble Heritage Team (Stsci/Aura)-Hubble/Europa Ringraziamento: H. Bond (Stsci e Penn State University)

Con il nome cefeidi si indicano tre diverse categorie di stelle variabili (stelle la cui luminosità varia periodicamente nel tempo) che hanno la caratteristica di essere delle ottime candele campione, le cui singole distanze possono essere stimate con una precisione di pochi punti percentuali. Le cefeidi classiche pulsano con periodi che vanno da un giorno a qualche centinaio di giorni e sono traccianti di popolazioni stellari giovani (meno di 200-300 milioni di anni) tipicamente associate a regioni di formazione stellare, mentre le cefeidi di tipo II pulsano con periodi che vanno da un giorno a qualche centinaio di giorni. un centinaio di giorni, sono traccianti di antiche popolazioni stellari (più vecchie di 10 miliardi di anni) e sono individuate principalmente nel nucleo e nell’alone della nostra galassia. Tra queste due categorie principali rientrano le meno numerose cefeidi anomale che pulsano con periodi variabili da poche decine di ore a pochi giorni, associate a popolazioni stellari di età intermedia (qualche miliardo di anni).

Le strade dell’astrofisica moderna e quelle delle Cefeidi si sono intrecciate più volte.

La prima Cefeide galattica fu scoperta nell’ottobre del 1784 da un astronomo dilettante britannico, John Goodricke, il quale, effettuando osservazioni regolari con il suo telescopio, si rese conto che la stella delta nella costellazione di Cefeo era una stella variabile. In realtà la prima Cefeide era stata scoperta il mese prima di Edward Pigott ed era la stella Eta della costellazione dell’Aquila. Edward era anche un astronomo dilettante e non era solo vicino di casa del giovane John, ma anche suo amico e mentore. Ha deciso di fare un passo indietro e dare la possibilità al giovane John (diciassette anni, sordomuto) di annunciare per primo la sua scoperta. Se Edoardo non avesse compiuto questo grande gesto di nobiltà di spirito oggi li chiameremmo ‘aquileidi’ e non ‘cefeidi’.

A sinistra, le stelle Cefeidi nella galassia a spirale NGC 5584 (crediti: NASA, ESA e L. Frattare/Stsci). A destra, frontespizio originale dell’articolo di Edwin Hubble “Cepheids in Spiral Nebulae” (crediti: Huntington Digital Library)

L’anno prossimo ricorre il centenario della pubblicazione dell’articolo di Edwin Hubble (1925) sulla scoperta delle cefeidi classiche nella galassia di Andromeda. Questo articolo segna la nascita della cosmologia osservativa e segna la fine della lunga disputa tra Curtis e Shapley riguardo alla natura del cosiddetto “nebulose”. Curtis aveva ragione: erano galassie esterne simili alla nostra e non nebulose appartenenti alla nostra galassia.

Fu grazie alla scoperta delle popolazioni stellari da parte di Walter Baade (1956) che ci si rese conto che le cefeidi classiche e le cefeidi di tipo II obbedivano a due diverse relazioni periodo-luminosità (PL). Si trattò di una rivoluzione di proporzioni copernicane, sia nella stima dell’età dell’universo (che per la prima volta fu maggiore dell’età della Terra basata sui decadimenti radioattivi) che nelle sue dimensioni. La relazione PL è stata scoperta da Henrietta Leavitt nel suo studio sulle cefeidi delle Nubi di Magellano (1912) e consente, una volta calibrata, di fornire distanze molto precise.

A queste vanno aggiunte molte altre scoperte rilevanti che hanno utilizzato le Cefeidi come fari per indagare la curva di rotazione della nostra galassia o come laboratori per fornire stime molto accurate delle proprietà fisiche (evolutive, pulsazionali) di stelle in stadi evolutivi avanzati con masse che vanno da poco meno di una massa solare a circa dieci masse solari.

Le rivoluzioni e le scoperte di cui abbiamo parlato si trovano in molti testi di storia dell’astrofisica. Sarebbe ragionevole pensare che le Cefeidi possano essere considerate da un punto di vista astrofisico come vecchiette sul viale del tramonto. Ma questa è una deduzione infondata. Le Cefeidi continuano a essere al crocevia di importanti problemi astrofisici e cosmologici.

Le recenti identificazioni di cefeidi classiche in sistemi binari ad eclisse nelle Nubi di Magellano hanno consentito di misurarne la massa con una precisione dell’1% e di fornire limiti molto stringenti sui fenomeni di miscelazione che accade dentro di loro. Queste stesse Cefeidi furono usate per misurare, per la prima volta con metodo geometrico, la distanza della Grande e della Piccola Nube di Magellano con una precisione dell’uno e del due per cento.

Utilizzando due dei telescopi spaziali più potenti del mondo – Hubble della NASA e Gaia dell’ESA – gli astronomi hanno effettuato le misurazioni più precise fino ad oggi del tasso di espansione dell’universo. Questo viene calcolato misurando le distanze tra le galassie vicine utilizzando tipi speciali di stelle chiamate variabili Cefeidi come metri cosmici. Confrontando la loro luminosità intrinseca misurata da Hubble con la loro luminosità apparente vista dalla Terra, gli scienziati possono calcolare le loro distanze. Gaia perfeziona ulteriormente questa metrica misurando geometricamente le distanze dalle variabili Cefeidi all’interno della nostra galassia, la Via Lattea. Ciò ha permesso agli astronomi di calibrare con maggiore precisione le distanze delle Cefeidi osservate nelle galassie esterne. Crediti: NASA, ESA e A. Feild (STScI)

Le Nubi di Magellano svolgono un ruolo fondamentale nella scala delle distanze cosmiche, perché vengono utilizzate come primo gradino nella determinazione della costante di Hubble. I risultati più recenti sulla stima di questa costante suggeriscono una tensione a livello di otto sigma tra la stima diretta basata su un campione locale di 42 supernove di tipo Ia calibrate con cefeidi classiche (H0=73.04±1.04 m/s/Mpc) e la stima della stessa costante basata sulla radiazione cosmica di fondo del satellite Planck (H0=67,4±0,5 km/s/Mpc). Questa tensione sembra suggerire che, attualmente, il nostro universo si stia espandendo a una velocità che è circa l’8 per cento più veloce di quanto previsto dal modello cosmologico più accreditato (LambdaCdm). Questa differenza, se confermata, implicherebbe non solo un superamento del modello standard ma anche un’interessante opportunità per la nuova fisica.

La comunità astrofisica si sta muovendo lungo tre diverse strade: a) verificare l’universalità, e in particolare la dipendenza dalla metallicità, delle relazioni PL utilizzate per stimare le distanze delle Cefeidi; b) utilizzare candele campione traccianti di antiche popolazioni stellari come le Cefeidi di tipo II e la tip del ramo gigante; c) ricerca di eventuali errori sistematici. Questo sforzo titanico è ancora in corso, ma ci sono buone ragioni per pensare che i nuovi risultati del satellite Gaia e del nuovo sondaggio i test spettroscopici da terra ci permetteranno di svelare il problema.

La misurazione delle abbondanze delle Cefeidi è importante non solo per la scala delle distanze cosmiche ma anche per indagare la storia dell’arricchimento chimico della nostra galassia. Le Cefeidi classiche vengono utilizzate per misurare i gradienti di composizione chimica del sottile disco in cui si trova il nostro Sistema Solare e ci aiutano a capire quanti elementi chimici si formano, compresi quelli che sono alla base della vita – i cosiddetti Chnops (carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno, fosforo, zolfo).

Ci sembra opportuno sottolineare che il prossimo anno ricorre anche il centenario della pubblicazione della tesi di dottorato di Cecilia Payne, la prima donna a conseguire un dottorato in astrofisica. Usa per la prima volta l’equazione di Saha per determinare le abbondanze stellari e dimostra che l’elemento più diffuso nell’universo è l’idrogeno. L’approccio che adotta apre la strada alla spettroscopia quantitativa e alla nucleosintesi.

Per saperne di più:

Cercare Media Inaf TV il servizio video sulla misurazione delle distanze nel cosmo:

 
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