Se hai trent’anni, è probabile che il tuo comico preferito sia Luca Ravenna – .

Se hai trent’anni, è probabile che il tuo comico preferito sia Luca Ravenna – .
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Ho visto Luca Ravenna esibirsi per la prima volta nel 2017 al Pierrot Le Fou di Roma insieme a Stefano Rapone e Daniele Tinti. Non sapevo bene cosa fosse la stand-up comedy ma sulla mia bacheca Facebook erano apparsi alcuni suoi video condivisi da amici che non conosco e così gli ho chiesto amicizia, ritrovando tracce di queste serate in cui sedevamo a il pavimento e rise come un matto. Saremo stati venti o trenta, poi io e Luca ci siamo conosciuti ad una partita di calcio, abbiamo giocato insieme a tennis e ogni tanto ci sentiamo ancora per commentare soprattutto i tornei dello Slam. Lunedì 8 aprile sono andata a vederlo al Teatro delle Celebrazioni di Bologna Red Sox, il suo ultimo spettacolo. Entrando nella coda – lunghissima, la serata era esaurita da settimane – ho avuto la forte impressione che a teatro ci fosse un gruppo specifico e limitato di Millennials, quello compreso nella fascia dei nati tra la metà degli anni ’80 e metà degli anni ’90. Bologna è una città ecumenica per gli eventi, per la cabaret ancora di più perché offre il bacino più ampio possibile di non residenti, ex non residenti diventati residenti fissi, bolognesi che vanno sempre volentieri a teatro. Prima dell’inizio dello spettacolo mi sono ricordato perché ero lì.

Nel 2018 ho visto la prima mostra intera di Luca Ravenna all’Alcazar di Roma. Nel ghetto mi aveva divertito molto, perché c’erano già tutte le cose che poi sarebbero diventate Ravenna: monologhi situazionali, raccontati con il fiato lungo e colorati da espressioni facciali importanti e dall’uso delle voci. Fin dalle prime canzoni, Ravenna si diverte sempre a imitare gli accenti italiani, parodiando le voci dei suoi genitori e lanciandosi anche in qualche imitazione. Ricordo che uscivo e passeggiavo per Trastevere pensando che era stata una bella serata ma che forse mi aspettavo di più. Non era insoddisfazione, più la sensazione di essersi svegliati da una buona cena ancora affamati. L’ho rivisto a Roma nel 2020, poi sono andato a teatro per Rodrigo DAL VIVO, il suo tour post-partecipazione a LOL. Questa è stata la fossa che ha scavato un prima e un dopo nella sua carriera, almeno dal punto di vista della popolarità. Dire che non si sentiva a suo agio in quel contesto è superfluo, ma credo che quella partecipazione abbia significato due cose: empatia da parte di chi lo seguiva e già lo conosceva, curiosità per chi lo ha incontrato lì, fare un monologo e poco altro prima di essere eliminato.

Nel 2022 sono andato a seguirlo per 568 all’Estragon di Bologna. Il pubblico, immobile e composto, ha indossato ordinatamente le mascherine Ffp2 senza posti vuoti per prendere le distanze. La crescita di Ravenna è stata costante e ogni spettacolo alzava un po’ l’asticella, sia per quanto riguarda il mestiere con cui conduceva il monologo, sia per quanto riguarda i contenuti che ci metteva. C’era nel mezzo Podcast sul cashmere insieme a Edoardo Ferrario e ai vari format sportivi (TAQ E Antenna sportiva) con Daniele Tinti. Una carriera che ho sempre seguito costantemente fino a lunedì sera, quando ho capito che Luca Ravenna è il miglior narratore della generazione dei Millennials.

Avevo già avuto il primo sentore che Ravenna fosse qualcosa di generazionale dal suo precedente tour – 568 – soprattutto mentre parlava di cene per trentenni, tutte coppie, tutte con “problemi”, magari anche i primi figli. Dentro le case vere, non le mansarde o gli ultimi piani con il terrazzo a Ozpetek. Al di là delle risate, mi è rimasta una traccia di malinconia presa dalla mia storia vera e da quella di tutti i miei amici più cari. Con quel pezzo Ravenna aveva scattato una fotografia: quella dei giovani per sempre fuori sede che si eleggono a famiglie adottive e allargate per altri giovani fiori a casa per sempre, e proprio come in una famiglia si amano ma anche si odiano, a volte si si fanno male, sopportano, si lanciano frecciate a vicenda.

Ancora più irriverente e diretta è stata una delle domande arrivate quasi alla fine dello spettacolo: quanto è difficile essere di sinistra quando si sale tutti i giorni su un treno regionale? Da pendolare onorario avrei voluto alzarmi e ringraziare. Ero stato felice di essere al centro di una storia. Non io come singolo individuo ma io come parte di una “popolazione” che deve percorrere cento chilometri all’andata e cento chilometri al ritorno per andare al lavoro. In Red Sox tutto questo è stato portato all’ennesima potenza. Ravenna ha mantenuto l’atmosfera di frequentazione e di complicità tra amici, aumentando la qualità della costruzione di ogni racconto. Ganci, rimandi, ritorni, piccole semine, tutto fa parte di un viaggio di due ore lungo il quale lo spettatore è guidato dal ritmo serrato che Ravenna riesce sempre a mantenere.

Non ha perso la sua spontaneità ma il suo mestiere è migliorato e ogni riferimento – culturale, letterario, musicale – di Ravenna è stato pensato e realizzato su misura per la generazione nata tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta. Il rapporto con i genitori, i fallimenti sessuali non consentiti dalla cultura maschile italiana, le interazioni sociali con la polizia, Harry Potter, l’invecchiamento, la canzone napoletana “Sarà lui? Sarà lei?” che anima ogni pacchiana rivelazione di genere napoletana su TikTok, gli attivisti di Ultima Generazione, e tutti i piccoli dettagli che per due ore mi hanno fatto dire, tra me e me, «è vero, è così, hai ragione, lo so, parliamo di continua a dirlo a tutti”. La sensazione resta la stessa anche quando picchia il fratello perché in fondo è davvero uno snob, o quando inizia a raccontarti cos’è Matteo Salvini per i Millennials. Neppure un momento di satira politica ma sempre di costume, di cultura popolare che Ravenna continua a portare in scena, evidenziando le differenze regionali e territoriali.

Anche quando parla molto di sé, come nel racconto di quell’esperienza traumatica per lui esibersi davanti a 50mila persone per il concerto di Radio Italia a Palermo; anche nel racconto della tournée negli Stati Uniti cercando di fare stand-up comedy in inglese americano con non poche difficoltà; anche quando ammette la sua insofferenza verso i turisti americani che infestano gli Airbnb del suo condominio e lasciano sempre aperte le porte dell’ascensore. Una commedia divertente ma anche profondamente malinconica, la storia del tempo che passa. A trent’anni si invecchia poco a poco ma più velocemente che nelle fasi precedenti della vita, si cambia di più, ci si pensa di più. E se Ravenna racconta di come due amici trentenni non possano mai parlare guardandosi negli occhi ma sempre uno accanto all’altro – come se stessero pescando o cacciando – fa lo stesso con ogni singolo spettatore. Non gli spara niente in faccia, comincia a camminargli accanto e per due ore gli dice esattamente quello che ha bisogno di sentirsi dire.

Tag: sei trentenne possibilità preferito comico Luca Ravenna

 
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