Wall Street crolla sotto i 5.000 punti. Ma per i prossimi mesi avrà due cartucce di grandi dimensioni: .

Wall Street crolla sotto i 5.000 punti. Ma per i prossimi mesi avrà due cartucce di grandi dimensioni: .
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Wall Street è in calo da tre settimane consecutive. Rispetto ai massimi di fine marzo, l’indice S&P 500 ha perso il 5,5%, perdendo nell’ultima seduta la soglia simbolica dei 5.000 punti. Si tratta per ora di una correzione fisiologica dopo cinque mesi di rialzi senza sosta che hanno portato il principale indice azionario mondiale a segnare un +28% record.

Le tensioni geopolitiche in Medio Oriente contribuiscono all’attuale fase di debolezza, ma va detto che i listini erano ipercomprati e probabilmente attendevano un innesco per invertire la tendenza. Quando inizia una correzione, le domande che tutti si pongono sono: quanto durerà e fino a che punto la recessione potrà mettere radici? Nessuno ha la sfera di cristallo per predire il futuro. Ma ci sono ragioni fondamentali, al di là dei fattori esogeni, che possono alimentare movimenti di capitali come quelli di un’escalation militare. Due di questi sono negativi nel breve termine. Altri due, invece, sono decisamente positivi.

Cominciamo con i fattori ribassisti. Siamo nel pieno della stagione dei bilanci trimestrali (la prossima settimana scopriremo i conti di alcuni dei magnifici sette) e questo significa che è scattato il blocco sui piani di buyback. Una tendenza, quella del riacquisto di azioni proprie, che contribuisce a rendere sempre più scarse le azioni societarie e che è una pratica molto diffusa a Wall Street, tanto da essere uno dei motivi per cui il mercato azionario statunitense scambia costantemente a premio rispetto ai mercati azionari europei dove l’utilizzo di questo strumento è in crescita solo di recente. Senza l’aiuto dei riacquisti, gli operatori sono più liberi di vendere perché dall’altra parte del libro non trovano la potenza di fuoco della liquidità della società che ha stanziato un budget importante per riacquistare le azioni. C’è un altro fattore ribassista a breve termine. La liquidità in circolazione si riduce. Ciò può essere verificato analizzando la disponibilità nei conti correnti del Tesoro americano presso la Fed e le altre principali banche commerciali. Siamo vicini a 1 trilione di dollari.

Lo scorso maggio, prima dell’accordo sul tetto del debito valido fino al prossimo dicembre, questo conto era praticamente scomparso. Tecnicamente, un aumento della liquidità del Tesoro equivale a un drenaggio di liquidità. Il recente aumento è legato anche alla data chiave negli Stati Uniti per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi, che quest’anno è caduta il 18 aprile. In sostanza il Tesoro riscuote le tasse. Questo sta togliendo liquidità ai cittadini e riempiendo il loro conto. Inoltre, il Tesoro sta vendendo titoli di Stato a ritmo sostenuto per finanziare un deficit crescente che sta raggiungendo il 6% del PIL. Anche questa è una forma di drenaggio di liquidità. Pertanto la sospensione temporanea dei riacquisti (meno sostegno finanziario) insieme al drenaggio del Tesoro (meno sostegno fiscale) hanno di fatto ridotto la formula di liquidità (che si ottiene sottraendo dal bilancio della Federal Reserve la liquidità presente nel conto del Tesoro e quello presente nel deposito della Fed denominato reverse repo market) dai 6.500 miliardi di marzo agli attuali 6.200 miliardi. E sappiamo che i mercati finanziari, in particolare la propensione al rischio, si basano principalmente sul driver della liquidità. Se questo diminuisce per vari motivi è difficile vedere un rally del mercato azionario.

Ma è qui che finiscono le cattive notizie e iniziano quelle buone. Perché se la liquidità dovesse effettivamente invertire la rotta nel breve termine, potrebbe ripartire nei prossimi mesi, offrendo potenzialmente nuovo carburante alle azioni.

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