Non voglio volare. La recensione – .

Una carrellata di passeggeri di un aereo, con i volti tesi e sudati e i corpi carichi di adrenalina, l’ormone dello stress, è l’inizio di un viaggio contro la paura. I protagonisti dell’impresa hanno una cosa in comune, hanno il terrore di volare, come ricorda il goffo titolo italiano, invece del più adeguato e originale Conforto del Nord. Per vincere questa sfida si sono affidati a un’agenzia londinese, Fearless Travellers, che dovrebbe insegnare loro, un piccolo passo alla volta, se non ad eliminare, almeno a limitare le conseguenze dell’ansia di cui soffrono, in diverse ma altrettanto gravi , tutti i personaggi principali. Sarah (Lydia Leonard) è un’impresa edile, e deve andare a Capo Verde con il suo fidanzato Tom e sua figlia Olivia, per cementare la loro relazione, con l’approvazione della ragazza, ed evitare un flashback con la sua ex moglie. Alfons (Sverrir Gudnason) ha sviluppato un’app, ma è dominato da Coco (Ella Rumpf, vista di recente nel film Il teorema di Margherita), la sua fidanzata, di professione influencer, e trasforma i contenuti delle loro vite in vuote e redditizie alchimie digitali. E poi c’è Edward, un sempre eccezionale Timothy Spall, ormai scrittore di successo, ma con un passato da veterano della guerra delle Falkland che presto riaffiorerà in un eccesso paranoico. Volare dall’Inghilterra all’Islanda, con ritorno lo stesso giorno, sarà la loro ultima prova, condotta sotto la guida di Charles (Simon Manyonda), il responsabile dell’agenzia del loro gruppo. Qualcosa naturalmente va storto e nell’attesa di partire il gruppo si ritrova confinato in un albergo benessere in montagna, luogo destinato a diventare un crocevia per il loro immediato futuro.

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La commedia di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson è una declinazione dell’umorismo nero, un racconto corale di ridicole abitudini contemporanee e vecchi cliché duri a morire. In questo costrutto l’ilarità nasce dalla turbolenza, dall’incidente di un taxi, dal terrore trasmesso dagli occhi pieni di pillole, dai disturbi, dall’insicurezza. Il regista, forse di proposito (?), si astiene dal completare i personaggi, e li coinvolge in una vorticosa disavventura, rendendoli leggeri e facili da sollevare e sballottare da una parte e dall’altra. Usa la loro vulnerabilità come password di accesso per descrivere comportamenti che hanno poco senso, a volte anche illogici, ma plausibili in una situazione scomoda. Questo soprannumerario tematico fornito dallo sviluppo incontrollato di numerose personalità lascerà perplessi gli spettatori abituati ad uno sviluppo lineare dell’arco narrativo. Qui invece si procede seguendo i slanci e l’ironia del fatalismo, lasciando emergere i conflitti latenti dietro il velo dell’inconscio, delle apparenze, per ribaltare il tavolo delle convenienze sociali e dei suoi rituali. Il risultato non è perfetto, l’instabilità diventa un limite, ma nel complesso il film beneficia dell’ambizione di creare un affresco di modernità e riesce ad avere un buon ritmo, con un linguaggio filmico estraneo alle nostre latitudini. La sfida sarà suscitare empatia avvicinandosi alla paura, con il rischio di alienare chi non ha ancora imparato a ridere delle disgrazie.

Titolo originale: Northern Comfort
Regia: Hafsteinn Gunnar Sigurðsson
Interpreti: Lydia Leonard, Timothy Spall, Ella Rumpf, Nick Blakeley, Gina Bramhill, Sverrir Gudnason, Simon Manyonda, Rob Delaney, Svandis Dora Einarsdottir, Emun Elliott, Naveed Khan, Björn Hlynur Haraldsson, Serene Gardner Masoud, Ashley McGuire
Distribuzione: I Wonder Pictures
Durata: 97′
Origine: Islanda, Regno Unito, Germania 2023

La classifica cinematografica di Sentieri Selvaggi

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