Intervista al curatore Udo Kittelmann – .

Tra i tanti eventi che costellano Venezia nel 2024, la mostra Leone di Dio di Walton Ford da non perdere. È ospitato dall’Università Veneta di Scienze, Lettere ed Arti, un luogo importante per la città di Venezia non solo per la bellezza dell’edificio che lo ospita (la Scuola Grande di San Fantin, a due passi dal Teatro La Fenice) ma soprattutto per le sue preziose collezioni artistiche. Proprio ad una grande opera di Jacopo Tintoretto (L’apparizione della Vergine a San Girolamocirca. 1580), che decora la Biblioteca dell’Università del Veneto, si ispirano ai nuovi dipinti dell’americano Walton Ford (Larchmont, 1960), che assumono quindi la qualità di opere site-specific in un concreto dialogo con l’opera del maestro veneziano (esposta eccezionalmente nella Sala Tommaseo per l’intera durata della mostra). Né la Vergine né San Girolamo sono protagonisti Leone di Dio: come suggerisce il titolo, è il leone (attributo che accompagna il santo in tutte le sue raffigurazioni più famose) a conquistare la scena, seguendo l’attenzione di Ford verso le entità animali non umane. Ne abbiamo parlato con il curatore della mostra Udo Kittelmann (Düsseldorf, 1958), già direttore della Nationalgalerie di Berlino (che comprende, tra le altre, l’Alte Nationalgalerie, l’Hamburger Banhof, la Neue Nationalgalerie e il Museum Berggruen) dal 2008 al 2020.

Walton Ford, Lion of God, veduta dell’installazione all’Ateneo Veneto, Venezia, 2024. Foto Ginevra Formentini

Intervista a Udo Kittelmann

Cominciamo con una domanda di rito. Cosa significa per te “curare”?
Significa prendersi cura della fantasia e dei desideri dell’artista, e aiutarlo a costruire una mostra. E soprattutto, mantieni un dialogo molto profondo con lui o lei. Fin dall’inizio della mia carriera, quando ho iniziato a curare mostre, ho capito che è fondamentale comprendere a fondo la pratica di un artista per poterlo aiutare. Devi essere il miglior critico nei suoi confronti, almeno il più onesto.

Come è nata la tua collaborazione con Walton Ford?
Credo che fosse il 2009 quando incontrai per la prima volta il suo lavoro e ne rimasi molto colpito. Sono stato subito molto attratto dalle sue opere: a prima vista sembrano molto diverse da quello che solitamente ci si aspetta dall’arte contemporanea, ma quando si esplorano più a fondo, diciamo, i problemi che Walton affronta, diventano estremamente contemporanei. Poco dopo il nostro primo incontro, l’anno successivo appunto, lo invitai a tenere la sua prima mostra istituzionale in Europa, all’Hamburger Bahnhof di Berlino. All’epoca, ricordo, fui molto criticato per questo: perché portare questo tipo di opere in un museo d’arte contemporanea del genere? Eppure, alla fine della mostra, registrammo una presenza di 140.000 visitatori, anche se Walton non era ancora così conosciuto come lo è oggi. Questo mi ha insegnato una lezione: gran parte del grande pubblico, che generalmente non ha familiarità con i discorsi o le teorie più recenti dell’arte contemporanea, ne è disgustato.

Infatti la prima cosa che ho notato è che le opere di Ford sembrano parlare una lingua antica. Forse questo permette loro di comunicare le istanze del contemporaneo anche a chi non è abituato ai codici dell’arte di oggi?
Esattamente, e il loro linguaggio è anche molto spirituale e un po’ emotivo. In qualche modo si sintonizzano sul battito del cuore del pubblico.

La spiritualità di cui parli mi porta alla domanda successiva: le opere di Walton Ford sono profondamente legate allo spazio in cui ci troviamo, l’Ateneo Veneto, e alle sue collezioni. Mi vengono in mente i tanti casi in cui le pale d’altare furono prelevate dalle chiese e dalle cattedrali in cui erano state progettate e poi decontestualizzate all’interno dei musei. Come sopravviverà questa serie di Walton Ford una volta terminata la mostra e quando verrà esposta in altri contesti?
La serie di dipinti Leone di Dio è fortemente pensato per l’Università del Veneto e con cui entrare in dialogo (e confronto). l’Apparizione della Vergine a San Girolamo di Tintoretto. Quando queste opere saranno separate da questo contesto, continueranno ad avere una vita e un impatto indipendenti. Certamente, però, vederli in questa mostra è l’occasione migliore per cogliere i loro profondi legami con la grande opera di Tintoretto, con gli ambienti dell’Università veneta e con Venezia stessa, dato che il leone è il simbolo per eccellenza della città.

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Walton Ford, Luctus, 2024. Per gentile concessione dell’artista e Kasmin, New York. Foto Charlie Rubin

Jacopo Tintoretto, Apparizione della Vergine a San Girolamo, ca. 1580, Ateneo Veneto, Venezia 2/9

Jacopo Tintoretto, Apparizione della Vergine a San Girolamo, ca. 1580, Ateneo Veneto, Venezia

Walton Ford, An Apparition, 2024. Courtesy dell'artista e Kasmin, New York. Foto Charlie Rubin 3/9

Walton Ford, An Apparition, 2024. Courtesy dell’artista e Kasmin, New York. Foto Charlie Rubin

Walton Ford, Culpabilis, 2024. Courtesy dell'artista e Kasmin, New York. Foto Charlie Rubin 4 / 9

Walton Ford, Culpabilis, 2024. Courtesy dell’artista e Kasmin, New York. Foto Charlie Rubin

Walton Ford, Memento, 2024. Courtesy dell'artista e Kasmin, New York. Foto Charlie Rubin 5/9

Walton Ford, Memento, 2024. Courtesy dell’artista e Kasmin, New York. Foto Charlie Rubin

Walton Ford, Phantom, 2023. Per gentile concessione dell'artista e Kasmin, New York. Foto Charlie Rubin 6/9

Walton Ford, Phantom, 2023. Per gentile concessione dell’artista e Kasmin, New York. Foto Charlie Rubin

Walton Ford, Lion of God, veduta dell'installazione all'Ateneo Veneto, Venezia, 2024. Foto Ginevra Formentini 7/9

Walton Ford, Lion of God, veduta dell’installazione all’Ateneo Veneto, Venezia, 2024. Foto Ginevra Formentini

Walton Ford, Lion of God, veduta dell'installazione all'Ateneo Veneto, Venezia, 2024. Foto Ginevra Formentini 8/9

Walton Ford, Lion of God, veduta dell’installazione all’Ateneo Veneto, Venezia, 2024. Foto Ginevra Formentini

Walton Ford. Foto Charlie Rubin 9/9

Walton Ford. Foto Charlie Rubin

Come superare la distanza temporale tra Tintoretto e Walton Ford?
Non è importante quanti secoli siano passati: l’arte racconta sempre la stessa storia. Cerca ogni volta (per citare Paul Klee) di rendere visibile l’invisibile, si occupa dell’essere umano come spirito, riguarda le emozioni, l’amore, l’odio, il senso di colpa. Ma queste sono tutte cose che si trovano lungo tutta la storia dell’umanità e non cambiano: sono le persone che cambiano, e questo fa loro leggere la stessa storia in modi nuovi, a loro contemporanei.

Ho trovato interessante il modo in cui Ford sovverte un personaggio ausiliario come il leone nella storia di San Girolamo, rendendolo il vero protagonista delle opere. Ford sta cercando di dirci che dobbiamo ripensare il nostro posto nel mondo?
Certamente. In generale, le opere di Walton tentano di ricordarci la nostra arroganza e che, in quanto creature naturali, dovremmo porre fine alla crudeltà che ci caratterizza. Vorrei citare Spinoza, che disse: “L’idea dell’oceano è sempre contenuta in una goccia d’acqua. Dobbiamo prenderci cura della goccia d’acqua per prenderci cura dell’oceano”.

L’unica interazione tra l’uomo e il leone nelle opere di Walton Ford ritrae il momento in cui si estraggono le spine dalla zampa del leone…
C’è una rappresentazione del rapporto tra le specie basato sull’aiuto reciproco, sull’armonia, sull’amore. Questo si vede molto anche nel dipinto che rappresenta il leone che abbraccia l’asino: guardandolo si percepisce chiaramente la vicinanza tra i due animali.

E in questo sta forse la natura politica delle opere di Walton Ford.
Il lavoro di Walton è molto politico: nelle sue opere però non si pone nella posizione di chi mostra cosa è giusto e cosa è sbagliato, il discorso politico non appare in modo didascalico. La sua levatura politica emerge organicamente dalle sue opere, e questo è qualcosa che non accade oggi in molta arte contemporanea, che vuole spingere lo spettatore a pensare politicamente. L’armonia tra l’asino e il leone, nonostante le loro differenze, ci porta a riflettere sulla nostra stessa natura: perché non possiamo convivere pacificamente?

Alberto Villa

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