È morto Italo Rota, l’architetto del Museo del Novecento – - – .

È morto Italo Rota, l’architetto del Museo del Novecento – - – .
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Di PIERLUIGI PANZA

Progettista e designer, aveva idee vulcaniche. Inizia a lavorare con Gregotti e Gae Aulenti al Muse d’Orsay. Aveva 70 anni

Morto l’architetto Italo Rota, che progettò il Museo del Novecento in Piazza del Duomo a Milano. Dopo la laurea al Politecnico, inizia a collaborare con Gregotti e con Gae Aulenti al Muse d’Orsay. Fu direttore della Nuova Accademia di Belle Arti (Naba).

Se ci penso Italo Rota, l’architetto del Museo del Novecento di Milano e di cento altri progetti, morto il 6 aprile, amico di tanti anni, lo vedo un giorno dopo l’11 settembre quando andremo in delegazione negli Stati Uniti per presentare il suo museo. E lui, scalzo, vestito con un soprabito cremisi lungo fino ai piedi comprato in India dove aveva appena terminato un santuario, viene (ovviamente) fermato al confine tra i sospettati: Non potevi metterti qualcos’altro, Italo?. L’unica cosa di cui diffidare, però, erano le sue idee vulcaniche, a volte stravaganti (come il mitico Bagonghi, simbolo di Milano), giocose, libere, quello che con lui c’entra sempre…, dovresti fare…. Infine l’idea che i droni ci lasceranno il cibo nei cortili, o che i container diventeranno ospedali mobili, che ogni cittadino lascerà i suoi cimeli nei musei, come quello di Reggio Emilia…

Dopo la laurea al Politecnico, inizi a farlo lavorando con Gregotti e Aulenti al Muse d’Orsay, che era anche sua creatura. È facile collocarlo nella Postmodernità, soprattutto quella con più lustrini: è un uomo che collezionava le riviste del Movimento Moderno, i grigi costruttivisti russi, i soldatini. Fu l’artefice dello stilista Roberto Cavalli, per il quale costruì una villa a Firenze, negozi con lunghe murene e il Just Cavalli Caf, meta di una Milano animalier al quale non ha partecipato perché amava stare in casa con i suoi gatti, la moglie (la scenografa Margherita Palli) e cucinare.

Partecipato alla storia della mutazione dal kitsch, alla fusione dei generi per creare una nuova visione degli interni. Quella degli stilisti è un’architettura effimera – ha detto – ma una visione narrativa, un catalogo di ispirazioni. Creare, con l’architettura, una felicità momentanea era la sua visione, spesso utilizzando – era così apparentemente mistico e con un atteggiamento culturale giapponese – un surplus di tecnologia, di robotizzazione che gli piaceva molto.

L’architettura non è più quella del Lungo termine, potrebbe non durare nemmeno la vita dell’architetto: per Luca Ronconi ha però costruito una tomba in stile etrusco che saprà sfidare i millenni. Amava creare case sartoriali per ciascuno, con un comfort estremo per rendere felici le persone, un’architettura di Jeff Koons. Fu direttore della Nuova Accademia di Belle Arti (Naba) interamente orientata all’apprendimento del mestiere cogliendo le tendenze del futuro.

Designer, creativo prima ancora che architetto di vecchio stampo, Rota era consigliere nella Giunta Formentini (era un europeista convinto, in questo un po’ glocal come Philippe Daverio). Per Expo ha realizzato il Padiglione del Kuwait e alla Triennale, con Germano Celant, la mostra Cucina & Invasori sul potere che il cibo ha nella società, con spunti sul futuro dell’alimentazione, ma anche la ricostruzione della cucina di Papa d’Annunzio con l’elenco dei piatti preferiti.

Non ho mai capito come uno così, vestito in quel modo stravagante, un elfo che sembrava un Sadu, con una grande cultura del passato, potesse interessarsi elevate prestazioni tecnologiche (come nelle fabbriche altamente robotizzate della Elatech a Bergamo e della Sit a Cusago), la logistica, i droni, il digitale, una sorta di Ganesh 3D, un inventore pazzo uscito da qualche foresta di Avalon. E poi non so come dirlo, penso alla sua voce, così gentile, così priva di ipocrisia, così allergica alla banalità, così spontanea, così preziosa, così fragile come un verso di Prevert.

6 aprile 2024 (modificato il 6 aprile 2024 | 18:47)

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