Dopo New York Gabriele Rossi presenta al Lievito il suo “The Lizard” – Foto 1 di 1 – .

Dopo New York Gabriele Rossi presenta al Lievito il suo “The Lizard” – Foto 1 di 1 – .
Dopo New York Gabriele Rossi presenta al Lievito il suo “The Lizard” – Foto 1 di 1 – .

Gabriele Rossi affronta il jet lag senza fatica e da New York in poche ore e un volo arriva a Latina, la sua città, e presenta il suo libro “The Lizard” (Deadbeat Club) che sta riscuotendo successo in America. Gabriele Rossi lavora con il banco ottico, evoluzione moderna della prima camera oscura, una macchina fotografica composta da una scatola con foro stenopeico, ha una caratteristica fondamentale: ti insegna a guardare con attenzione, senza macchina fotografica sull’occhio. Prima guardi ciò che ti circonda e poi sotto il panno, regoli lo spostamento dell’obiettivo e decidi cosa ti interessa e cosa no. Una macchina complessa da utilizzare che implica una scelta da parte del fotografo. «La scelta dell’inquadratura della fotografia è la cosa fondamentale, ma allo stesso tempo è un rischio. Si parla di come vengono percepiti la realtà e il tempo, si invertono anche le dinamiche del tempo – dice Gabriele – si accumulano strati, come nel libro, che danno quasi un senso filmico. Anche la stampa è leggermente trasparente, quasi si sovrappone.” Gabriele ha fotografato tantissimo in giro per il mondo, compresi tanti volti, ma non ha dimenticato la sua città. Porta avanti questa ricerca e questo racconto su Latina – che ricorda il lavoro di Luigi Ghirri per quest’aria rarefatta, di Gabriele Basilico per gli scatti architettonici ma anche la grande tradizione della fotografia americana capace di descrivere le persone – che però rimanda quasi a una visione apolide. , sguardo nuovo, capace di stupire anche se conosce queste architetture. “The Lizard”, il suo ultimo lavoro, che prende il nome dalle lucertole che si nascondevano nel suo treppiede, nasce da tre anni di residenze a New York, dal momento che nel 2018 ha partecipato ad una residenza artistica basata sul “networking” che offriva la possibilità possibilità di incontrare galleristi, giornalisti, professionisti. Gabriele prendeva anche 5 appuntamenti al giorno e la fotografia cominciava a scomparire. Rallenta gli incontri ed esce, va alla spiaggia con vista sull’oceano e guarda da dove viene. La consapevolezza che riappropriarsi di sé avrebbe significato ricominciare a fotografare, a fotografare altrove dalla città, visioni confortevoli che in un certo senso gli ricordavano anche casa. Lavorando con il banco ottico devi calcolare il tempo, devi prevedere l’inquadratura, non è sempre facile. Ogni foto è una storia. Una notte in tenda, un negozio vuoto, un viaggio. Gabriele parla attentamente del mondo. «Per me la fotografia è come una terapia per lo sguardo». Niente di più vero.

 
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