Taras Shevchenko, il bardo ucraino, brillante autodidatta (traduzione di Paolo Galvagni) – .

Taras Shevchenko, il bardo ucraino, brillante autodidatta (traduzione di Paolo Galvagni) – .
Taras Shevchenko, il bardo ucraino, brillante autodidatta (traduzione di Paolo Galvagni) – .

Taras Shevchenko nato a 1814 vicino Kiev in una famiglia di servi. Rimasto orfano in giovane età, comincia a vagare da un villaggio all’altro, svolgendo i lavori più disparati. Intanto frequenta per brevi periodi le scuole di campagna, gestite da diaconi e chierici: impara a leggere e scrivere e si appassiona al disegno. Entrò in servizio presso il nobile Pavlo Enhel’hardt, lo segue prima a Kiev, poi a Vilnius. Nel 1831 arrivò a Pietroburgo, allora capitale dell’impero zarista, dove fu collocato in uno studio d’arte per poter diventare un servitore-artista. (1). Ecco il fatto che gli cambierà la vita: Ivan Sošenko, concittadino, si entusiasmò delle sue doti artistiche e lo presentò a personaggi illustri dell’epoca, tra cui il pittore Karl Brjullov e il poeta Vasilij Žukovskij, che nel 1838 riuscirono a riscattarlo dalla servitù: la somma necessaria per il riscatto è stato raggiunto grazie alla vendita di un dipinto di Bryullov.

Da uomo libero, nel maggio 1839 Shevchenko poté iscriversi all’Accademia di Belle Arti, che frequentò con successo. Inoltre si dedica alla lettura con spirito da autodidatta. Si spazia dalla storia dell’arte (Vasari) alla storia antica (Plutarco), fino ai maestri della letteratura europea (Dante, Shakespeare, Goethe, Hugo).

Il soggiorno a Pietroburgo è molto fruttuoso per l’educazione del giovane. Frequentò i salotti più alla moda, i locali più rinomati, e conobbe le personalità dell’epoca. Riesce ad assimilare lo spirito democratico e libertario che aleggia nella società russa di quegli anni. Servitù (2), tristemente nota al giovane ucraino, è la questione che agita gran parte dell’intellighenzia russa. Rivela talenti letterari e si dedica anche alla poesia. Nel 1840 esce la sua prima raccolta poetica Kobzar [Il menestrello] (3). L’anno successivo altre sue poesie apparvero nell’almanacco «Lastivka» [La rondine]. Le opere che segnano il debutto di ševčenk sono unanimemente acclamate come la genuina espressione di un raro talento poetico. Tuttavia, la maggior parte dei critici di Pietroburgo si rammarica che siano scritti in ucraino.

Nel 1845 Shevchenko termina l’Accademia, specializzandosi in incisione e acquaforte. Tra i dipinti più famosi spiccano “La zingara – Strega” (1841, acquerello), “Kateryna” (1842, olio), “Famiglia contadina” (1843, olio), la serie di acqueforti “Pittorica Ucraina” (1844).

Ritornato in patria trovò impiego presso la Commissione Archeografica. Questa attività lo porta a viaggiare per tutta l’Ucraina: deve individuare oggetti, monumenti ed edifici di particolare valore artistico. Nel 1846 incontrò lo storico Kostomarov, che lo introdusse alla Società Cirillo e Metodio, un gruppo politico segreto, che si batteva per un’unione spirituale e politica dei popoli slavi, tutti ugualmente liberi e indipendenti, per il riconoscimento dell’Ucraina come paese autonomo. nazione. Nel 1847, a seguito di una perquisizione della polizia, la società viene sciolta. Shevchenko fu arrestato e trasportato a San Pietroburgo, dove rimase in prigione per due mesi. Ispirato da questa esperienza scrive il ciclo “V kazemati” [Nella casamatta]. Condannato al servizio militare obbligatorio in Siberia, il poeta viene inviato sotto scorta prima a Orenburg, poi alla fortezza di Orsk. Sono anni terribili: resiste al gelo e ai lavori pesanti grazie al suo temperamento robusto. Nonostante il divieto di scrivere e dipingere, Shevchenko continua a dedicarsi all’arte poesia: porta, nascosto in uno stivale, un quaderno di versi.

Nel 1857, dopo la morte dello zar Nicola II, grazie anche ai suoi influenti amici pietroburghesi, poté terminare il decennale esilio del poeta ucraino. Ritorna nella capitale russa, dove trascorre gli ultimi anni della sua vita. Frequenta l’ambiente letterario, incontra i romanzieri Turgenev, Goncharov, il critico democratico Chernyshevskij. Uscì nel 1860 Kobzar in una nuova edizione. Colpito da una lunga malattia, morì nel marzo 1861.

Taras Shevchenko si eleva da umile servo alla dignità di poeta nazionale, segna la rinascita letteraria e culturale di tutto il suo popolo. È un brillante autodidatta, la cui poesia è l’espressione più genuina della cultura popolare, che certamente ha conosciuto durante l’infanzia trascorsa nei campi e nei villaggi. Rappresenta quindi il passaggio dalla tradizione orale alla letteratura scritta.

1) Nell’Impero zarista era normale che un nobile addestrasse uno o più servitori per avere a disposizione attori o artisti. 2) Lo zar Alessandro II abolì la servitù della gleba nel 1861. 3) Kobzar, un menestrello che accompagna il canto con il kobza, una sorta di liuto ucraino a otto corde.

PAG

***

La reclusione è gravosa, anche se

in verità, non avevo libertà.
Comunque vivevamo in qualche modo,
anche se in campo straniero…
Ora dobbiamo aspettare
quella sfortuna, come un dio,
e lo aspetto, sto in guardia,
Maledico il mio malvagio intelletto,
che ha ingannato gli stolti,
soffoca la libertà in una pozzanghera.
Mi si gela il cuore ricordarlo
non in Ucraina sarò sepolto,
che non vivrò in Ucraina,
Amerò le persone e il Signore.

[Tra il 19 e il 30 maggio 1847, San Pietroburgo]

***

I miei pensieri, i miei pensieri,

voi i miei unici,
almeno non abbandonarmi
nell’ora malvagia.
Arrivate, miei piccioni
con le ali grigie,
dall’ampio Dnipro
nella steppa per camminare
con il miserabile kirghiso,
ora sono infelici,
ora nudo… E libero
pregano ancora Dio.
Venite, miei cari,
con discorsi tranquilli
Vi saluterò, come bambini,
e piangerò con te.

[Seconda metà del 1847, Fortezza di Orsk]

***

Il sole tramonta, le montagne sono nere,
tace l’uccellino, tace il campo,
felici sono le persone per il riposo,
E guardo… volo con il cuore
in un giardinetto buio, in Ucraina,
Volo, volo, penso un pensiero,
e il cuore sembra riposare.
Nero il campo, la foresta, le montagne,
una stella spunta nel cielo azzurro.
Oh stella! Stella! – e le lacrime scorrono.
Forse sei già sorto anche in Ucraina?
Forse gli occhi castani ti stanno cercando
nel cielo azzurro? Forse ti dimenticano?
Se hanno dimenticato, possano addormentarsi,
per non sapere del mio destino.

[Seconda metà del 1847, Fortezza di Orsk]

***

Era il mio tredicesimo anno.
Stavo pascolando le pecore oltre il villaggio.
Forse splendeva il piccolo sole,
Forse avevo qualcosa?
Ero così felice, felice,
come se in Dio…………
Mi hanno chiamato per mangiare,
e io stavo tra le erbacce
pregare Dio… E non lo so
perché poi da bambino
Ho pregato con grande piacere,
perché ero così allegro?
Il cielo del Signore, il villaggio,
le pecore sembravano gioire!

E il sole bruciava, non bruciava!
Ma non per molto il sole riscaldò,
Non ho pregato a lungo…
Tutto bruciò e diventò viola
e il cielo ardeva.
Come svegliato, guardai:
il villaggio era annerito,
anche l’azzurro cielo divino
era impallidito.
Ho guardato le pecore –
le pecore non erano mie!
Mi voltai verso le case –
Non avevo una casa!
Dio non mi aveva dato nulla!…
E le lacrime scorrevano,
lacrime pesanti!… Una fanciulla,
proprio sulla strada,
Non lontano, accanto a me,
ha scelto la canapa,
mi ha sentito piangere.
si avvicinò, mi salutò,
mi ha asciugato le lacrime
e mi ha baciato……………….

Era come se splendesse il sole,
Come se tutto nel mondo fosse
i miei… i campi, i boschi, gli orti!…
E noi, scherzosamente, abbiamo guidato
le pecore degli altri da abbeverare.

Chimere!… e anche oggi, se ricordo,

il cuore piange di dolore, perché
il Signore non mi ha lasciato
vivere una vita breve in quel paradiso.
Sarei morto arando il campo,
Non avrei saputo nulla al mondo,
Non sarei stato uno strano al mondo,
Non avrei maledetto le persone e Dio!

[Seconda metà del 1847, Fortezza di Orsk]

***

Oh, guarderò, vedrò

quella steppa, il campo;
Dio misericordioso forse non darà
libertà per la vecchiaia.
Andrei in Ucraina,
Vorrei andare a casa,
mi avrebbero salutato lì,
gioia per gli anziani,
Là mi riposerei un po’,
pregando Dio,
Ecco io… Non ci penso nemmeno,
non succederà nulla.
Ma come vivi?
in prigionia senza speranza?
Insegnatemi, brava gente,
altrimenti divento matto.

[Prima metà del 1848, Fortezza di Orsk]

***

Se avessi le scarpe,
Andrei al ballo.
Il mio dolore!
non ho scarpe,
e la musica suona, suona,
mette tristezza!
Oh, vagherò a piedi nudi nel campo,
Cercherò il mio destino,
la mia fortuna! Aspetto
io con le sopracciglia nere,
il mio destino bugiardo,
Sono sfortunato!
Una ragazzina al ballo,
con le scarpette rosse, –
Sono preoccupato.
Senza sfarzo, senza amore
Tengo le mie sopracciglia nere,
Li tengo servendo!

[Seconda metà del 1848, Kos-Aral]

***

Mi sono innamorato,
mi sono sposato
ad uno sfortunato orfano –
tale è il mio destino!

Persone orgogliose e cattive
ci hanno separato, mi hanno avuto
preso e portato in un rifugio –
mi hanno dato moskal’!

E, donna sola
Moscovita, sto invecchiando
in una casa sconosciuta –

[Seconda metà del 1848, Kos-Aral]

tale è il mio destino!

Termine dispregiativo usato per riferirsi ai soldati russi.
***

Mia madre mi ha dato alla luce

negli alti edifici,
avvolgendomi nella seta.

In oro, in velluto,

nascosto come quel fiorellino,
Sono cresciuto, sono cresciuto.

E sono cresciuto meravigliosamente:

occhi castani, sopracciglia nere,
la faccia bianca.

Mi sono innamorato di un povero uomo,

mia madre non me lo permetteva,
ho soggiornato

vivere da zitella in palazzi alti

zitella per tutta la vita, –
la mia sfortuna.

Come un filo d’erba nella valle,

Sono in solitudine solitaria
invecchiando.

Non guardo il mondo divino,

Non mi rivolgo a nessuno…
Ma l’anziana madre…

Perdonami, madre mia!

[Seconda metà del 1848, Kos-Aral]

Ti maledirò, finché

Non sarò morto.

***
Il giorno di Pasqua, sul fieno,
di fronte al sole, i bambini
giocavano con le uova colorate

cominciarono a vantarsi dei doni.
Ne avevano uno per le vacanze
ornata da un ricamo la camicetta.
Quello l’avevano comprato
un nastro, un fiocco a un altro.
A chi un cappello d’Agnina,
scarpe di cuoio di cavallo,
a chi un grande panno. Solo uno
seduto senza niente da lisciare,
Un orfano, con le mani piccole
nascosto nelle maniche.
– Me lo ha comprato la mamma.
– Papà me l’ha aggiustato.
– E la mia madrina

[Prima metà del 1849, Kos-Aral]

ha ricamato un fregio. – E ho pranzato con il Papa, –

Disse il piccolo orfano. Le uova colorate sono tradizionali per la Pasqua ortodossa (“krašanky”).

 
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