Celine Dion è il commovente canto del cigno della cantante di Titanic – .

Celine Dion è il commovente canto del cigno della cantante di Titanic – .
Celine Dion è il commovente canto del cigno della cantante di Titanic – .

Il mio cuore sopravviveràMa non questa volta. Non dopo aver visto Io sono: Celine Dionil toccante documentario sul cantante di Titanico (perché, diciamocelo, è quello a cui pensi subito quando dici il nome di Celin Dion), disponibile dal 25 giugno Primo Video. La prima scena ti fa subito saltare un colpo. L’ultimo ti fa svuotare un intero pacchetto di fazzoletti. In mezzo c’è una storia che, con grande dignità, svela gli ultimi 17 anni da incubo del cantante. Senza mai cadere nella spazzatura. E nemmeno nel vittimismo.

Il documentario si apre con un cartello che avverte della presenza di scene mediche scioccanti. E tu pensi: “Sono cresciuto con Doctor Pimple Popper e Embarrassing Illnesses, cos’è questo?” Invece il pugno allo stomaco arriva, diretto, e lo senti. Perché una cosa è lo splatter o il voyeurismo delle persone che vengono riprese in sala operatoria, un’altra è vedere un’anima spezzata che, impotente, si irrigidisce a terra, perdendo ciò che ha di più prezioso: la sua voce.

Infatti, se negli ultimi anni Celine Dion cancellava spesso i suoi concerti, non era a causa dei “contagi” di cui si vantava. Dietro c’era un motivo molto più serio: soffre di PRS, cioè sindrome della persona rigida«Una malattia del sistema nervoso, estremamente rara: colpisce una o due persone su un milione», spiega Dion nel documentario. I primi sintomi sono arrivati ​​17 anni fa, quando ha iniziato ad avere laringospasmi: «dopo colazione la sua voce saliva mentre, dopo i concerti, scendeva di mezzo tono». L’alterazione vocale le impediva di fare lunghi sound check ma soprattutto di riscaldarsi a lungo: «questo mi esponeva a pericoli». Poi sono arrivate la zoppia e i problemi di deambulazione. La cantante inizia allora a prendere medicine: 80-90 mg di Valium. Al giorno. «Una, due, cinque pillole. Troppe», ammette Dion, «potevo morire ma lo spettacolo doveva continuare». L’escalation è stata inevitabile perché l’effetto dei farmaci era transitorio. A volte spariva proprio quando era ancora lì, sul palco, a cantare. Quando succedeva, girava il microfono verso il pubblico, invitandolo a cantare con lei. In realtà, era solo il pubblico a urlare a squarciagola: lei non poteva. Non ci riuscì. Il suo suono morì tra le sue corde vocali.

“Odiavo mentire ai miei fan”, continua Dion, “ma non ero pronto a dire la verità. Ora sono.” Quindi guarda dritto nella telecamera, i suoi occhi brillano e il suo viso completamente privo di trucco. Sembra vecchia, molto vecchia. Ma soprattutto rotto. Consumato nell’anima. Lei si commuove e con la voce rotta aggiunge: “La musica mi manca tanto. Sono stata molto brava, credo”, quasi come se insieme alla sua voce fosse scomparsa anche la sua identità. Non sa più chi è, perché è sempre stata “Dion, quello dalla voce irraggiungibile”. La telecamera mostra la sua bella casa: ricca e opulenta come quella delle star. Per un attimo provi un po’ di invidia – soprattutto alla vista dell’armadio stracolmo di scarpe – ma è solo un attimo perché appena dice “Non posso uscire. Sono bloccato qui” quella casa diventa una gabbia. Bellissimo. Ma pur sempre una prigione.

Ora è pronta a dire la verità, Celin. Così si siede al pianoforte e canta. La sua voce non regge. Non sembra più la sua. Ma lo è. “Non voglio che la gente mi senta così”, scoppia a piangere la cantante. La parte più dura arriva alla fine, quando va, ostinata, in sala recitazione. Dopo due anni di fisioterapia intensiva, riposo assoluto e medicine mirate deve sapere se riesce ancora a cantare: “Non posso vivere nel dubbio”. Non vi rovineremo il finale, ma è molto dura: ti travolge, ti fa stare male e abbiamo bisogno di un segnale che ci avverta di nuovo. Ma non per la scena scioccante. Qualcuno dovrebbe avvertirci che abbiamo bisogno di almeno mezzo pacchetto di fazzoletti per arrivare alla fine del documentario. “Non mi fermerò”, promette Dion, “se non posso correre, camminerò; se non posso camminare, striscerò”. I titoli di coda scorrono e tu, dal divano, vorresti pensare che, sì, ha ragione: ce la farà. In qualche modo ce la farà. Se non fosse per il fatto che questo documentario racconta anche un’altra storia…

 
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